La Bottiglia di Plastica in PET è meglio del Vetro
Le bottiglie di plastica in PET, e ancora meglio quelle realizzate in PET riciclato, sono più sostenibili delle bottiglie in vetro, sia di quelle a perdere che di quelle da restituire su cauzione.
Siamo sicuri che questa affermazione sorprenderà molti di voi lettori.
La contestazione che riceviamo più frequentemente sotto ai nostri post, e che sentiamo ripetere più spesso anche offline, è che la plastica andrebbe sostituita con il vetro.
Questa sembra essere la soluzione più quotata dall’opinione pubblica per contrastare i problemi di inquinamento ambientale e marino generati dallo scorretto conferimento dei rifiuti plastici.
La plastica è innegabilmente uno dei materiali più utilizzati per il packaging e soprattutto per il confezionamento alimentare e del beverage, sappiamo ormai che le sue caratteristiche la rendono perfetta per questo impiego.
È un fatto che, soprattutto nei paesi dove mancano un corretto trattamento dei rifiuti, le infrastrutture per avviare a riciclo la plastica e soprattutto politiche di educazione all’importanza del riciclo, la plastica finisca nelle discariche, o che, peggio, venga abbandonata nell’ambiente e arrivi fino alla acque oceaniche. Andando così a creare e ad alimentare un problema di inquinamento marino e del suolo, giustamente molto sentito.
È diventato quindi urgente trovare una soluzione a questa situazione, ma sostituire le confezioni di plastica con il vetro, è davvero la scelta giusta?
Sembrerebbe in realtà di no.
È diventato quindi urgente trovare una soluzione a questa situazione, ma sostituire le confezioni di plastica con il vetro, è davvero la scelta giusta?
Considerando le diverse fasi del ciclo di vita di entrambi i materiali, studi scientifici come Plastic or glass: a new environmental assessment with a marine litter indicator for the comparison of pasteurized milk bottles (autori: Roberta Stefanini, Giulia Borghesi, Anna Ronzano, Giuseppe Vignali. Anno 2020), mostrano come l’impatto sul pianeta sia notevolmente minore per le bottiglie in PET e in PET riciclato.
Quando parlano di ‘impatto sul pianeta’, questi studiosi considerano diversi aspetti ambientali: il riscaldamento globale, la riduzione dello strato di ozono, l’acidificazione terrestre, la scarsità di risorse fossili, il consumo di acqua e la tossicità cancerogena per l’uomo, e per tutti sembra che le bottiglie in PET e in PET riciclato siano una soluzione più sostenibile del vetro.
Cerchiamo di approfondire meglio come è stata condotta questa analisi e quali sono i risultati che mostra.
Lo studio sopra citato si è concentrato sulla comparazione tra le bottiglie in PET e le bottiglie in vetro utilizzate per contenere 1 litro di latte. L’analisi ha considerato l’intero ciclo di vita del prodotto e del processo di produzione, considerando quindi l’impatto ambientale dall’estrazione della materia prima necessaria, alla fabbricazione, alla distribuzione e utilizzo del prodotto, fino al suo smaltimento finale.
Il vetro risulta più impattante in fase di produzione, poiché richiede alte temperature per la fusione e la lavorazione. Questo forse è il fatto più noto alla maggior parte di noi.
La ricerca però ha considerato anche la possibilità di riciclare o riutilizzare il vetro, e quella di riciclare il PET.
Da qui arriva il dato più interessante e per molti di voi inaspettato: è risultato, infatti, che la sterilizzazione e l’asciugatura a cui devono essere sottoposte le bottiglie di vetro per essere nuovamente utilizzate, sono fasi molto impattanti, senza parlare del suo riciclaggio, che implica la fusione del vetro e la formazione di una nuova bottiglia, con largo consumo di calore ed energia.
È quindi conveniente in termini ambientali riutilizzare le bottiglie di vetro?
Sicuramente è più utile rispetto a riciclarle, ma la ricerca mostra che a confronto, incrementare il riciclo delle bottiglie in PET, porta un beneficio molto maggiore: una bottiglia di vetro dovrebbe essere riutilizzata 20 volte per equiparare i benefici di riciclare il PET (cosa difficile da realizzarsi, visto che il riuso della bottiglia di vetro si esaurisce mediamente dopo 8 cicli).

