La Bottiglia di Plastica in PET è meglio del Vetro
Le bottiglie di plastica in PET, e ancora meglio quelle realizzate in PET riciclato, sono più sostenibili delle bottiglie in vetro, sia di quelle a perdere che di quelle da restituire su cauzione.
Siamo sicuri che questa affermazione sorprenderà molti di voi lettori.
La contestazione che riceviamo più frequentemente sotto ai nostri post, e che sentiamo ripetere più spesso anche offline, è che la plastica andrebbe sostituita con il vetro.
Questa sembra essere la soluzione più quotata dall’opinione pubblica per contrastare i problemi di inquinamento ambientale e marino generati dallo scorretto conferimento dei rifiuti plastici.
La plastica è innegabilmente uno dei materiali più utilizzati per il packaging e soprattutto per il confezionamento alimentare e del beverage, sappiamo ormai che le sue caratteristiche la rendono perfetta per questo impiego.
È un fatto che, soprattutto nei paesi dove mancano un corretto trattamento dei rifiuti, le infrastrutture per avviare a riciclo la plastica e soprattutto politiche di educazione all’importanza del riciclo, la plastica finisca nelle discariche, o che, peggio, venga abbandonata nell’ambiente e arrivi fino alla acque oceaniche. Andando così a creare e ad alimentare un problema di inquinamento marino e del suolo, giustamente molto sentito.
È diventato quindi urgente trovare una soluzione a questa situazione, ma sostituire le confezioni di plastica con il vetro, è davvero la scelta giusta?
Sembrerebbe in realtà di no.
È diventato quindi urgente trovare una soluzione a questa situazione, ma sostituire le confezioni di plastica con il vetro, è davvero la scelta giusta?
Considerando le diverse fasi del ciclo di vita di entrambi i materiali, studi scientifici come Plastic or glass: a new environmental assessment with a marine litter indicator for the comparison of pasteurized milk bottles (autori: Roberta Stefanini, Giulia Borghesi, Anna Ronzano, Giuseppe Vignali. Anno 2020), mostrano come l’impatto sul pianeta sia notevolmente minore per le bottiglie in PET e in PET riciclato.
Quando parlano di ‘impatto sul pianeta’, questi studiosi considerano diversi aspetti ambientali: il riscaldamento globale, la riduzione dello strato di ozono, l’acidificazione terrestre, la scarsità di risorse fossili, il consumo di acqua e la tossicità cancerogena per l’uomo, e per tutti sembra che le bottiglie in PET e in PET riciclato siano una soluzione più sostenibile del vetro.
Cerchiamo di approfondire meglio come è stata condotta questa analisi e quali sono i risultati che mostra.
Lo studio sopra citato si è concentrato sulla comparazione tra le bottiglie in PET e le bottiglie in vetro utilizzate per contenere 1 litro di latte. L’analisi ha considerato l’intero ciclo di vita del prodotto e del processo di produzione, considerando quindi l’impatto ambientale dall’estrazione della materia prima necessaria, alla fabbricazione, alla distribuzione e utilizzo del prodotto, fino al suo smaltimento finale.
Il vetro risulta più impattante in fase di produzione, poiché richiede alte temperature per la fusione e la lavorazione. Questo forse è il fatto più noto alla maggior parte di noi.
La ricerca però ha considerato anche la possibilità di riciclare o riutilizzare il vetro, e quella di riciclare il PET.
Da qui arriva il dato più interessante e per molti di voi inaspettato: è risultato, infatti, che la sterilizzazione e l’asciugatura a cui devono essere sottoposte le bottiglie di vetro per essere nuovamente utilizzate, sono fasi molto impattanti, senza parlare del suo riciclaggio, che implica la fusione del vetro e la formazione di una nuova bottiglia, con largo consumo di calore ed energia.
È quindi conveniente in termini ambientali riutilizzare le bottiglie di vetro?
Sicuramente è più utile rispetto a riciclarle, ma la ricerca mostra che a confronto, incrementare il riciclo delle bottiglie in PET, porta un beneficio molto maggiore: una bottiglia di vetro dovrebbe essere riutilizzata 20 volte per equiparare i benefici di riciclare il PET (cosa difficile da realizzarsi, visto che il riuso della bottiglia di vetro si esaurisce mediamente dopo 8 cicli).

Ad incidere negativamente sulla sostenibilità della bottiglia in vetro, contribuiscono inoltre il suo peso e la sua fragilità.
Il primo si riflette su trasporti più pesanti e frequenti, con emissioni maggiori di CO2 nell’atmosfera; il secondo sulla necessità di più packaging secondario utilizzato per imballare le bottiglie di vetro.
E per quanto riguarda l’inquinamento ambientale da plastica o da vetro?
Secondo le statistiche la presenza di bottiglie di plastica abbandonate è maggiore rispetto a quelle di vetro, e per quanto riguarda la capacità di degradarsi di questi due materiali, una bottiglia in PET impiega circa 400 anni e una bottiglia di vetro circa 4.000 anni.
Le conclusioni dello studio tengono a sottolineare che l’abbandono dei rifiuti nell’ambiente o il loro sbagliato conferimento, dipendono da un nostro comportamento, e non dalle caratteristiche del materiale o del prodotto fatto di plastica.
Considerati tutti questi fattori, i risultati della ricerca scientifica presa in esame mostrano come le bottiglie di PET riciclato siano le più sostenibili, seguite dalle bottiglie di PET, al terzo posto dalle bottiglie in vetro riutilizzabili e per ultime dalle bottiglie in vetro a perdere.

