Ambiente e Sostenibilità: l’intervista a Marco Fratoddi, direttore della rivista “Sapereambiente”

Oggi parleremo con Marco Fratoddi, direttore della rivista “Sapereambiente”, che si occupa da anni di sostenibilità.  “Sapereambiente” ha tra i suoi progetti un programma di formazione, “La Scuola di ecologia”, che ogni anno organizza un “Corso di giornalismo ambientale e culturale” con un Campus in presenza. Abbiamo scelto di supportare con il nostro progetto “La Plastica è cambiata” proprio questo progetto per consolidare ancora di più le attività di approfondimento e di divulgazione della cultura sostenibile della plastica!

Leggi l’intervista!

Cosa significa per te “sostenibilità”?

Significa cercare una vita più felice per le generazioni presenti, attraverso una ridistribuzione più equa delle risorse, e per quelle che verranno, se ci abituiamo a pensare in termini rigenerativi la nostra maniera di abitare la Terra. È una sfida importante ed avvincente che richiede un approccio integrato all’innovazione, che passi attraverso le tecnologie per l’efficienza e la circolarità ma anche l’adozione di stili di vita coerenti con un’idea contemporanea di benessere, una sfida che ci chiama in causa nella nostra dimensione più profonda perché richiede a tutti noi di sentirci come parte della natura, non solo della collettività umana. E d’interpretarne gli equilibri non come vincolo ma come guida verso una fase nuova della convivenza su questo pianeta.

Ti occupi di divulgazione sulla sostenibilità e sull’ambiente da anni: secondo te com’è cambiata la narrazione su questi temi nel corso del tempo?

La comunicazione nel suo complesso è profondamente cambiata durante gli ultimi trent’anni, grazie all’avvento della sfera digitale, che guarda caso coincidono in buona parte con quelli che hanno visto affermarsi la cultura ambientale moderna. Quindi il discorso pubblico sull’ambiente si è manifestato in una fase cruciale per i modelli di comunicazione, risentendone profondamente in qualche maniera condizionandoli: siamo passati infatti da un approccio frontale ed assertivo, che pure ha dato i suoi frutti nella fase iniziale, ad uno più collaborativo e conversazionale, grazie ai social media che proiettano in rete un’idea di cambiamento fra pari che rappresenta la vera strategia per un’evoluzione autentica, mi viene quasi da dire biologica, dei nostri modelli di convivenza verso la sostenibilità. Un altro aspetto da sottolineare, a mio avviso, sta nel fatto che la comunicazione ambientale diventa sempre di più un terreno d’incontro piuttosto che di contrapposizione fra le parti, di collaborazione fra soggetti che possono integrarsi verso comuni obiettivi di responsabilità. Anche il registro si sta evolvendo, compensando quello catastrofista con un approccio centrato sulle soluzioni, l’unico d’altro canto che possa dare speranza e creare motivazione nelle persone.

Chi sono i principali interlocutori a cui si rivolge la rivista Sapereambiente?

La nostra missione è aiutare le persone a interpretare in maniera nuova la realtà, in termini sistemici e integrali, perché organizzino le proprie conoscenze in maniera utile al cambiamento, cercando la migliore coerenza fra saperi e comportamenti virtuosi, fra valori e pratiche. I nostri interlocutori sono tutti coloro che vogliano intraprendere questa strada nella propria vita personale ma anche attraverso il proprio impegno professionale e civico, i formatori impegnati nell’educazione alla sostenibilità, gli imprenditori che innovano, i decisori politici che guardano, a prescindere dalle appartenenze ideologiche, verso una società ad elevata coesione e basse emissioni di carbonio. Vogliamo intercettare l’attenzione che c’è in questa fase storica verso le tematiche ambientali e fare in modo che non sia un’occasione sprecata, praticando un giornalismo formativo che accolga tutti e aiuti anche a leggere la cronaca in maniera più consapevole, creando insomma gli anticorpi per la molta disinformazione che inquina i flussi di comunicazione.

A chi c’è necessità di parlare per diffondere una sana cultura della sostenibilità?

Penso in realtà che ci sia anche molto bisogno di ascoltare, perché quando si parla si trascura proprio quanto ci torna nella conversazione. Abbiamo bisogno di aprire il discorso con molte sfere di pubblico, direi che certamente bisogna includere i nuovi cittadini, quanti immigrano nei paesi più ricchi, compreso il nostro, che possono partecipare e dare molto a questa transizione. Sperando che le leadership politiche colmino presto il ritardo su questi temi: è davvero raro trovare decisori che si occupino di questioni ambientali con competenza e adesione autentica, credo sia una delle ragioni che spiegano la disaffezione dei cittadini dal voto. Diciamo che sarebbe auspicabile parlare anche a loro e con loro, se ci fossero orecchie disposte ad ascoltare.