Ad incidere negativamente sulla sostenibilità della bottiglia in vetro, contribuiscono inoltre il suo peso e la sua fragilità.
Il primo si riflette su trasporti più pesanti e frequenti, con emissioni maggiori di CO2 nell’atmosfera; il secondo sulla necessità di più packaging secondario utilizzato per imballare le bottiglie di vetro.
E per quanto riguarda l’inquinamento ambientale da plastica o da vetro?
Secondo le statistiche la presenza di bottiglie di plastica abbandonate è maggiore rispetto a quelle di vetro, e per quanto riguarda la capacità di degradarsi di questi due materiali, una bottiglia in PET impiega circa 400 anni e una bottiglia di vetro circa 4.000 anni.
Le conclusioni dello studio tengono a sottolineare che l’abbandono dei rifiuti nell’ambiente o il loro sbagliato conferimento, dipendono da un nostro comportamento, e non dalle caratteristiche del materiale o del prodotto fatto di plastica.
Considerati tutti questi fattori, i risultati della ricerca scientifica presa in esame mostrano come le bottiglie di PET riciclato siano le più sostenibili, seguite dalle bottiglie di PET, al terzo posto dalle bottiglie in vetro riutilizzabili e per ultime dalle bottiglie in vetro a perdere.

Questa conclusione apre le porte a interessanti riflessioni collaterali, su come sia più utile investire nel riciclo della plastica e nei materiali plastici riciclati, piuttosto che pensare a una loro sostituzione con il vetro.
Inoltre, su come rendere consapevoli le persone sull’importanza del riciclo, educarle a gestire la plastica in maniera consapevole, e perfino incentivarle a un corretto conferimento dei rifiuti, siano le soluzioni più efficaci per ridurre l’inquinamento dei nostri mari.
Come diciamo spesso anche noi, con i nostri comportamenti possiamo rendere la plastica una risorsa preziosa.
FONTI DATI
Plastic or glass: a new environmental assessment with a marine litter indicator for the comparison of pasteurized milk bottles. Autori: Roberta Stefanini, Giulia Borghesi, Anna Ronzano, Giuseppe Vignali. Anno 2020
Che cosa si produce con la Plastica Riciclata?
Abbiamo parlato diffusamente della pratica virtuosa del riciclo della plastica.
Sappiamo oramai che noi italiani siamo bravi riciclatori: globalmente ricicliamo il 79% dei rifiuti, risultato che ci pone come primi in Europa e che ci vede superare l’obiettivo dato a livello comunitario e fissato al raggiungimento del riciclo del 70% dei rifiuti entro il 2030.
Siamo consapevoli che il riciclo della plastica comporta numerosi benefici e rende più sostenibile questo importante materiale. È il sistema grazie al quale possiamo rimettere in circolo la plastica a fine vita, altrimenti destinata alle discariche. E che ci permette di salvaguardare risorse naturali e di risparmiare l’energia necessaria per produrre nuovo materiale vergine.
Abbiamo anche visto come l’industria italiana del riciclo sia un comparto importante all’interno della nostra economia, in termini di fatturato e di persone impiegate, e di quanto sia un settore in crescita.
Ma sappiamo come viene utilizzata la plastica riciclata?
Dopo che la plastica viene da noi differenziata, arriva agli impianti di riciclaggio e comincia il suo iter che la porterà a essere trasformata in fiocchi di materia riciclata, come viene impiegata?
In che forma la ritroviamo nel nostro quotidiano, negli oggetti di uso comune?
Iniziamo con il dire che la domanda di plastica riciclata è in aumento, e che più del 18% delle plastiche utilizzate dalle aziende italiane per produrre oggetti è costituito da plastica riciclata.
Tanti sono i settori che impiegano plastica riciclata: da quello edile all’arredamento, dall’oggettistica all’automotive, dall’agricoltura al tessile, e naturalmente dalle aziende di imballaggi che la utilizzano per la produzione di nuovi packaging.
Non tutte le plastiche però vengono riservate alla creazione degli stessi oggetti, infatti la loro destinazione dipende dal tipo di polimero di provenienza.

Ad esempio, il PET riciclato è molto utilizzato per produrre nuove bottiglie da impiegare nell’industria del beverage. Possiamo dire che è uno dei pochi materiali plastici che, anche da riciclato, trova lo stesso uso, seguendo il sistema del bottle-to-bottle.

L’R-PET dà vita anche a fibre tessili utilizzate per la produzione di divise da lavoro ignifughe, abbigliamento tecnico e sportivo e comuni capi di vestiario sostenibili.

L’HDPE, che viene riciclato dalle confezioni dei nostri detersivi e dei saponi, viene utilizzato per realizzare i tubi delle condutture e delle fognature, ma anche per la produzione di oggetti vari e di arredi urbani.