Questa conclusione apre le porte a interessanti riflessioni collaterali, su come sia più utile investire nel riciclo della plastica e nei materiali plastici riciclati, piuttosto che pensare a una loro sostituzione con il vetro.
Inoltre, su come rendere consapevoli le persone sull’importanza del riciclo, educarle a gestire la plastica in maniera consapevole, e perfino incentivarle a un corretto conferimento dei rifiuti, siano le soluzioni più efficaci per ridurre l’inquinamento dei nostri mari.
Come diciamo spesso anche noi, con i nostri comportamenti possiamo rendere la plastica una risorsa preziosa.
FONTI DATI
Plastic or glass: a new environmental assessment with a marine litter indicator for the comparison of pasteurized milk bottles. Autori: Roberta Stefanini, Giulia Borghesi, Anna Ronzano, Giuseppe Vignali. Anno 2020
Cos’è il Greenwashing e come riconoscerlo
Negli ultimi tempi assistiamo sempre più spesso a campagne di comunicazione aziendali che mettono in luce aspetti di sostenibilità e traguardi ecologici raggiunti, mentre dall’altra parte ascoltiamo una parte dell’opinione pubblica additarle come colpevoli di greenwashing.
Ma sappiamo cos’è davvero il greenwashing?
Le aziende che parlano di sostenibilità stanno sempre cercando di darsi una parvenza green per scopi meramente commerciali?
Come possiamo riconoscere chi pratica greenwashing e come tutelarsi?
Iniziamo dal principio e diciamo che con ‘greenwashing’ si intende un ecologismo di facciata, attuato attraverso strategie di marketing e attività pubblicitarie, che enfatizzano sull’ecosostenibilità di un’azienda, anche quando questa non la è per niente.
È una pratica ingannevole e per questo è sanzionata dallo Iap (l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) e dall’antitrust.
Ma proprio perché è un comportamento grave è utile saperlo riconoscere con chiarezza, senza rischiare di cadere nel comportamento opposto e catalogare come greenwashing ogni comunicazione che punta sui valori ambientali di un’azienda.
• Il greenwashing c’è quando promuove attività e comportamenti fasulli.
Ad esempio, se un’organizzazione afferma di aver ridotto le proprie emissioni, mentre non è così, oppure se un’azienda pubblicizza di utilizzare plastica riciclata per le proprie confezioni e invece non ce n’è traccia, o ancora se un’istituzione comunica di aver adottato processi più sostenibili per la gestione di un determinato aspetto e invece non ha fatto nulla di tutto questo, siamo senza ombra di dubbio davanti a un caso di greenwashing.
• Il greenwashing avviene anche quando la comunicazione punta su un solo aspetto, magari marginale, per assicurarsi l’epiteto di azienda o organizzazione ecosostenibile.
Ad esempio se un’azienda si professa attenta all’ambiente per aver introdotto rifornimenti d’acqua plastic free per i suoi dipendenti, mentre le sue linee produttive sono tutt’altro che sostenibili, anche questo è un caso di greenwashing.
• Inoltre, possiamo parlare di greenwashing quando viene impostata una comunicazione vaga e approssimativa, o ancora quando vengono utilizzate illegittimamente immagini e simboli che rimandano chiaramente a un ambito ecologista.
In conclusione, quando si vuole parlare di valori e di politiche ambientali, è bene farlo innanzitutto se ci sono dei fatti a sostegno di queste posizioni, e inoltre mostrando dati, aspetti concreti, informazioni veritiere e verificabili.
La comunicazione ambientale deve essere chiara, precisa e accertabile.
Ricordiamo anche che esistono alcune certificazioni nazionale e internazionali che vengono date alle aziende e alle organizzazioni se rispettano determinati indicatori ambientali e che provano la loro reale sostenibilità.
Queste ci aiutano a riconoscere con più sicurezza le realtà che investono davvero per rendere gli aspetti del loro operare più ecologici.
Per chi invece si autoproclama impresa green con troppa leggerezza?
Come abbiamo visto, il rischio è di essere sanzionati per pubblicità ingannevole, e ci sono passate già diverse aziende, alcune delle quali molto note.

