Le Microplastiche: cosa sono e da dove vengono?

Sentiamo spesso parlare dai media di ‘microplastiche’, che invadono i nostri oceani e arrivano addirittura a essere presenti nel nostro organismo.

Queste notizie creano sicuramente in noi uno stato d’allarme, ed è per questo motivo che crediamo sia giusto e utile affrontare il tema in modo più chiaro e completo possibile.

Iniziamo con il dire che le microplastiche, per definizione sono: frammenti di plastica di dimensioni comprese tra 1 micrometro (1 milionesimo di metro) e 5 millimetri. 

Esistono anche le nanoplastiche, che sono particelle ancora più piccole, inferiori a 1 micrometro.  

Ma da dove arrivano le microplastiche?

La credenza comune può far pensare che derivino dal deterioramento dei rifiuti generici di plastica, mentre in realtà non è proprio così. Sappiamo, infatti, che:

  • il 35% delle microplastiche proviene dal lavaggio di capi sintetici.
  • Il 30% dall’attrito degli pneumatici delle auto sull’asfalto.
  • Il 24% dalle polveri di inquinamento delle città.

Se analizziamo la situazione considerando la regione di provenienza delle microplastiche, possiamo dire che da Cina, India e Asia, arrivano principalmente a causa dei lavaggi di tessuti sintetici.

Nord America ed Europa invece producono microplastiche soprattutto dallo sfregamento degli pneumatici.

Abbiamo già delle possibili soluzioni da mettere in atto per contrastare le microplastiche?

Le microplastiche che si trovano nell’acqua di lavaggio delle fibre sintetiche possono essere intercettate in modo efficace dai sistemi di filtraggio, proprio come accade per l’acqua potabile, dove non sono presenti le microplastiche.

Per quanto riguarda le microplastiche derivate dall’uso delle nostre automobili e dall’inquinamento delle nostre città, è più difficile attuare azioni risolutive, ma sarebbe importante iniziare a parlarne e a dedicare loro la giusta attenzione.

A quali plastiche appartengono le microplastiche?

È stato studiato che la maggior parte delle microplastiche è fatta prevalentemente di PE polietilene e PP polipropilene. 

Sono effettivamente i materiali plastici maggiormente diffusi, ed è quindi ragionevole che anche le microplastiche appartengano principalmente a queste tipologie.

L’altra grande questione che interessa le microplastiche è il dibattito sulla loro tossicità, ovvero: sono dannose per la nostra salute?

Molto spesso, gli articoli che fanno riferimento alle microplastiche, le presentano come pericolose, ma nella realtà scientifica, non ci sono scritti e posizioni univoche su questo punto.

Alcuni studi sulla tossicità delle microplastiche ingerite dai pesci sono stati condotti in circostanze portate all’estremo, che rendono davvero difficile il verificarsi in natura di quei fattori, ad esempio facendo ingerire ai pesci quantità di microplastiche enormemente superiori a quelle che potrebbero ingurgitare negli oceani, oppure tipi di plastiche di cui non sono formate le microplastiche, o ancora composte da particelle di dimensioni sbagliate.

Possiamo dire che molte tipologie di plastiche, usate per il contatto con gli alimenti o l’uso personale, devono sottostare a rigidi protocolli di sicurezza, che rende la presenza di sostanze nocive minima e comunque ben al di sotto dei limiti consentiti.

Psicologicamente è difficile accettare come non dannoso, qualcosa che entra nel nostro corpo e che non sia anch’esso organico. 

Ma a un esame più attento, si trovano già nel nostro organismo, particelle non ‘naturali’, come ad esempio le polveri sottili. O al contrario, ingeriamo elementi tranquillamente presenti in natura, ma comunque ugualmente dannosi, come le sostanze cancerogene presenti in alcuni alimenti.

Sicuramente rimane valida una premessa: che le fonti di microplastica devono essere ridotte. Gli imballaggi in plastica devono essere raccolti e riciclati, e in nessun caso dovrebbero essere gettati nell’ambiente a decomporsi.

Nel mondo e in Europa la questione delle microplastiche è all’attenzione delle agende politiche, che si impegnano a mettere in atto strategie per aumentare i tassi di riciclaggio dei rifiuti di plastica.

Inoltre, sono in esame nuove misure per diminuire il rilascio delle microplastiche da parte dei tessuti, degli pneumatici, delle pitture e dei mozziconi di sigaretta.

Per un futuro dove la plastica sia sempre più una risorsa a ridotto impatto sul nostro Pianeta.

FONTI DATI

  • Chris DeArmitt, nel suo libro ‘Il paradosso della plastica’


La storia della plastica: gli anni del Boom Economico

Nella precedente ‘puntata’ sulla storia della plastica abbiamo visto come tra gli anni ’20 e gli anni ‘40 siano state fatte importanti scoperte nel campo delle materie plastiche e come però queste siano state totalmente assorbite dall’industria bellica, per esigenze di guerra.