Dal polietilene riciclato nascono soprattutto sacchetti di vari tipi e per diversi scopi.
Mentre gli articoli che troviamo in plastica riciclata e che sono destinati agli animali, alla casa e al giardinaggio, come pattumiere, vasi, cassette, sono principalmente fatti in polipropilene riciclato.
Vediamo insieme qualche applicazione concreta dei materiali plastici riciclati.
La panchina nuova del vostro parco preferito potrebbe essere stata realizzata con 25 Kg di plastiche miste.
La seduta della vostra sedia di design potrebbe essere stata fabbricata con 10 flaconi di plastica (HDPE).
Il cestino del supermercato in cui riponete la spesa potrebbe essere nato da 23 bottiglie di plastica (PET).
La tomaia delle ballerine che indossate potrebbe essere stata prodotta con 40 bottiglie (PET).
La vostra cucina potrebbe essere stata realizzata con 1.000 bottiglie in PET.
Potremmo andare avanti ancora nell’elenco e aggiungere indumenti, utensili, componenti, rivestimenti delle automobili, materiali isolanti, piccole costruzioni…
La cosa che ci auguriamo, ma che è già realtà visto le tendenze delle industrie coinvolte, è che l’offerta di oggetti prodotti con plastica riciclata continuerà ad aumentare negli anni a venire, con importanti benefici per tutti noi.
FONTI DATI
Report Assorimap sul riciclo meccanico delle materie plastiche. Dati 2021
Cosa può fare un’azienda per essere più sostenibile?
Ne abbiamo parlato al 10° Salone della CSR e dell’innovazione sociale
Negli ultimi anni sentiamo sempre più spesso parlare di sostenibilità e sviluppo sostenibile.
È sicuramente un bene che se ne parli e che questo concetto abbia ottenuto una posizione di rilievo all’interno delle agende politiche dei nostri governi, ma anche all’interno dell’opinione pubblica di noi cittadini.
Forse però non ci è sempre così chiaro cosa si intende per sostenibilità e sviluppo sostenibile, e cosa possono fare in concreto le aziende per raggiungere questi obiettivi.
I problemi ambientali e sociali sono temi complessi, che coinvolgono molte realtà e diversi aspetti del lavoro di un’azienda e trovare soluzioni efficaci per ridurre quanto più possibile l’impatto sugli ecosistemi, è un processo che tocca diversi attori sociali dalle competenze differenti.
Si è parlato di questi argomenti durante la 10° edizione del Salone della CSR e dell’innovazione sociale, tenutosi il 3-4 e 5 ottobre.
Il Salone è il principale evento in Italia dedicato alla sostenibilità, e offre l’importante occasione alle aziende e alle organizzazioni di confrontarsi su questi temi, di fare networking e di conoscere nuovi trend, pratiche positive e ultime novità.
Quest’anno anche Alpla Group era presente al Salone della CSR e dell’innovazione sociale e il suo Amministratore Delegato Tiziano Andreini ha tenuto una tavola rotonda, raccontando proprio attraverso quali azioni l’azienda sostenga in concreto il cambiamento in atto nel mondo della plastica.
Perché la ricerca e lo sviluppo e l’applicazione di best practices di economia circolare stanno cambiando radicalmente l’impatto che la plastica ha sull’ambiente e, operando in un settore come il packaging, la sostenibilità è parte integrante della strategia di Alpla.
Iniziamo con il vedere quali sono i comportamenti interni che un’azienda come Alpla intraprende per implementare la sua sostenibilità ambientale.

1) Una modalità è quella di gestire in modo più responsabile ed efficiente i consumi energetici all’interno dei propri impianti. Ciò permette ad Alpla di abbassare non solo i costi di produzione, ma anche l’impatto ambientale, così come impiegare fonti energetiche rinnovabili, idrico, solare, eolico, contribuisce a ridurre sensibilmente le emissioni di CO2 generate dai propri processi produttivi.
A ciò si aggiungono i progetti di produzione “IN HOUSE” all’interno delle fabbriche dei clienti Alpla. Ovvero, Alpla integra le proprie linee di produzione a quelle del cliente e la produzione degli imballaggi avviene direttamente all’interno delle strutture dove poi devono essere utilizzati. In questo modo vengono drasticamente ridotti gli imballaggi secondari quali pallets, cartoni, buste di plastica e azzerato il trasporto su gomma, con un notevole vantaggio sull’impatto ambientale.

2) Allo stesso tempo Alpla lavora proattivamente, dal punto di vista delle tecnologie e dei materiali, per fare in modo che entro il 2025 tutti gli imballaggi da loro prodotti siano riciclabili al 100%.
Infatti, per ciò che concerne lo sviluppo di nuovi imballaggi, vengono seguiti i principi del “design 4 recycling”, che significa progettare confezioni che siano facilmente riciclabili e che impieghino quantitativi di plastica ridotti, pur mantenendo inalterate le loro caratteristiche e funzionalità.