Ma perché, se ormai esiste una regolamentazione chiara e i controlli ci sono, le aziende cadono ancora nell’errore del greenwashing?
Perché, fortunatamente, i consumatori sono sempre più attenti all’ecologia e hanno imparato a dare le loro preferenze a chi ha tra i suoi valori anche quello della sostenibilità.
Le imprese, in questo modo, associandosi a concetti legati all’ambiente, sperano di migliorare sempre di più la propria reputazione tra l’opinione pubblica, e di conseguenza, di aumentare i loro profitti.
Nonostante oggi la parola ‘greenwashing’ sia usata all’ordine del giorno, è una pratica iniziata diversi anni fa, e infatti se ne parla dal 1996.
Sicuramente il greenwashing è un’attività da condannare, perché ha come obiettivo quello di raggirare i consumatori, ma anche perché come effetto secondario ha quello di rendere poco credibili anche le comunicazioni che green lo sono davvero.
Sarebbe interessante e utile dare il giusto risalto a chi davvero fa scelte ecologiche, perché venga premiato dalle nostre scelte e perché venga preso ad esempio da altre aziende, senza che il dubbio del greenwashing aleggi sopra a questo genere di notizie, diminuendone la loro efficacia.
I vantaggi del Riciclo della Plastica nel 2021 in Italia
Ogni anno Corepla, il principale consorzio Nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica, racconta nel suo Report di Sostenibilità i risultati raggiunti l’anno precedente.
Come era già stato anticipato, la raccolta differenziata continua a crescere, sia come Comuni serviti, che come quantità di prodotto conferita da ogni cittadino.
Vediamo anche che il riciclo diventa sempre più funzionale, infatti lo scorso anno è cresciuta sensibilmente la quota di plastica destinata al riciclo, rispetto a quella conferita a recupero energetico. Nel 2021, la raccolta degli imballaggi in plastica totali, quantificati in 1.475.747 tonnellate, con un aumento del 3% rispetto al 2020, ha visto 1.020.000 tonnellate di plastica riciclata, 314.964 tonnellate destinate al recupero energetico e il restante 14,2% presso termovalorizzatori efficienti.
Questi numeri, che già a prima vista ci dicono che stiamo raggiungendo ottimi risultati nel riciclo della plastica, a livello nazionale, ma anche nel panorama europeo, ci raccontano ancora di più se letti attraverso i benefici concreti generati in ambito ambientale ed energetico.
Il riciclo di oltre 1 tonnellata di materie plastica, ci ha consentito di:

Risparmiare sulle materie prime vergini necessarie a produrre nuova plastica
Nel 2021 la materia prima vergine risparmiata grazie al riciclo COREPLA è stata stimata pari a 520.000 t. Pari a 11 miliardi di flaconi in PET per detersivi da 1 l.

Risparmiare energia
Il processo di riciclo della plastica è meno energivoro di quello per la produzione di plastica vergine, di conseguenza il risparmio energetico nel 2021 è stato stimato a circa 10.867 GWh. Pari al 2,5% della produzione annua di energia primaria in Italia.

Risparmio di spazio in discarica
Nel 2021 abbiamo evitato di occupare 34.572.733 di m3 di discarica.
Pari a circa 29 discariche di media dimensione, pari a 36 volte il volume del Colosseo.

Riduzione di emissioni di CO2
Il minore impiego di energia per la produzione di nuova plastica vergine, determina anche minori emissioni di gas climalteranti in atmosfera: nel 2021 la CO2eq evitata grazie al riciclo COREPLA è stata stimata pari a 879.000 t. Pari alle emissioni prodotte da 1.017 voli A/R Roma – Tokyo.

Produzione energetica
Nel 2021, la plastica non riciclabile e destinata al recupero energetico ha prodotto nuova energia per 42 GWh, pari al consumo annuo di energia elettrica di circa 15.555 famiglie italiane.
E 86 GWh di energia termica, pari al consumo annuo di gas naturale di circa 5.823 famiglie.
Ecco come il nostro impegno quotidiano nel gestire i rifiuti in modo corretto, viene ripagato con la produzione di nuovo materiale riciclato, con il risparmio di risorse naturali, di energia e di emissioni di CO2 e con la produzione di nuovo calore e fonti energetiche.
In un’ottica più allargata e di più ampio respiro temporale, il nostro comportamento garantirà a noi e alle generazioni future di poter vivere in un pianeta più in salute, senza dover rinunciare alle comodità e al progresso portato dalla plastica.
Cosa può fare un’azienda per essere più sostenibile?
Ne abbiamo parlato al 10° Salone della CSR e dell’innovazione sociale
Negli ultimi anni sentiamo sempre più spesso parlare di sostenibilità e sviluppo sostenibile.
È sicuramente un bene che se ne parli e che questo concetto abbia ottenuto una posizione di rilievo all’interno delle agende politiche dei nostri governi, ma anche all’interno dell’opinione pubblica di noi cittadini.
Forse però non ci è sempre così chiaro cosa si intende per sostenibilità e sviluppo sostenibile, e cosa possono fare in concreto le aziende per raggiungere questi obiettivi.
I problemi ambientali e sociali sono temi complessi, che coinvolgono molte realtà e diversi aspetti del lavoro di un’azienda e trovare soluzioni efficaci per ridurre quanto più possibile l’impatto sugli ecosistemi, è un processo che tocca diversi attori sociali dalle competenze differenti.
Si è parlato di questi argomenti durante la 10° edizione del Salone della CSR e dell’innovazione sociale, tenutosi il 3-4 e 5 ottobre.
Il Salone è il principale evento in Italia dedicato alla sostenibilità, e offre l’importante occasione alle aziende e alle organizzazioni di confrontarsi su questi temi, di fare networking e di conoscere nuovi trend, pratiche positive e ultime novità.
Quest’anno anche Alpla Group era presente al Salone della CSR e dell’innovazione sociale e il suo Amministratore Delegato Tiziano Andreini ha tenuto una tavola rotonda, raccontando proprio attraverso quali azioni l’azienda sostenga in concreto il cambiamento in atto nel mondo della plastica.
Perché la ricerca e lo sviluppo e l’applicazione di best practices di economia circolare stanno cambiando radicalmente l’impatto che la plastica ha sull’ambiente e, operando in un settore come il packaging, la sostenibilità è parte integrante della strategia di Alpla.
Iniziamo con il vedere quali sono i comportamenti interni che un’azienda come Alpla intraprende per implementare la sua sostenibilità ambientale.