Secondo te in cosa può migliorare il dibattito su questi argomenti?

I limiti sono ancora molti, non c’è dubbio. Certamente il dibattito sarebbe migliore se a livello del mainstream, nelle grandi testate giornalistiche, la notizia ambientale affiorasse in maniera meno episodica e intermittente, nell’ottica della continuità che già all’inizio degli anni Ottanta uno dei padri del pensiero ambientalista italiano, Antonio Cederna, auspicava in qualità di editorialista del Corriere della Sera. Invece, come confermano alcune recenti ricerche di Greenpeace e della fondazione Pentapolis, il discorso sulla sostenibilità resta ancora oggi in secondo piano a meno che non accada qualcosa di grave – vedi i fenomeni meteorologici estremi che periodicamente si abbattono anche sui nostri territori – oppure i grandi portatori d’opinione, da Xi Jinping a Greta, da Ursula von der Leyen a Leonard Di Caprio, fatte ovviamente le dovute differenze, non prendano la parola durante i grandi vertici annuali. Anche il giornalismo, insomma, deve mettersi in discussione se vuole partecipare al cambiamento e magari tornare ad essere interessante per il pubblico rivedendo molti criteri di notiziabilità legati ancora alla stampa delle origini.

Attraverso quali strumenti o canali può avvenire un cambiamento della narrazione ambientale e sostenibile?

Le vie sono molte, una è certamente la formazione di chi agisce, più o meno professionalmente, nel cosiddetto mercato dell’attenzione, il terreno più prezioso nel concitato sistema dei media contemporanei. Siamo orgogliosi e felici, perciò, di condividere con il progetto “La plastica è cambiata. Cambia idea sulla plastica” supportato da Alpla un’esperienza di formazione in campo giornalistico come il campus che abbiamo realizzato, all’inizio di giugno, presso la Pro Civitate Christiana di Assisi al termine del nostro Corso di giornalismo ambientale e culturale iniziato a febbraio. Abbiamo sperimentato, insieme a una ventina di nostri iscritti, una modalità espressiva che teneva insieme linguaggio fotografico e scrittura, contenuti scientifici e poesia, lavoro sul campo e gestione del testo digitale. L’obiettivo del nostro corso è formare nuove leve di narratrici e narratori che sappiano andare oltre la cronaca e praticare appunto un giornalismo formativo, che punti a raccontare i problemi ma anche le buone pratiche, a condividere con il pubblico risorse scientificamente fondate, esperienze e produzioni culturali capaci di incidere nel profondo delle identità, di mettere in discussione le nostre chiavi di lettura e creare le premesse per una nuova mentalità. Stiamo cercando di dare, nel nostro piccolo, un contributo all’innovazione in campo giornalismo e farlo insieme a chi sta cambiando la plastica e la maniera di percepirla ci sembra un’opportunità importante per unire le forze nella ristrutturazione dei nostri paradigmi interpretativi e facilitare la transizione in tempo utile con le urgenze del clima, con gli indicatori sulla perdita di biodiversità, con le istanze etiche che pone la nostra epoca.


Perché è utile tenere le bottiglie in PET nel ciclo del ‘Bottle to Bottle’?

Le bottiglie in plastica PET sono un confezionamento sicuro e comodo per le nostre bevande.

Il PET è una plastica priva di pericoli per il contatto con gli alimenti e le bottiglie prodotte in questo materiale sono resistenti, leggere, facili da trasportare e da stoccare.

Negli scaffali dei nostri supermercati troviamo la maggior parte delle acque e delle bibite confezionate all’interno di questo materiale, e sebbene le bottiglie in plastica PET siano classificate come un imballaggio usa e getta, sono, in molti casi, una scelta più sostenibile rispetto ad altri materiali sostitutivi.

Diverse ricerche scientifiche, che si sono concentrate sulla comparazione tra diverse soluzioni per il confezionamento delle bevande, sono arrivate alla conclusione che proprio la leggerezza di questo materiale, e il minor dispendio di energia in fase di produzione, permettono al PET di contenere la propria impronta di CO2 rispetto ad altre tipologie di bottiglie, rendendolo un materiale preferibile dal punto di vista ambientale.

Questi benefici si amplificano ulteriormente se il PET viene correttamente riciclato e se da esso si produce nuovo R-PET da impiegare per la produzione di bottiglie.