3) Abbiamo visto che il concetto di riciclo fa parte delle linee guida produttive di Alpla, ma è anche un settore all’interno del quale Alpla investe.
Dispone infatti di impianti di riciclaggio di proprietà, che permettono all’azienda di mantenere le plastiche dentro un ciclo virtuoso in cui ai materiali viene data nuova vita.
Durante la produzione del PET riciclato, per intenderci quello delle bottiglie, si produce solo un decimo delle emissioni di gas serra rispetto a quanto accade con il materiale vergine, ed è soprattutto sull’R-PET e nella trasformazione ‘bottle-to-bottle’, che Alpla punta, con la recente apertura dello stabilimento di riciclaggio PET di Anagni che ha richiesto un investimento di 6,5 milioni di euro.
Qui vengono riciclate bottiglie di plastica e trasformate in resina post consumo, che viene quindi utilizzata per produrre nuovamente delle bottiglie. Una vera e propria strategia close the loop.
L’attenzione di Alpla verso la plastica riciclata, e le sue strategie produttive, vanno d’altronde di pari passo con le normative europee, che ci chiedono, entro il 2025, di utilizzare per imballaggio il 25% di plastica riciclata, e il 30% entro il 2030.
Ma per Alpla, la sostenibilità si persegue anche fuori dai processi produttivi.
Alpla è da anni promotrice dell’economica circolare: è stata una delle prime sottoscrittici di Ellen MacArthur Foundation, uno dei più importanti enti internazionali che si occupa appunto di economia circolare e sostenibilità, e che accompagna imprese e realtà legate all’istruzione all’interno dei processi di transizione ecologica.
Questa visione aziendale viene concretizzata da Alpla anche con la promozione di iniziative esterne di sensibilizzazione ed educazione sul corretto riciclo della plastica.
Uno di questi progetti è proprio ‘La Plastica è Cambiata’, che sui social e attraverso questo blog cerca di sfatare alcuni dei falsi miti e di dare informazioni utili su questo materiale.
Alla base del progetto vi è la consapevolezza di come un uso sostenibile ed ecologicamente giusto della plastica e degli imballaggi plastici, che negli anni si sono evoluti a livello di materiali e tecnologie produttive, costituisca il fondamento per assicurare che le generazioni future possano vivere in un ambiente sano e sempre più evoluto dal punto di vista del benessere sociale e individuale.

Oltre a ciò, Alpla ha avviato un progetto di educazione alla sostenibilità rivolto ai bambini della scuola primaria con l’obiettivo di avviare un percorso per una maggiore consapevolezza sulla plastica, promuovendo così un costante impegno al riciclo e al riuso per arrivare a considerare la plastica come risorsa sostenibile per il futuro.
Naturalmente questa è la fotografia di come opera l’azienda Alpla, ma speriamo di avervi dato un’idea più chiara di come un’impresa può agire secondo i valori della sostenibilità, sia attraverso i processi aziendali e di produzione interni, ma anche attivando all’esterno dell’azienda progetti che vadano a migliorare l’ecosistema sociale e l’ambiente sui quali impatta l’impresa stessa.
Diverse tipologie di plastica, diversi usi, diversa differenziazione
Le materie plastiche sono davvero numerose e varie per composizione e caratteristiche.
Possiamo dire che nascono da catene di polimeri, che possono essere puri o miscelati con additivi per ottenere le funzionalità necessarie.

Una prima classificazione suddivide le materie plastiche in:
- Termoplastiche: riscaldate diventano malleabili e possono essere modellate e quindi tornare rigide con il raffreddamento. Tale processo può essere ripetuto più volte.
A questo gruppo appartengono la maggior parte delle plastiche.
- Termoindurenti: anche in questo caso, se riscaldate possono essere modellate della forma desiderata, ma una volta indurite, se riscaldate nuovamente non tornano più malleabili, ma si carbonizzano.
A questo gruppo appartengono principalmente le resine.
- Elastomeri: presentano elevata deformabilità ed elasticità.
In questa sede vogliamo approfondire un tipo di classificazione che è particolarmente utile a noi consumatori, per l’attività di differenziazione e riciclo.
Il sistema americano detto SPI (Society of the Plastics Industry), infatti, classifica i polimeri plastici in base alla loro riciclabilità, ed è presente su tutti i prodotti in plastica, con il simbolo di un triangolo e al suo interno un numero corrispondente al tipo di materia plastica.
Questa classificazione arriva fino al numero 7: i primi sei numeri identificano materie plastiche riciclabili, mentre il numero 7 è apposto su materiali non differenziabili.
Vediamo nello specifico questi 7 numeri e a quali plastiche fanno riferimento.
- 1: PET
Di questa tipologie di plastica fanno parte la quasi totalità di bottiglie di acque e bibite.
È un materiale facilmente riciclabile, con numerosi cicli di riciclo, visto che mantiene intatte le sue caratteristiche a lungo.
- 2: HDPE
Polietilene ad alta densità.
È un tipo di plastica dura e resistente che viene usata per diversi scopi, tra cui: cavi e tubi, bottiglie per il latte, flaconi di detersivo, tappi delle bottiglie, mobilio di plastica.
È facilmente riciclabile.
- 3: PVC
Polivinilcloruro.
È il polimero con cui sono fatti i dischi in vinile, e molti altri materiali, come: tubi per l’edilizia, cavi elettrici, pavimenti vinilici, coperture per capannoni e camion.
- 4: LDPE
Polietilene a bassa densità.
È un materiale leggero e flessibile ed è impiegato per produrre sacchetti di plastica e pellicole per gli imballaggi.
- 5: PP
Polipropilene.
Scoperto dall’italiano Giulio Natta, è usato per produrre molti oggetti di uso comune, dai barattoli ai giocattoli per i bambini.
- 6: PS
Polistirene, o comunemente più conosciuto come Polistirolo.
Molto usato negli imballaggi e come isolante acustico.
Le altre plastiche, che rimangono fuori da questa classificazione, sono polimeri che non appartengono alle categorie sopra citate, o che nascono dalla combinazione delle precedenti.
Speriamo di avervi aiutato nel riconoscere il tipo di plastica di cui è composto ciò che usiamo tutti i giorni.
Ricordiamo sempre che, in Italia, è possibile conferire nella raccolta differenziata solo la plastica da imballaggio, per le altre tipologie è opportuno contattare il proprio Comune per ricevere le istruzioni su come smaltirle al meglio.
Le nuove plastiche prodotte in ottica di riciclo
Potrebbe esserti capitato di leggere o sentire la definizione “Design for Recycling”, in discussioni relative al riciclo. In questo articolo cerchiamo di vedere insieme cosa si intende con questo termine, e perché è così importante.
Facciamo una premessa: quando parliamo di riciclo, intendiamo quel processo in grado di trasformare i prodotti usati, nel nostro caso i prodotti a base di materiale plastico, in materia prima riutilizzabile per produrre nuovi oggetti, tessuti, imballaggi, e molto altro. Abbiamo raccontato come avviene il riciclo in questo articolo qui.
Dobbiamo dire che, perché un imballaggio di plastica possa essere riciclato, deve risultare idoneo al riciclo.