1) Una modalità è quella di gestire in modo più responsabile ed efficiente i consumi energetici all’interno dei propri impianti. Ciò permette ad Alpla di abbassare non solo i costi di produzione, ma anche l’impatto ambientale, così come impiegare fonti energetiche rinnovabili, idrico, solare, eolico, contribuisce a ridurre sensibilmente le emissioni di CO2 generate dai propri processi produttivi.
A ciò si aggiungono i progetti di produzione “IN HOUSE” all’interno delle fabbriche dei clienti Alpla. Ovvero, Alpla integra le proprie linee di produzione a quelle del cliente e la produzione degli imballaggi avviene direttamente all’interno delle strutture dove poi devono essere utilizzati. In questo modo vengono drasticamente ridotti gli imballaggi secondari quali pallets, cartoni, buste di plastica e azzerato il trasporto su gomma, con un notevole vantaggio sull’impatto ambientale.

2) Allo stesso tempo Alpla lavora proattivamente, dal punto di vista delle tecnologie e dei materiali, per fare in modo che entro il 2025 tutti gli imballaggi da loro prodotti siano riciclabili al 100%.
Infatti, per ciò che concerne lo sviluppo di nuovi imballaggi, vengono seguiti i principi del “design 4 recycling”, che significa progettare confezioni che siano facilmente riciclabili e che impieghino quantitativi di plastica ridotti, pur mantenendo inalterate le loro caratteristiche e funzionalità.

3) Abbiamo visto che il concetto di riciclo fa parte delle linee guida produttive di Alpla, ma è anche un settore all’interno del quale Alpla investe.
Dispone infatti di impianti di riciclaggio di proprietà, che permettono all’azienda di mantenere le plastiche dentro un ciclo virtuoso in cui ai materiali viene data nuova vita.
Durante la produzione del PET riciclato, per intenderci quello delle bottiglie, si produce solo un decimo delle emissioni di gas serra rispetto a quanto accade con il materiale vergine, ed è soprattutto sull’R-PET e nella trasformazione ‘bottle-to-bottle’, che Alpla punta, con la recente apertura dello stabilimento di riciclaggio PET di Anagni che ha richiesto un investimento di 6,5 milioni di euro.
Qui vengono riciclate bottiglie di plastica e trasformate in resina post consumo, che viene quindi utilizzata per produrre nuovamente delle bottiglie. Una vera e propria strategia close the loop.
L’attenzione di Alpla verso la plastica riciclata, e le sue strategie produttive, vanno d’altronde di pari passo con le normative europee, che ci chiedono, entro il 2025, di utilizzare per imballaggio il 25% di plastica riciclata, e il 30% entro il 2030.
Ma per Alpla, la sostenibilità si persegue anche fuori dai processi produttivi.
Alpla è da anni promotrice dell’economica circolare: è stata una delle prime sottoscrittici di Ellen MacArthur Foundation, uno dei più importanti enti internazionali che si occupa appunto di economia circolare e sostenibilità, e che accompagna imprese e realtà legate all’istruzione all’interno dei processi di transizione ecologica.
Questa visione aziendale viene concretizzata da Alpla anche con la promozione di iniziative esterne di sensibilizzazione ed educazione sul corretto riciclo della plastica.
Uno di questi progetti è proprio ‘La Plastica è Cambiata’, che sui social e attraverso questo blog cerca di sfatare alcuni dei falsi miti e di dare informazioni utili su questo materiale.
Alla base del progetto vi è la consapevolezza di come un uso sostenibile ed ecologicamente giusto della plastica e degli imballaggi plastici, che negli anni si sono evoluti a livello di materiali e tecnologie produttive, costituisca il fondamento per assicurare che le generazioni future possano vivere in un ambiente sano e sempre più evoluto dal punto di vista del benessere sociale e individuale.