Abbiamo già parlato diverse volte dei vantaggi di un prodotto riciclato, ma ci teniamo a ripeterlo: impiegare materiale riciclato permette di risparmiare materie prime non rinnovabili e di ridurre le emissioni di CO2, che sono responsabili dell’innalzamento delle temperature e del cambiamento climatico in atto.

In quest’ottica le bottiglie in PET riciclato sono una scelta importante per il nostro ambiente, e ci garantiscono un prodotto dalle inalterate caratteristiche di sicurezza, resistenza e usabilità.

Il riciclo delle bottiglie in PET va incoraggiato, e soprattutto va sostenuto l’utilizzo del materiale che ne deriva, l’R-PET, per la produzione di nuove bottiglie. In questo modo il PET riesce a inserirsi all’interno di un circolo virtuoso di riciclo continuo.

Questo sistema di economia circolare viene definito bottle to bottle e a ogni suo ciclo i benefici ambientali e di produzione aumentano, riuscendo a generare valore da un oggetto altrimenti destinato a diventare un rifiuto.

Questo è il motivo per il quale affermiamo che è più utile mantenere le bottiglie di PET all’interno del circolo ‘bottle to bottle’, perchè in questo modo trasformiamo un prodotto ‘usa e getta’ in una risorsa rigenerabile per un numero elevato di volte.

Molto spesso leggiamo che il PET riciclato è utilizzato anche per realizzare oggetti di svariato tipo: vestiti, peluches, interni di automobili… naturalmente è lodevole che si cerchi di impiegare sempre maggiormente il materiale riciclato: è un segnale positivo di una crescente attenzione al tema e della nascita di una visione industriale che procede in questa direzione.

Eppure, così facendo, il processo di economia circolare innescato con il riciclo delle bottiglie è destinato a interrompersi.

Ad oggi, infatti, questi tipi di oggetti non vengono riciclati e sono destinati ad andare ad aumentare la quantità dei rifiuti in discarica alla fine del loro ciclo di vita.

Quando si parla di plastica, di riciclo e di sostenibilità, è sempre bene avere una panoramica globale sul prodotto, e una visione a lungo termine sul progetto.

Quindi, per quanto possibile, cerchiamo di mantenere il riciclo del PET all’interno del ciclo ‘Bottle to Bottle’, e di non interrompere questo processo circolare virtuoso, dai benefici scalabili.


La Plastica riciclata diventa Arte

La plastica è arrivata sul mercato ed è entrata a far parte dei nostri consumi a metà del secolo scorso.

Oggi, come abbiamo più volte ricordato, utilizziamo questo materiale ogni giorno, e lo troviamo impiegato negli oggetti di uso comune, così come nei sofisticatissimi componenti che fanno funzionare le nostre macchine o i nostri device elettronici.

Possiamo dire che la plastica ha rivoluzionato le nostre vite, facendo nascere nuove consuetudini e permettendo la realizzazione di invenzioni importanti in molti settori.

Sicuramente ci ha lasciato anche un dovere notevole: quello di imparare a gestirla in un modo più consapevole rispetto al passato, riciclandola e riducendone l’utilizzo superfluo.

La plastica è infatti un materiale che si modella facilmente, e che, dopo il suo utilizzo, può trasformarsi di nuovo in materia prima riciclata.

Tutti questi aspetti non potevano far altro che stimolare anche il pensiero artistico contemporaneo.

Diversi sono infatti gli artisti che hanno messo la plastica al centro della loro arte. Non solo come materiale apprezzato per le sue caratteristiche tecniche, ma anche come oggetto simbolo della trasformazione, del divenire, del reimpiego e del riciclo.

Il collettivo più famoso è probabilmente Cracking Art, che dal 1993 ha iniziato a esporre in tutto il mondo le sue enormi sculture a forma di animale realizzate in plastica riciclata.

Credits: Cracking Art

L’animale iconico della Cracking Art è la chioccola gigante, allo stesso tempo simbolo dell’immediata comunicazione digitale, ma anche della lentezza.

In queste opere artistiche la plastica riciclata è utilizzata come materia prima, plasmata nuovamente per dare forma a qualcosa di diverso.

Altri artisti invece hanno deciso di lavorare con i rifiuti plastici senza trasformarli: quindi bottiglie, tappi, cannucce, assemblati per creare opere dal significato nuovo.

L’artista Veronika Richterovà, per esempio, impiega quasi esclusivamente le bottiglie di plastica e definisce la sua espressione artistica come “pet-art”.