Il PET, o le bottiglie di plastica si adattano molto bene al processo di riciclo, perché sono composte da un solo materiale plastico e perché hanno un colore che viene ben recepito dai sistemi automatici di selezione degli impianti di riciclaggio e vengono separati facilmente dai tappi, per esempio.
Ma non è sempre così semplice.

A volte, una confezione, per esigenze di ergonomicità, di marketing, di conservazione del prodotto contenuto, è realizzata da più parti plastiche di diversa composizione, o con combinazioni di materie plastiche differenti, o con colori particolari, che rendono davvero complesso, e a volte impossibile, un corretto riciclo.
Visto che il riciclo è uno degli aspetti principali, oggi, per garantire la sostenibilità della plastica, si è deciso di studiare imballaggi che possano garantire la possibilità di essere riciclati.
Ecco cosa si intende per Design for Recycling.
Design for Recycling è la garanzia della riciclabilità di un materiale, e quindi della sua sostenibilità.
Possiamo parlare anche di eco-design, il significato non cambia: progettare imballaggi che siano funzionali, comodi e accattivanti, ma anche riciclabili. Che possano assicurare un processo di riciclo facile ed economico, con quindi basso dispendio di tempo e di costi per lavorare i materiali, e naturalmente che garantiscano l’assenza di materiali pericolosi.
Favorire la riciclabilità è un fine a cui tendere per migliorare la salute del nostro pianeta, ma è anche un obiettivo imposto a livello comunitario: l’Unione Europea ha infatti stabilito che entro il 2030 tutti gli imballaggi dovranno obbligatoriamente essere riciclabili.
In questa direzione stanno andando gli sforzi delle principali aziende produttrici di imballaggi plastici.
Un esempio concreto di cosa si intende per Design for Recycling è il caso Henkel.

Dovete sapere che la plastica scura è particolarmente difficile da gestire in un processo di riciclo.
Per continuare a realizzare flaconi di detersivi per il bucato come Perlana Nero e il packaging di cosmetici come Gliss Supreme Repair, che noi tutti conosciamo e riconosciamo perché di colore nero, Henkel ha sviluppato una soluzione innovativa che permette di avere imballaggi in plastica nera completamente riciclabili.
Infatti, realizzate con un colore nero privo di carbonio, le confezioni non vengono scartate dai sistemi di riciclo delle plastiche, ma vengono normalmente processate e trasformate.
Non è un caso che Henkel abbia vinto nel 2021 il Design for Recycling Award per questa importante innovazione.
Per premiare infatti i prodotti realizzati al meglio in ottica di riciclo e sostenibilità, nel 2019 sono stati istituiti i Design for Recycling Awards, un riconoscimento lanciato dall’ISRI (Institute of Scrap Recycling Industries) che svolge anche la funzione di incentivare le aziende produttrici e utilizzatrici di packaging plastici, a progettare materiali sempre più sostenibili, con la finalità di ridurre il loro impatto sul pianeta.
Quando affermiamo che la plastica è cambiata, facciamo riferimento anche a questo tipo di ricerca e attenzione, che spesso sfugge alla conoscenza dei consumatori, perché è difficilmente riconoscibile o intuibile da una persona non addetta ai lavori, ma sono scelte rivoluzionarie, che permettono davvero di fare la differenza in tema di sostenibilità ambientale della plastica.
La plastica e i suoi falsi miti
Le materie plastiche sono cambiate molto in questi ultimi anni, e così è mutata la consapevolezza di aziende produttrici e dei consumatori, sul loro impatto ambientale.
Questo ha innescato dei nuovi processi che ci vedono tutti coinvolti in ottica di riduzione, riutilizzo e riciclo della plastica.
La plastica rimane un materiale chiave per molti ambiti, dove alternative non sarebbero altrettanto funzionali sotto diversi aspetti.
Abbiamo imparato che se viene impiegata in modo responsabile e se viene riciclata il più spesso possibile dopo l’uso, è un materiale sostenibile per il nostro pianeta.
Nonostante ciò, vediamo circolare ancora molti pregiudizi o mezze verità sulla plastica, che vorremmo analizzare insieme.