Oltre a ciò, Alpla ha avviato un progetto di educazione alla sostenibilità rivolto ai bambini della scuola primaria con l’obiettivo di avviare un percorso per una maggiore consapevolezza sulla plastica, promuovendo così un costante impegno al riciclo e al riuso per arrivare a considerare la plastica come risorsa sostenibile per il futuro.
Naturalmente questa è la fotografia di come opera l’azienda Alpla, ma speriamo di avervi dato un’idea più chiara di come un’impresa può agire secondo i valori della sostenibilità, sia attraverso i processi aziendali e di produzione interni, ma anche attivando all’esterno dell’azienda progetti che vadano a migliorare l’ecosistema sociale e l’ambiente sui quali impatta l’impresa stessa.
I giovani e il futuro della plastica
Oggi i temi ambientali sono al centro delle agende politiche e dell’attenzione mediatica.
Ma dobbiamo ammettere che non è sempre stato così.
Le generazioni più anziane, che sono cresciute durante gli anni ’60 e ’70, sono state travolte da una rivoluzione dei consumi quasi inaspettata, che si è sviluppata in modo molto rapido e che ha visto l’entrata sul mercato di moltissimi prodotti fatti in plastica.
La sorpresa e l’entusiasmo per un benessere fino a quel momento sconosciuto, hanno sicuramente offuscato l’attenzione sulle ricadute negative di un utilizzo indiscriminato della plastica sul Pianeta.
Ed è anche per questo motivo che l’arrivo di questo nuovo materiale sul mercato di massa non è stato accompagnato da una corretta educazione alla sua gestione e da politiche adeguate in termini di impiego e di riciclo.
Oggi quelle generazioni, rappresentate dai nostri genitori o dai nostri nonni, sono quelle che più faticosamente si sono dovute impegnare nell’adattarsi a nuovi modelli di comportamento, più attenti all’impatto della plastica sull’ambiente.
La generazione dei giovani adulti invece si è formata con queste tematiche, e possiamo dire che ha ben adattato la propria vita a un utilizzo più consapevole della plastica.
È proprio questa generazione che ha portato in primo piano la necessità di creare comunità più sostenibili e che si sta impegnando, nei diversi settori chiave, per progredire nella ricerca, per creare innovazione, per strutturare processi migliori e meno impattanti sul Pianeta.

Ma è sotto gli occhi di tutti che è sicuramente la Generazione Z, quella più coinvolta dai temi di eco-sostenibilità.
Ne fanno parte il popolo di Greta Thunberg e dei FridaysForFuture, sono ragazzi preoccupati per l’esaurirsi delle risorse del Pianeta e per i cambiamenti climatici.
Sono attenti alle energie rinnovabili, alla salvaguardia degli ecosistemi e sono guidati da modelli di consumo rispettosi dei mondi animale e vegetale.
Hanno interiorizzato comportamenti virtuosi, come il riciclo, la riduzione di ciò che è superfluo, l’importanza dell’economia circolare, e sono valori che non solo portano avanti in prima persona, ma che ricercano anche nelle loro figure di riferimento e nei brand che seguono.
La Generazione Z dà un grande valore all’impegno attivo dei marchi in tema di sostenibilità ambientale, di impiego di materie prime riciclate e di riduzione di emissione di CO2.
E questo prospetta su tutti un futuro più roseo, garantendo che rimarrà alta la soglia di attenzione all’ambiente e costante la ricerca in tale senso.
Ma possiamo ritenerci soddisfatti?
È bene puntare sempre più avanti, e per quanto le generazioni dei giovani oggi si dimostrino così consapevoli e attente in termini di sostenibilità, non dimentichiamoci di coloro i quali saranno i ‘prossimi’ giovani, e quindi i bambini!

I bambini rappresentano sempre il nostro futuro perché saranno i responsabili del mondo di domani.
È per questo che è necessario educare, giocando, fin dalla primissima età, alla gestione consapevole della plastica.
L’esempio più grande viene sempre dai comportamenti che si vedono messi in atto in famiglia, per cui se un bambino osserva i genitori che svolgono una corretta raccolta differenziata, si impegnano a riciclare, privilegiano scelte rispettose, queste pratiche verranno interiorizzate fino dall’infanzia.
Ma anche la scuola ha un ruolo importante nell’informazione e nella formazione di giovanissimi individui.
È per questo che ALPLA promuove nelle scuole laboratori specifici, che educano i bambini su cosa sia la plastica e su come vada trattata, per far sì che diventi una risorsa utile per noi e per il Pianeta.
Il futuro della plastica e il futuro del Pianeta sono nelle loro mani.
La Moda Sostenibile grazie anche al Riciclo della Plastica
Cosa può c’entrare un rifiuto di plastica con gli abiti di stilisti affermati?
Una bottiglietta d’acqua e un costume di tendenza hanno in comune molto di più di quello che possiamo credere.
Ultimamente si sta facendo strada la necessità di pensare una nuova moda sostenibile.
Il settore del fashion ha, infatti, un grande impatto sulle risorse del Pianeta: ha elevate necessità di acqua e produce molte emissioni di CO2.
Il settore del fashion ha, infatti, un grande impatto sulle risorse del Pianeta: ha elevate necessità di acqua e produce molte emissioni di CO2.
Questi fabbisogni produttivi sono aggravati da un modello di fabbricazione e di consumo, chiamato fast fashion, che ha preso piede negli ultimi anni e che prevede la creazione di moltissimi capi d’abbigliamento, per seguire i trend dei designer più noti.