Non solo, l’artista Richterovà ha visto negli anni evolvere le bottiglie di plastica da lei utilizzate, e ha deciso di raccontare questo cambiamento e tenere traccia delle confezioni che altrimenti sarebbero scomparse, dando vita a un vero e proprio Museo di bottiglie in plastica PET.

Ad oggi questo museo raccoglie più di 3000 bottiglie, provenienti da 76 paesi diversi.

Anche l’artista britannica Jane Perkins è una nota esponente dell’arte del riciclo, si autodefinisce “re-maker”, perché dà una vita nuova e diversa a oggetti di scarto, creando bellissime interpretazioni di immagini, quadri e scatti fotografici iconici e noti a tutti noi.

Jane Perkins ci permette di guardare con occhi nuovi, non solo i rifiuti usati, ma la stessa opera originale presa a modello.

Un altro esempio è dato dall’artista Alejandro Duran, che si concentra sulla plastica nel suo progetto Washed Up: Transforming a Trashed Landscape.

Duran lavora sulla costa del Messico, dove raccoglie grandi quantità di rifiuti dai quali realizza installazioni cromatiche di forte impatto, direttamente sul luogo di raccolta.

Le sue sono opere ambientali, che desiderano sensibilizzare sul tema della spazzatura abbandonata indiscriminatamente sul nostro suolo.

Non possiamo non ricordare anche una nota esponente italiana: Annarita Serra.

Annarita Serra lavora principalmente con i rifiuti in plastica, per la maggior parte raccolti sulle spiagge, che utilizza come fossero pennellate. Le sue opere sono la rielaborazione di personaggi famosi e immagini note, e la resa estetica è così accurata, che solo avvicinandosi si scopre il materiale di cui è fatta l’opera.

Naturalmente non abbiamo citato tutti gli artisti che utilizzano la plastica, che sappiamo essere tanti, ma speriamo di avervi dato una panoramica sui più noti e sulle principali tecniche di utilizzo di questo materiale.

E voi avete mai pensato di farvi stimolare creativamente dalla plastica?


Sai che esistono le Bottiglie in PET Riutilizzabili?

Il Riutilizzo della plastica è uno degli step fondamentali, insieme al riciclo, per ridurne l’impatto ambientale. 

Ed è anche uno degli aspetti su cui l’Europa vuole puntare maggiormente l’attenzione. 

Verso la fine del 2022, la Commissione europea ha infatti proposto un regolamento per aggiornare il Circular Economy Action Plan del 2020, che vuole intervenire, oltre che sull’eliminazione degli imballaggi superflui e inutili, e sull’incentivazione del riciclo, anche sul riuso delle confezioni in plastica. 

Per favorire il riutilizzo o la ricarica degli imballaggi, l’Europa chiede che le aziende mettano a disposizione dei consumatori una certa percentuale dei loro prodotti in imballaggi riutilizzabili o ricaricabili. 

Naturalmente questo implica uno sforzo notevole di adeguamento da parte delle aziende, e un maggiore impiego della ricerca per trovare soluzioni innovative e convenienti, che sempre di più siano utili a ridurre l’impatto ambientale della plastica sul Pianeta. 

Ma un pezzo importante di questo ‘futuro’ è già qua, perché le bottiglie in PET riutilizzabili sono già state prodotte e commercializzate. 

Ricordiamo brevemente che la plastica PET è quella preferita per il packaging degli alimenti, per diversi fattori: è un polimero inerte, quindi non modifica o viene modificato da ciò con cui è a contatto, è resistente, leggero, trasparente, ed è anche la plastica più riciclata e riciclabile. 

Oggi, a questi vantaggi, possiamo aggiungere la caratteristica che può anche essere utilizzata per creare contenitori riutilizzabili. 

L’azienda produttrice ALPLA ha recentemente sviluppato e immesso sul mercato bottiglie in PET riutilizzabili, che hanno diversi plus: 

  • essere più leggere del vetro 
  • essere costituite anche da PET riciclato 
  • sostenere almeno 15 cicli di riutilizzo 
  • essere adatte a contenere acqua e bibite gassate. 

Questo consente alle bottiglie in PET di essere ancora più sostenibili. 

Il riutilizzo si traduce in valore aggiunto.  

Una bottiglia in PET riutilizzabile, che dura almeno 15 cicli, può rimanere sul mercato fino a 3 o 4 anni, riducendo notevolmente l’impatto del packaging alimentare sull’utilizzo di risorse esauribili.  