1) La plastica costituisce la parte più grande dei rifiuti da imballaggio.
La realtà è che: gli imballaggi di plastica costituiscono solo una piccola parte dei rifiuti da imballaggio.
› In tutta Europa, gli imballaggi di plastica sono responsabili solo del 19% circa di tutti i nostri rifiuti da imballaggio.
› Carta e cartone contribuiscono in misura decisamente superiore rispetto alle materie plastiche alla quantità totale di rifiuti da imballaggio, aumentata solo leggermente dal 2007.

2) Vetro, carta e metallo sono più ecologici della plastica.
La realtà è che: Il PET è un materiale da imballaggio sostenibile.
› Se si confrontano i bilanci ecologici di diversi materiali da imballaggio, la plastica risulta spesso migliore di vetro o metallo.
› Nella produzione delle bottiglie per bevande di PET (alla luce del minor fabbisogno energetico), viene emessa una minore quantità di CO2 rispetto a quanto avviene nella produzione delle bottiglie di vetro.
› La plastica è molto leggera e, rispetto ad altri materiali da imballaggio, causa l’emissione di una minore quantità di CO2 durante il trasporto.
› Un grande vantaggio del PET è che è riciclabile molto bene e con un basso consumo di risorse. Nel bilancio ecologico, le bottiglie con un’alta quota di materiale riciclato sono decisamente in vantaggio.

3) L’industria non fa nulla per ridurre il consumo di plastica.
La realtà è che: Grazie alle ottimizzazioni, nell’Europa Occidentale si risparmiano ogni anno quasi 6,2 milioni di tonnellate di plastica.
› Dal 1991, gli imballaggi di plastica sono diventati mediamente più leggeri del 25% ad esempio grazie alle caratteristiche migliorate dei materiali, ai progressi nella tecnica produttiva e al design. Nella sola Europa occidentale, questo produce un risparmio di quasi 6,2 milioni di tonnellate di plastica all’anno.
› Nonostante la riduzione di peso, tutti gli imballaggi di plastica soddisfano senza eccezioni tutti i requisiti funzionali, ad esempio in fatto di igiene o di sicurezza del trasporto.
Attualmente, questo non è possibile con nessun altro materiale di imballaggio.

4) Gli imballaggi di plastica ci impediscono di raggiungere gli obiettivi relativi alla co2.
La realtà è che: Gli imballaggi in plastica sono responsabili solo di una piccola parte dell’impronta di co2 di una persona.
› Nell’UE, ogni persona è responsabile di circa 8,4 tonnellate di CO2. Rispetto al traffico, all’energia e all’alimentazione, gli imballaggi sono responsabili solo di una quota minima – pari allo 0,6%!
› Un volo di andata e ritorno da Vienna a Maiorca causa il rilascio di una quantità di CO2 pari a quella rilasciata dall’uso degli imballaggi di plastica per 11 anni circa!

5) Il consumo di petrolio per gli imballaggi di plastica è elevatissimo.
La realtà è che: Solo l’1,5% del petrolio estratto nel mondo è utilizzato per la produzione di imballaggi di plastica.
› La produzione di materie plastiche consuma molte meno risorse fossili di quanto si creda.
› Inoltre, le materie plastiche usate – contrariamente ai combustibili «consumati» – possono essere rilavorate più volte, consentendo di risparmiare le risorse.
› Con le materie plastiche a base biologica, prodotte a partire da materie prime rinnovabili, esistono inoltre delle alternative adatte alle sfide future.