Le grandi catene di abbigliamento arrivano a preparare circa una collezione di abiti a settimana, riversando sul mercato tonnellate di abiti.
Il consumatore, d’altra parte, tentato da prezzi bassi e dalla moda del momento, è molto più portato, rispetto a una volta, all’acquisto impulsivo di capi e a liberarsene con maggiore leggerezza.
Si stima che gran parte dell’abbigliamento fast fashion finisca in discarica l’anno successivo all’acquisto.
Alla luce di questi dati, che mostrano un impatto notevole sulle risorse del nostro Pianeta, molte case produttrici hanno deciso di cercare un approccio più green, e hanno iniziato ad affacciarsi in passerella collezioni di abiti sostenibili.
Allo stesso tempo la consapevolezza è cresciuta anche nei consumatori, e la sostenibilità ha iniziato a essere un valore che viene preso in considerazione durante le nostre scelte di acquisto.
In quest’ottica il connubio tra i rifiuti in plastica e la moda è arrivato naturale, e quindi via libera a tessuti derivati dal riciclo della plastica, impiegati sia nella realizzazione di capi sportivi, ma anche super lusso.
Abbiamo visto in diverse occasioni quanti nuovi prodotti possono nascere dal riciclo della plastica, oggetti di design, nuovi imballaggi, componenti per l’industria e possiamo inserire nella lista anche filati sintetici di alta qualità.
Molte delle aziende che preparano questi filati riciclati sono italiane, accrescendo la filiera industriale legata al riciclo della plastica.
Per citarne alcune, il progetto Q-Bottles, dell’azienda piemontese Quagga, ricicla bottiglie per farne capi d’abbigliamento, o ancora l’azienda trentina Aquafil, che produce il filato Econyl, dalle reti da pesca abbandonate in mare, e che fornisce i marchi del lusso come Burberry, Gucci, e tanti altri.

Ma dobbiamo dire che molte delle principali aziende italiane produttrici di tessuti hanno una linea di filati derivati dal riciclo della plastica.
È un settore in crescita, che continua ad attirare l’attenzione di start up e dipartimenti di ricerca universitari, che costruiscono progetti dedicati al reimpiego dei rifiuti in plastica nell’industria tessile e dell’abbigliamento, continuando a cercare nuovi metodi di produzione e nuovi tessuti sempre più tech e performanti.
Se analizziamo la situazione osservando i comportamenti delle case di moda, possiamo vedere che nelle principali catene di fast fashion sono comparse collezioni create a partire da filati riciclati, e sembra che questa sia una propensione da confermare anche per il futuro: Zara ha annunciato che entro il 2025 userà tessuti sostenibili al 100% ed H&M che si impegna ad usare esclusivamente materiali di riciclo o sostenibili entro il 2030.
L’azienda Patagonia è stata l’apripista di questa tendenza, iniziando a utilizzare poliestere derivato dal riciclo di bottiglie in plastica nel 1993. Oggi è arrivata a utilizzare l’84% di tessuti di poliestere riciclato.
La nota azienda Adidas ha diverse collezioni di scarpe realizzate con materiali riciclati, come ad esempio la linea realizzata in collaborazione con l’associazione Parley for the Oceans, che utilizza plastica recuperata sulla costa, prima che possa raggiungere gli oceani, per produrre le materie prime.
H&M ha collaborato al progetto bottle2fashion, trasformando le bottiglie di plastica di tutte le isole dell’Indonesia in poliestere riciclato, e nei suoi store si trovano felpe e altri capi per bambini realizzati con questo materiale.
Ma questi sono solo alcuni esempi, in realtà le iniziative iniziano a essere davvero numerose.
Che questo possa essere il futuro della moda?E che possa contribuire a una maggiore attenzione al riciclo, e allo smaltimento dei rifiuti che sono già purtroppo presenti nell’ambiente?
Noi ce lo auguriamo, visto che rappresenta un ottimo esempio di economia circolare che risolve le necessità di due settori produttivi importanti, portando con sé benefici ambientali utili alla salute del nostro Pianeta.
Come sarebbe la nostra vita senza plastica
Negli ultimi anni avremo sicuramente sentito menzionare i movimenti ‘Plastic Free’, o ci sarà capitato, quasi certamente, di aver parlato con qualcuno che ha auspicato per il bene del pianeta, di smettere di produrre plastica.
Molte persone ritengono infatti che sia la plastica la responsabile dell’inquinamento ambientale e dei mari, e che questo problema si risolva semplicemente non facendone più uso.
Questa posizione è comprensibile, soprattutto se è la soluzione più facilmente diffusa sulla rete e dai mezzi di informazione.
Noi crediamo però che la questione si presti a diversi approfondimenti, e vorremmo cercare di rispondere insieme a voi a due grandi domande:
Possiamo immaginare un mondo senza plastica?È necessario eliminare la plastica per avere un mondo più sostenibile?
Molto spesso, quando pensiamo alla plastica, consideriamo principalmente la plastica monouso e la plastica da imballaggio, le bottigliette e le vaschette per alimenti e le confezioni dei detersivi, ma le materie plastiche sono un mondo molto più ampio e trovano impiego in moltissimi settori.
Per quanto la plastica per uso alimentare sia importante e ci aiuti a conservare correttamente i cibi e a ridurre enormemente lo spreco alimentare, pensiamo anche a tutti gli altri prodotti realizzati in plastica.