Inoltre, pur essendo riutilizzabili come le bottiglie in vetro, pesano anche il 90% in meno di queste, abbassando in maniera sensibile le emissioni di carbonio a seguito del loro trasporto e della loro produzione. 

Sappiamo che CO2 ridotta si traduce in un contributo importante a una maggiore protezione del clima e dell’ambiente. 

Proprio questo è quello che chiedono molti consumatori: prodotti più sostenibili da poter utilizzare facilmente nella vita di tutti i giorni. 

Aziende che ascoltano i loro clienti, insieme a produttori innovativi e attenti alla sostenibilità possono dare vita a prodotti come questo. 


Etichettatura Ambientale per la Raccolta Differenziata: Cos’è e come funziona in Italia e all’estero

Con il termine etichettatura ambientale si intende semplicemente l’informazione, riportata sopra ogni imballaggio destinato al consumatore, della tipologia di materiale di cui è composta la confezione e l’indicazione di dove vada smaltita, ai fini della raccolta differenziata.

Quindi, sulle confezioni, oltre alle informazioni sul prodotto contenuto, come gli ingredienti, le proprietà nutrizionali, e i luoghi di produzione e confezionamento, vanno riportati anche dati importanti sul suo packaging.

Nello specifico troviamo un codice di codifica che ci informa sul materiale di cui è composto (PET1, HDPE2, PP5, CARTA, ALLUMINIO, etc…) e una chiara indicazione per la raccolta dove va conferito (Raccolta Plastica, Raccolta Carta, Raccolta Vetro, etc…).

Spesso sono riportate anche ulteriori informazioni sulla tipologia di imballaggio (pacchetto interno, etichetta, confezione esterna, etc) e suggerimenti per fare una raccolta differenziata di qualità (separa l’etichetta, svuota l’imballaggio, etc). 

Possiamo leggere queste utili notizie perché in Italia l’etichettatura ambientale è obbligatoria.

L’11 settembre 2020 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 116, che recepisce la direttiva europea UE 2018/851 sui rifiuti, e la direttiva (UE) 2018/852 relativa agli imballaggi e ai rifiuti di imballaggio.

Precisamente, il decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 116 dispone che tutti gli imballaggi siano “opportunamente etichettati secondo le modalità stabilite dalle norme tecniche UNI applicabili e in conformità alle determinazioni adottate dalla Commissione dell’Unione europea, per facilitare la raccolta, il riutilizzo, il recupero ed il riciclaggio degli imballaggi, nonché per dare una corretta informazione ai consumatori sulle destinazioni finali degli imballaggi. I produttori hanno, altresì, l’obbligo di indicare, ai fini della identificazione e classificazione dell’imballaggio, la natura dei materiali di imballaggio utilizzati, sulla base della decisione 97/129/CE della Commissione.”

Questo decreto ha previsto la necessità di un periodo di transizione per permettere ai produttori di adeguarsi alla novità ed è entrato in vigore a partire dal 1° gennaio 2023.

Oggi quindi, i nostri cracker preferiti, i biscotti che mangiamo a colazione, o il nostro shampoo riportano obbligatoriamente le informazioni sulla composizione della confezione e sul suo corretto smaltimento.

Dove?

L’etichetta ambientale può essere riportata direttamente sul packaging, oppure tramite canali digitali, quindi sull’app del prodotto, sul suo sito web, o attraverso un Qr code apposto sulla confezione che ci rimanda a informazioni digitali.

Sicuramente una normativa che aiuta il consumatore a prendere decisioni consapevoli e a destreggiarsi meglio nella raccolta differenziata.

Ma all’interno del panorama comunitario, come si muovono in questo senso gli altri Paesi europei?

Dobbiamo dire che oltre all’Italia, solo altri 2 Paesi hanno reso obbligatoria l’etichettatura ambientale:

Conai ha redatto un report molto utile per fotografare lo stato dell’arte dell’etichettatura ambientale all’estero e dare informazioni precise anche per quelle aziende che esportano i loro prodotti fuori dall’Italia.

Il panorama è senza dubbio vario e composto da diciture, colori e simboli molto eterogenei tra di loro.

Anche se ci si aspetta una rapida evoluzione normativa, che risolva il problema e armonizzi l’etichettatura per tutta Europa.

Ancora una volta, si prevede il ricorso ai canali digitali per gestire la situazione in modo più flessibile e veloce.

Vi terremo aggiornati sulle possibili future evoluzioni.


Riconoscere e differenziare la plastica senza errori? È possibile, con l’app Junker!