6) Gli imballaggi di plastica europei inquinano i mari.
La realtà è che: L’inquinamento degli oceani è un problema strutturale, non un problema legato alle materie plastiche.
› La plastica smaltita correttamente in Paesi con sistemi di smaltimento efficienti non finisce nel mare. L’80% dei rifiuti presenti nei mari del mondo proviene dalla terraferma, soprattutto da Paesi in via di sviluppo che non dispongono di un sistema di raccolta dei rifiuti capillare.
› Per questo motivo, ALPLA è impegnata attivamente in questi Paesi per:
- lo sviluppo della consapevolezza che la plastica non è un rifiuto, bensì una preziosa materia prima
- il supporto di iniziative contro l’inquinamento dei mari
- la creazione di infrastrutture per la raccolta, la differenziazione e il riciclaggio delle materie plastiche

7) Gli imballaggi di plastica finiscono comunque in discarica.
La realtà è che: Sempre meno plastica finisce in discarica.
› In tutta Europa sono raccolti sempre più imballaggi di plastica usati.
› Solo una piccola parte di essi finisce in discarica – e la tendenza è in costante calo. Allo stesso tempo, aumentano le quote di rifiuti di plastica riciclati e termo-valorizzati.
› Con la termovalorizzazione viene sfruttata l’energia contenuta nella materie plastiche. Per le materie plastiche non più riciclabili, la termovalorizzazione deve essere preferita al conferimento in discarica.

8) Gli imballaggi di plastica sono la causa della microplastica.
La realtà è che: La fonte principale è rappresentata dai tessuti sintetici e dall’attrito degli pneumatici automobilistici.
Fonti della microplastica primaria (Fonte: IUCN 2017):
› Gli imballaggi di plastica non contribuiscono all’apporto di microplastica primaria nei mari.
› La quota di microplastica secondaria è inversamente proporzionale alla quota di imballaggi di plastica smaltiti e riciclati correttamente. Ciò che viene reintrodotto nel ciclo dei materiali non può giungere nella natura e decomporsi formando la microplastica.

9) Gli imballaggi di plastica sono pericolosi per la salute.
La realtà è che: Gli imballaggi di plastica possono addirittura proteggere la salute.
› La plastica può essere addirittura benefica per la salute: l’acqua sporca, ad esempio, può essere disinfettata con i raggi UV se imbottigliata nelle bottiglie di PET trasparenti. Questa semplice soluzione può aiutare le persone nelle regioni in cui non è garantito l’accesso all’acqua potabile pulita.
› I plastificanti, come ad esempio il bisfenolo A (BPA), sono stati identificati come nocivi. Tali sostanze non sono utilizzate né nelle bottiglie per bevande di PET né nei tappi o negli imballaggi di plastica dei prodotti per il corpo o per la casa.
› L’acetaldeide è contenuto in quantità molto ridotte nelle bottiglie di PET. Questa sostanza naturale si trova anche negli alimenti ed è generata quale prodotto intermedio del metabolismo umano.
Fonti: Istituto federale tedesco per la valutazione del rischio: Domande e risposte selezionate sulle bottiglie di PET, 2015; AGPU 201, IK 2017, UBA 2013
Naturalmente la plastica, perché sia più sostenibile, non deve essere smaltita nell’ambiente, e deve essere inserita all’interno di un processo circolare di riciclo.
Così facendo la plastica diventa una risorsa, dalle numerose vite. E permette a noi di continuare a beneficiare delle sue funzionalità e caratteristiche, applicate ai più vasti settori, difficilmente sostituibili con altri materiali.
Cambia idea sulla plastica, perché lei è cambiata.
La storia della plastica: Gli anni '20, '30 e '40
Durante gli anni ’20 la plastica è un mondo ancora poco conosciuto, per questo scienziati e inventori continuano a esplorarlo con molto interesse.
1920 – Iniziano gli studi del chimico tedesco Hermann Staudinger, che fu il primo a riconoscere e studiare i polimeri, ossia le macromolecole che sono composte da micromolecole semplici, a comprendere le strutture dei polimeri e a indagare le loro possibilità di sintesi.
I suoi studi sono oggi le basi dell’industria plastica e di quella della gomma, e per questo nel 1953 gli fu assegnato il Premio Nobel per la chimica.
Negli anni ’30, anche grazie a Staudinger, la produzione della plastica si sviluppa in una vera e propria industria moderna.
Le nuove basi teoriche permettono il fiorire di scoperte in tutte le parti del mondo, e le nuove macchine a servizio dell’industria plastica, consentono la produzione in serie degli oggetti.
Nascono industrie chimiche dedicate alla ricerca e alla commercializzazione di materiali plastici.

1927 – L’azienda statunitense Union Carbide produce i primi co-polimeri a base di cloruro di polivinile e acetato di polivinile, il PVC.
L’azienda chimica americana DuPont investe molte energie nel settore delle materie plastiche, molte delle scoperte di quegli anni sono riconducibili a scienziati che lavorano per la DuPont, ed è ancora oggi titolare di numerosissimi marchi e brevetti di processi chimici e di materiali.
Commercializza l’acetato di cellulosa, un prodotto semisintetico simile alla celluloide ma senza essere infiammabile, che verrà usato per le pellicole cinematografiche.
Commercializza il polistirene, una plastica che poteva gonfiarsi con l’aria per diventare un polimero schiumoso, più noto a noi come polistirolo.