Possiamo dire che il secondo dopoguerra è l’epoca in cui la plastica vede la sua maggiore esplosione, perché arriva nelle case delle persone ed entra prepotentemente a far parte degli oggetti di consumo di massa.

Anni ’50 – avviene la prima importante rivoluzione: la Formica prende il sopravvento.

La formica, che prende il nome dall’azienda Formica Corporation, fondata nel 1913 da Herbert A. e Daniel J. O’Connor, è un tipo di laminato plastico, ottenuto per policondensazione della formaldeide con la melammina.

Il risultato è un prodotto resistente all’acqua, agli agenti chimici, all’abrasione, al calore, e che può essere finito esternamente con colori e fantasie decorative.

Questo alto grado di resistenza ad agenti esterni, e la possibilità di avere un aspetto colorato e gradevole, rendono ben presto la formica il materiale preferito per la fabbricazione di arredi: tavoli, sedie, mobili per la cucina; ma anche piatti e posate.

Non per ultimo, è anche un materiale poco costoso, e così entra prepotentemente nelle case delle persone di tutto il mondo.

Nel 1953 – l’ingegnere chimico italiano Giulio Natta applica processi di polimerizzazione catalitica al polipropilene e ottiene il Polipropilene Isotattico.

Questa scoperta gli vale il premio Nobel nel 1963, assieme al tedesco Karl Ziegler, che l’anno precedente aveva isolato il Polietilene.

Per il mondo rappresenta una vera e propria rivoluzione nelle abitudini di consumo.

Il Polipropilene isotattico è meglio conosciuto con il nome ‘commerciale’ di “Moplen”, con il quale viene prodotto industrialmente, a livello mondiale, a partire dal 1957 dall’azienda Montecatini (successivamente chiamata Montedison), che ne deteneva appunto il brevetto.

Sia per le sue caratteristiche di resistenza meccanica, sia per l’economicità di lavorazione, il Moplen diventa una delle materie plastiche più utilizzate e diffuse ed entra in tutte le case sotto forma di oggetti d’uso comune, stoviglie, giocattoli e arredi.

Alcuni ancora ricorderanno che il Moplen arriva anche in televisione, dove è pubblicizzato durante il Carosello, da Gino Bramieri, con i tormentoni «E mo’, e mo’, e mo’… Moplen!» e «Ma Signora badi ben, che sia fatto di Moplen!».

Negli anni a seguire questi due materiali diventeranno il simbolo del boom economico e del benessere.

La plastica sostituirà le vecchie lavorazioni in legno e in metallo, soppianterà materiali più pregiati, come il marmo, e materie prime più rare e di origine animale, come l’avorio e la tartaruga, portando nella vita delle persone, una ventata di novità accessibile a tutti.

Non c’è da stupirsi se in quegli anni queste scoperte siano state accolte con entusiasmo e se nell’immaginario comune siano state viste come esemplificazione del concetto di ‘moderno’.

Nuovi colori, nuove funzioni in grado di semplificare la vita, e costi contenuti rivoluzioneranno per sempre usi e abitudini.

Non solo le masse subiscono la fascinazione delle materie plastiche, ma anche il design, l’arte e la moda cavalcano quest’ondata di freschezza e utilizzano questi materiali per le loro creazioni.

Basti pensare che nel 1949 viene fondata l’azienda Kartell, da Giulio Castelli, che lavora principalmente la plastica per creare quel design Made in Italy riconosciuto e celebrato in tutto il mondo.

Pochi anni dopo nascono anche le aziende Danese e Artemide, con cui collaborano designer come Enzo Mari e Bruno Munari.

Non solo le masse subiscono la fascinazione delle materie plastiche, ma anche il design, l’arte e la moda cavalcano quest’ondata di freschezza e utilizzano questi materiali per le loro creazioni.

Basti pensare che nel 1949 viene fondata l’azienda Kartell, da Giulio Castelli, che lavora principalmente la plastica per creare quel design Made in Italy riconosciuto e celebrato in tutto il mondo.

Pochi anni dopo nascono anche le aziende Danese e Artemide, con cui collaborano designer come Enzo Mari e Bruno Munari.

Il risultato sono oggetti creativi e funzionali, sempre attuali, che sono ancora oggi ospitati e studiati in musei e scuole di tutto il mondo.

Oggi il nostro approccio alla plastica è sicuramente più consapevole, e le materie plastiche stesse sono cambiate, per diventare sempre meno impattanti sul pianeta e rispondere sempre di più alle necessità di riciclo. Ma tutto questo sarà materia della… prossima puntata!