Oggi parleremo di come differenziare la plastica nel modo giusto! E lo faremo attraverso il contributo di “JunkerApp”, l’app che aiuta i cittadini a differenziare in maniera corretta e rapida i rifiuti domestici. Scopri nell’articolo di JunkerApp quanto è facile riconoscere e differenziare la plastica senza errori!”

Una volta mangiato lo yogurt, dove butto il vasetto? E che fine faccio fare, invece, allo spazzolino che non uso più? E vogliamo parlare di penne, pennarelli e giocattoli? Il mondo è pieno di plastica e nel (solo apparente) caos che sembra contornare il mondo della raccolta differenziata, spesso siamo assaliti da un dubbio: cosa si getta e cosa no nell’apposito contenitore?

La cosa necessaria è partire da un presupposto: in Italia la raccolta differenziata della plastica si limita ai soli imballaggi. Al momento, infatti, non tutto può essere avviato al recupero. Per intenderci, quindi, se dobbiamo sbarazzarci di oggetti come utensili da cucina, parti di elettrodomestici o di giochi, bacinelle, sottovasi, penne, pennarelli o posate (qui l’elenco potrebbe essere infinito!), è all’indifferenziato o all’ecocentro, purtroppo, che dobbiamo affidarci. E facendo bene attenzione a cosa può andare nel bidone domestico e cosa invece bisogna portare all’ecocentro, come ad esempio i RAEE e gli oggetti ingombranti.

Cosa si conferisce nella plastica

A questo punto una cosa è chiara: per la plastica, la raccolta differenziata riguarda solo quella degli imballaggi. Gli imballaggi in plastica sono generalmente contrassegnati da una sigla che indica i polimeri da cui sono composti. I più diffusi sono i seguenti: PE (per “polietilene”, sia ad alta che a bassa densità – HDPE e LDPE), PP (per “polipropilene”), PVC (per “cloruro di polivinile”), PET (per “polietilentereftalato”), PS (per “polistirene” o “polistirolo”). Tuttavia, è bene sapere che tutti gli imballaggi in plastica, anche quelli che non recano una di queste sigle, sono conferibili.

Ecco un elenco di cose da buttare nella plastica:

  • Bottiglie per bevande.
  • Flaconi di prodotti per la casa e la persona.
  • Vasetti e barattoli per alimenti (yogurt).
  • Sacchetti e buste per pasta, salatini, caramelle, surgelati, etc.
  • Pellicole e involucri per alimenti.
  • Vaschette (es. per affettati, gelato, etc.)
  • Tubetti di dentifricio.
  • Retine per ortofrutta.
  • Polistirolo da imballaggio (sia per alimenti, sia imballaggi di elettrodomestici).
  • Grucce appendiabiti in plastica (anche con gancio di metallo).
  • Imballaggi poliaccoppiati a prevalenza plastica (es. sacchetti del caffè o blister dei medicinali).

Invece, non possono essere differenziati nella plastica:

  • Prodotti da cancelleria (penne, pennarelli, righe e righelli e altro).
  • Custodie per CD/VHS/DVD.
  • Siringhe, copri l’ago con il cappuccio.
  • Bacinelle, secchi e catini.
  • Arredi da giardino (tavoli, sedie, sdraio).
  • Tubi di plastica per irrigazione.
  • Imballaggi che hanno contenuto vernici.
  • Giocattoli: se sono di piccole dimensioni, vanno gettati nell’indifferenziato; se sono voluminosi o elettronici vanno portati a un’isola ecologica (separando e conferendo correttamente le batterie interne).
  • Sacchetti, pellicole, stoviglie e altri imballaggi se certificati biodegradabili e compostabili, che vanno nell’organico.

Per qualsiasi altro dubbio sugli imballaggi in plastica, c’è sempre Junker! L’app per la raccolta differenziata più utilizzata in Italia, con oltre 2.5 milioni di download, con una scansione del codice a barre oppure una rapida ricerca per categorie, fornisce le informazioni di conferimento aggiornate e geolocalizzate, cioè corrette in base alle regole della raccolta differenziata vigenti nel Comune in cui vive il cittadino.

Gli imballaggi inseparabili

Quanti di noi, attenti alla raccolta differenziata, si sono cimentati in tripli carpiati per separare parti di un imballaggio apparentemente indivisibili? Anche a costo di perdere tempo prezioso o addirittura di farsi male! C’è una buona notizia: alcuni imballaggi restano inseparabili anche nel bidone.