I tubi dell’acqua sono in plastica (n.b.: spesso sono realizzati in plastica riciclata, con un ridotto impatto ambientale), i rivestimenti dei cavi elettrici, moltissimi prodotti medicali – come banalmente le siringhe -, la componentistica dei nostri computer, dei cellulari, delle automobili ha molte parti realizzate in plastica.
Alcuni tessuti ignifughi, antiproiettile, termici sono realizzati a partire da materiale plastico.
Molte macchine per la produzione industriale hanno componenti in plastica.
Questa veloce panoramica, ci fa capire che sarebbe impossibile rinunciare a tutto questo, e che la transizione verso l’impiego di nuovi materiali sarebbe lunga e onerosa.
Soprattutto perché in molti casi, a oggi, non esistono nuovi materiali che siano sostituti validi della plastica.
Né per funzionalità – la plastica è un prodotto che unisce economicità a un ampio ventaglio di caratteristiche specifiche per diversi bisogni – né per sostenibilità ambientale.
Come abbiamo infatti visto nell’articolo sull’Analisi del Ciclo di Vita (LINK), molti materiali che possono intuitivamente sembrare più ecologici, se analizzati nel loro intero processo di vita, quindi considerando le risorse necessarie per produrlo, trasportarlo, smaltirlo, etc…, hanno in realtà un impatto ambientale maggiore.
Pensiamo alla necessità di suolo coltivabile e di alberi per produrre il legno e i suoi derivati, al dispendio di energia e di CO2 per fabbricare e trasportare il vetro, all’utilizzo di acqua, fertilizzanti, e terreno per il cotone.
I rifiuti che troviamo dispersi nell’ambiente, sono frutto della plastica stessa o di una cattiva gestione che si fa di questo materiale?
Siamo convinti che ridurre la plastica sia uno degli aspetti da perseguire, molti packaging nuovi hanno alleggerito il peso degli imballaggi, o eliminato le parti superflue, risparmiando in questo modo tonnellate di materiale.
Ma siamo anche certi che la plastica sia una risorsa per il pianeta.E va gestita per far sì che sia una risorsa.

Il riciclo della plastica ha numerosi benefici per noi e per l’ambiente.
Permette di ridurre i nostri rifiuti, di dare vita a nuovi oggetti di plastica senza dover generare materiale vergine, e di produrre energia.
Il riciclo della plastica consente di dare vita a un sistema circolare virtuoso, con ricadute importanti per la sostenibilità del pianeta.
Crediamo che più che eliminare la plastica, sia importante sensibilizzare i consumatori su quanto sia fondamentale il riciclo, ed evitare che questa venga abbandonata nell’ambiente e rischi, così sì, di inquinare i nostri mari.
Naturalmente questa consapevolezza deve valicare i confini nazionali e arrivare anche in quei paesi dove, attualmente, non ci sono delle politiche di incentivo al riciclo.
Grazie alle sinergie globali, tra consumatori e imprese, potremo continuare a godere dei vantaggi dell’utilizzo della plastica nella nostra vita quotidiana, migliorando la salute del nostro pianeta, per noi e per le generazioni future.
Come si valuta l’impatto di un prodotto sul pianeta: con l’“Analisi del ciclo di vita”
Molto spesso accade che le nostre idee e le nostre convinzioni siano costruite sull’opinione comune, a sua volta condizionata dalle informazioni e dalla comunicazione a cui giornalmente siamo sottoposti.
È normale sia così, noi cittadini affidiamo la nostra conoscenza a organi di informazione che riteniamo validi e preparati e dai quali ci aspettiamo notizie corrette e verificate.
Accade però che, senza contare le fonti non autorevoli e le vere e proprie fake news che circolano, molte notizie siano riprese e diffuse più per scopi sensazionalistici, senza aver approfondito le fonti e la correttezza dei dati esposti.
Abbiamo affrontato in parte questo argomento nel nostro articolo “La plastica e i suoi falsi miti” dove abbiamo visto come molte delle opinioni sulla plastica siano errate e fondate su credenze non supportate dai fatti.
Questo non è solo un facile errore in cui possono cadere i consumatori, ma anche le aziende ne sono altrettanto vittime.
Siamo spettatori, negli ultimi anni, di scelte da parte di alcune compagnie di utilizzare materiali diversi dalla plastica per il loro packaging, promosse e comunicate come scelte ‘green’, ma siamo sicuri che siano veramente più sostenibili per l’ambiente?
Non sempre quello che pensiamo possa essere la risposta più naturale, è anche quella giusta.
Come possiamo quindi essere sicuri dell’efficacia di queste scelte?
Come sappiamo se i materiali pensati per sostituire la plastica siano davvero meno impattanti sul pianeta?

Come possiamo quindi essere sicuri dell’efficacia di queste scelte?
Come sappiamo se i materiali pensati per sostituire la plastica siano davvero meno impattanti sul pianeta?