1935 – Commercializza il Nylon, sintetizzato nei laboratori DuPont da Wallace Carothers, un materiale che finalmente riusciva a riprodurre in maniera sintetica la seta, e che trova larghissimo impiego nella produzione di calze da donna. Si dice che la campagna pubblicitaria lo descrivesse come “lucente come la seta” e “forte come l’acciaio”, e che le donne comprarono tutte le scorte appena messe sul mercato.

1938 – Roy Plunkett scopre il Teflon, un materiale antiaderente, che tutti noi oggi conosciamo come rivestimento di pentole e padelle. DuPont fu la prima azienda a produrlo, per l’esercito americano, che lo testò come rivestimento per contenitori per il trasporto di materiale radioattivo.
Gli anni ’30 vedono anche lo sviluppo della produzione italiana, grazie alla storica azienda Montecatini di Firenze, che produce PVC, Nylon e altre materie plastiche.

1941 – In Inghilterra Rex Whinfield e James Tennant Dickson brevettano il polietilene tereftalato (PET), usato come fibra tessile sintetica, e poi dal 1973, come materiale per gli imballaggi alimentari.
Possiamo dire che queste 3 decadi hanno visto la scoperta delle principali materie plastiche ancora oggi utilizzate, anche se la Seconda Guerra Mondiale ha, in un certo qual modo, monopolizzato il loro utilizzo.
Se durante la guerra i metalli erano precettati per la realizzazione di armi e munizioni, ed era molto difficile reperire i prodotti naturali, come la gomma, sono state le materie plastiche a essere usate come loro validi sostituti.
Troviamo l’utilizzo delle fibre sintetiche nelle divise, nei paracadute, nelle fodere degli elmetti, e delle plastiche per componenti di aerei, alloggiamenti per antenne, canne di armi, custodie e tantissimo altro.
Durante la Seconda Guerra Mondiale la produzione di plastica aumenta considerevolmente, passando da da 213 milioni di sterline nel 1939 a 818 milioni di sterline nel 1945.
L’industria plastica ha superato il banco di prova della capacità di produzione in serie.
Ma i suoi utilizzi sono stati quasi del tutto confinati alle necessità dell’esercito. Non abbiamo ancora visto l’applicazione della plastica per la realizzazione dei prodotti destinati al consumo di massa, che avverrà nel secondo dopoguerra.
Per questo vi salutiamo e vi invitiamo ad aspettare la prossima puntata.
Costumi di scena e vasi di design: le mille possibilità del riciclo della plastica
La plastica è una costante delle nostre vite: la troviamo a casa, al supermercato e a lavoro. Un materiale che dura e resiste nel tempo (50 anni circa). Quando ne consumiamo il contenuto, il packaging di plastica viene gettato nel contenitore apposito e da qui ha tre possibili destini:
- Discarica;
- Energia;
- Riciclo
L’obiettivo primario è quello di recuperare il maggior numero di plastica in modo da darle nuova esistenza. In questo articolo raccontiamo due esempi di “nuova vita della plastica” nel campo dell’abbigliamento e del design.
Dalla plastica alla danza
Un modo intelligente di riusare la plastica lo ha proposto Helen Banks, stilista residente a Manchester. Etica e sensibilità ambientale la contraddistinguono. Helen e sua figlia hanno ideato una serie di capi per la danza classica prodotti con il filato Econyl, un tessuto che nasce dai rifiuti gettati in discarica e da quelli industriali. Completi confortevoli che stanno raccogliendo un consenso sempre più forte in Inghilterra, dalla ballerina di danza classica Mayara Magri alla Royal Ballet School.
Dalla plastica al design
Il nord Europa è molto attento alla situazione climatica e si impegna ogni giorno per cercare e proporre nuove soluzioni per il rispetto dell’ambiente. L’iniziativa promossa da Sabato si inserisce in quest’ottica: il noto magazine belga ha coinvolto i due studi di architettura House of Dus e Aectual in un progetto di ideazione di una limited edition di vasi, partendo dagli scarti di plastica recuperati nelle spiagge e nei mari.
Oggetti di design che esteticamente ricordano dei noti molluschi, le cozze. Vasi dipinti a mano con delle striature bianche e nere, realizzati con una macchina 3D. Questi prodotti di plastica riciclata combinano innovazione ed eleganza e sono in vendita fino al 30 Settembre 2021.
Gli esempi presentati in questo articolo mostrano come la plastica sia versatile e dia un forte contributo in ambito ambientale. Piccoli gesti che possono fare la differenza. Ogni singolo packaging di plastica può diventare una risorsa importante per la società e l’ambiente.