Una regola generale da seguire è la seguente: occorre rimuovere solo ciò che è facilmente asportabile manualmente. Se dunque è presente una parte difficile da separare, si può conferire comunque l’imballaggio nella raccolta differenziata…a patto che sia il bidone corretto! Come, ad esempio, i barattoli delle spezie o i deodoranti roll-on con tappo in plastica. Vediamo alcuni esempi di imballaggi inseparabili che presentano parti in plastica.

Le buste da lettera con finestra di plastica possono essere conferite nella carta, poiché la finestrella viene separata durante il processo di riciclo in cartiera. Lo stesso discorso vale per le scatole della pasta con la finestrella: separarla è gradito, ma non è obbligatorio.

I barattoli delle spezie con tappo in plastica sono spesso difficili da separare. Questi possono essere ugualmente conferiti nel vetro, che è il materiale prevalente dell’imballaggio in questione. Anche per i deodoranti roll-on in vetro vale la stessa regola – Vanno conferiti nel vetro, anche se è presente una parte in plastica non separabile.

Discorso simile per le bottiglie dell’olio, che vanno anch’esse conferite nel vetro. Ciò che in questo caso non è necessario separare sono l’etichetta e la guarnizione salvagoccia in plastica che si trova sotto al tappo, nel collo della bottiglia.

Le regole d’oro per differenziare al meglio la plastica

Oltre a sapere quali rifiuti vanno nel bidone della plastica e quali no, vogliamo fornire qualche altro suggerimento per non incorrere in errori oppure per evitare inutili sprechi.

  • Non è necessario lavare gli imballaggi prima di conferirli: questo è uno dei falsi miti più comuni sulla differenziata degli imballaggi. L’importante è che questi siano vuoti, privi di residui, ma lavarli non serve, poiché è un’operazione che verrà comunque fatta negli impianti di selezione e riciclo. Insomma, senza sprecare acqua, la differenziata sarà comunque perfetta!
  • Non è necessario staccare eventuali etichette dall’imballaggio. L’unica eccezione alla regola vale per la cosiddetta sleeve, l’etichetta che copre l’intera superficie dell’imballaggio e che dunque ne impedirebbe il riconoscimento negli impianti di selezione. Per tutte le altre etichette nessun problema, possono rimanere al loro posto.
  • Non bisogna inserire gli imballaggi uno dentro l’altro: effetto Matrioska? No grazie! Spesso si pensa che, inserendo gli imballaggi più piccoli in quelli più grandi, si risparmia spazio anche a vantaggio di chi raccoglie, ma è sbagliato! Ogni imballaggio va conferito singolarmente – altrimenti c’è il rischio che piccoli imballaggi, inseriti in quelli di dimensioni maggiori, non vengano individuati negli impianti di selezione e vadano dunque persi. Sarebbe un peccato, no?
  • La bottiglia va schiacciata in senso orizzontale e non dall’alto verso il basso, come molti fanno (anche in questo caso, per risparmiare spazio). Schiacciandola sul lato lungo, si permette agli impianti di selezione di riconoscerla più facilmente. E altro dettaglio: la bottiglia va chiusa con il tappo, che si può quindi lasciare attaccato alla bottiglia.
  • Non conferire imballaggi in bioplastica compostabile nella raccolta della plastica! Sul mercato sono sempre di più i prodotti realizzati in bioplastica certificata compostabile, quali posate, bicchieri, piatti, sacchetti, vassoi e così via. Se sull’imballaggio è presente uno o più simboli che ne certificano la compostabilità, questo andrà nella raccolta dell’umido organico e verrà poi processato in impianti di compostaggio industriale.

Hai letto l’intero articolo e hai ancora qualche dubbio? Oltre alla già citata app Junker, sempre a tua disposizione per risolvere tutti i tuoi dubbi, puoi visitare la pagina ufficiale del consorzio Corepla, che si occupa del recupero e riciclo degli imballaggi in plastica. Le informazioni presenti in Junker sono comunque sempre aggiornate e validate secondo le linee guida dei consorzi nazionali di filiera. Buona differenziata!


Il Vocabolario della Plastica. Termini ed espressioni del mondo plastica spiegati in modo chiaro.

Un commento che riceviamo spesso dagli utenti che interagiscono con i nostri account social è ‘LA PLASTICA VA ELIMINATA!’.

Ci sono persone che infatti si augurano il ritorno a un’era pre-plastica, credendo che la sola esistenza di questo materiale sia la causa diretta dell’inquinamento ambientale del nostro Pianeta.

Questa affermazione non tiene però conto di un fatto molto importante, ovvero che quando la plastica ancora non esisteva, la società era profondamente diversa da quella attuale.