La risposta è: affidarsi ai dati, e in questo senso ci viene in aiuto l’“Analisi del ciclo di vita” (LCA, in inglese LifeCycle Assessment).
Uno strumento che valuta l’effettiva eco sostenibilità di un prodotto, considerando tutte le diverse fasi di produzione: dalle materie prime necessarie, all’energia utilizzata, agli scarti, ai trasporti, allo smaltimento, eccetera. In modo da avere un quadro completo del suo impatto ambientale.
L’analisi del ciclo di vita è oggi un metodo standardizzato da norme ISO a livello internazionale, in modo da avere globalmente dei parametri di valutazione condivisi, e che possano guidarci al meglio nella scelta di beni e servizi in base alla loro sostenibilità.
Non sempre quello che pensiamo possa essere la risposta più naturale, è anche quella giusta.
Le fasi affrontate dall’analisi del ciclo di vita sono quattro:
- definizione dell’obiettivo e del campo di applicazione
- analisi di inventario
- valutazione dell’impatto
- interpretazione
Per chi desidera approfondire, le fasi sono illustrate qui.
Se guardiamo l’utilità dell’analisi del ciclo di vita, vi sorprenderà scoprire che molte volte i suoi risultati sono opposti a quelle che sono le credenze più diffuse nell’opinione pubblica.

È emblematico un caso, esposto nel libro “Il paradosso della plastica”, scritto dallo scienziato Chris DeArmitt, che, trovandosi di fronte a una forte campagna denigratoria rispetto alle borse di plastica, ha deciso di approfondire la questione, e ha cercato le LCA disponibili fatte su questo prodotto.
Ha raccolto tutte le LCA realizzate, 7 studi indipendenti e realizzati in sette paesi differenti, e ha visto come ognuna di queste, affermasse che l’opzione più “green”, rimaneva la borsa di plastica.
Sia la borsa standard di polietilene, sia la borsa di polipropilene, riutilizzabile.
Questo perché le borse di carta, compresa la carta riciclata, hanno un impiego di acqua ed energia molto elevato in fase di produzione, nonché di sostanze chimiche.
Anche le borse in cotone hanno gli stessi problemi delle borse in carta.
Inoltre, essendo entrambe più pesanti delle borse di plastica, generano maggiori emissioni di CO2 durante il trasporto e una maggiore quantità di rifiuti quando devono essere smaltite.
Ecco che quella che ci è stata proposta come una scelta ‘green’, nella realtà dei fatti, non lo è.
Ci stupisce vero?
Eppure i dati ci dicono questo.
Ragionare e prendere le nostre decisioni in base ai fatti è importante, perché ci aiuta a compiere davvero le azioni utili per il nostro pianeta.
PET: caratteristiche e opportunità
Il PET è uno dei materiali plastici più comuni e usati: il primo passo per renderlo una risorsa cruciale è quello di riciclarlo e trasformarlo in R-PET.
Tutto sta a noi, alla raccolta differenziata e soprattutto alla restituzione delle bottiglie vuote.

Ma come funziona il processo di recupero della plastica?

Il primo passaggio prevede una selezione meccanica, per poi passare alla sua pulitura, al filtraggio e infine alla separazione da altri residui non riciclabili.
Un sistema virtuoso che dà vita ad altri materiali, tra cui anche il PET, quello più richiesto a livello mondiale.
La bottiglia PET: le sue caratteristiche
Per avere un prodotto Pet è necessaria l’esterificazione di glicol etilenico e acido tereftalico (PTA), che viene sottoposto a pressione moderata (2,5 -5,5 bar) e ad alte temperature (230 -270 C°). L’acqua che si forma viene rimossa di continuo.
Il PET è un materiale straordinario e igienico, grazie alla sua capacità di proteggere la formula all’interno (farmaco, cosmetico e alimento). Inoltre è pratico, leggero e facilmente richiudibile.
Le virtù del PET
Oggi più che mai è importante incentivare l’utilizzo delle bottiglie PET. I suoi vantaggi sono innumerevoli: porta ad una riduzione di circa 138.000 tonnellate di gas serra (CO2), aiuta a risparmiare il 50% di energia (emessa di solito nei processi di incenerimento e nella produzione), determina un calo di 43 milioni di litri di petrolio.
Il ciclo di vita del PET è infinito: si può sempre riutilizzare e può assumere nuove forme come tubi, pellicole o tessuti. Inoltre il packaging vuoto del PET, se incenerito, diventa elettricità o riscaldamento.
Infine, il PET richiede un dispendio di energia e risorse minore nel suo processo di riciclo in confronto ad altri materiali come, ad esempio, il vetro. Quest’ultimo infatti ha bisogno di raggiungere una temperatura compresa tra i 425° e i 600°C per essere riciclato, determinando una maggiore emissione di CO2.
Tra le iniziative volte a far conoscere questo materiale innovativo, segnaliamo quello di “End Waste Recycle the 1”. Una campagna pubblicitaria voluta da Petcare Europe che coinvolge Francia, Germania e Regno Unito e permette una raccolta dati utile a capire la percezione del pubblico verso il PET.
Le bottiglie PET sono al centro di un’economia circolare sempre più forte a livello internazionale e mettono le basi per un futuro: più sicuro, innovativo e sostenibile.
La plastica è alleata dell’ambiente ed è cambiata.
FONTI DATI
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https://www.petrecycling.ch/tl_files/content/PDF/Service/Downloads/Infomaterial_zum_PET-Recycling/PET-Recycling_Schweiz_Riciclare_il_PET_e_proteggere_l_ambiente.pdf.pdf
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https://www.alpla.com/en/products-innovation/case-studies/reusable-pet-bottles
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https://blog.alpla.com/en/blog/company-economy/pet-light-highly-versatile-very-stable-and-above-all-easily-recyclable/07-21