Stiamo parlando degli anni precedenti al boom economico, dove i consumi erano ancora legati a una produzione locale, dove i progressi in campo tecnologico erano limitati, così come quelli in campo medicale, gli spostamenti delle persone erano ridotti, l’automobile era ancora poco diffusa e l’aereo un mezzo di trasporto riservato a pochissimi, e naturalmente non era ancora avvenuta la rivoluzione di internet e l’invenzione dei devices a esso connessi.

La plastica è largamente diffusa in tutti i settori chiave che abbiamo sommariamente elencato.

Non solo, in molti casi è stato proprio questo nuovo materiale che ha permesso l’attuarsi di alcuni progressi scientifici e tecnologici che hanno profondamente cambiato, e migliorato, le nostre vite.

Quando leggiamo o sentiamo parlare di argomenti legati alla plastica, al riciclo e all’ambiente, veniamo spesso in contatto con termini tecnici, inglesismi ed espressioni che non è così facile comprendere se non si è un po’ avvezzi alla tematica.

Eppure questi sono i vocaboli più corretti da usare e che ritroveremo sempre nei dibattiti che trattano tali argomenti.

Abbiamo pensato, quindi, per semplificare il lavoro di ricerca e di comprensione, di radunare e spiegare in modo chiaro i principali termini che potrai incontrare.

1. PET

L’acronimo PET indica il polietilene tereftalato, un poliestere termoplastico, particolarmente adatto all’uso alimentare, cosmetico e farmaceutico. 

Quasi tutte le bottiglie di acqua e bibite sono realizzate con questo materiale.

È uno dei materiali plastici più adatti al riciclo.

2. R-PET

Con R-PET (Recycled PET) si indica il materiale derivato dal riciclaggio della plastica PET e nuovamente impiegato nella produzione di imballaggi.

3. HDPE

È un tipo di plastica dura che resiste a temperature  elevate e a molti diversi solventi, e viene comunemente riciclata. 

Ha diversi utilizzi, tra cui: cavi e tubazioni, bottiglie per il latte, flaconi di detersivo, mobilio di plastica, tappi per bottiglie.

4. PP

Con l’acronimo PP si indica il polipropilene: una materia termoplastica che ha trovato le sue più vaste applicazioni nella forma isotattica.

5. PE

Con l’acronimo PE si indica il polietilene: un polimero plastico con un elevato livello di densità. È utilizzato principalmente per produrre shopper, pluriball, per il settore alimentare, per i giocattoli e per il settore edile.

6. PVC

O meglio il Polivinilcloruro è il polimero del cloruro di vinile.

Trova applicazione nella produzione di tubi per edilizia, cavi elettrici, pavimenti vinilici, coperture per capannoni e camion, e naturalmente nei dischi!

7. BOTTLE TO BOTTLE

Bottle to bottle sta a indicare quando una bottiglia è prodotta con PET riciclato, che è a sua volta riciclabile, alimentando in questo modo un ciclo di produzione chiuso e continuo, che non ha bisogno di impiegare nuova plastica vergine.

8. DESIGN FOR RECYCLING

Con questa espressione si indica il progettare imballaggi che siano riciclabili al meglio, in modo facile ed economico, ma anche funzionali, comodi e accattivanti.

9. ECONOMIA CIRCOLARE

Il sistema economico circolare è un modello di produzione e di consumo che cerca di minimizzare i rifiuti, valorizzandoli come risorsa e inserendoli all’interno di un ciclo di vita, quanto più possibile, continuo.

10. LCA o LIFE CYCLE ASSESSMENT

L’Analisi del Ciclo di Vita, in italiano, è una metodologia di analisi, che valuta l’impatto ambientale di un prodotto o di un servizio, considerando il suo intero ciclo di vita, dalla produzione allo smaltimento.

11. MACSI

Ovvero: manufatti in plastica con singolo impiego.

Con questa sigla si fa riferimento agli imballaggi in plastica monouso che saranno soggetti alla Plastic Tax.

12. PLASTIC TAX

La Plastic Tax è un’imposta sui prodotti di plastica monouso, i MACSI, di cui si sta discutendo l’introduzione o meno.

13. PLASMIX

Con Plasmix si indica quel rifiuto in plastica mista che non è adatto a un efficace riciclo. 

Oggi ci si sta concentrando molto per trovare modi diversi per riciclarlo.

14. IMBALLAGGI POLIACCOPPIATI

Sono definiti poliaccoppiati quei materiali costituiti in modo strutturale da più materiali, generalmente plastica, carta e alluminio, che non possono essere separati.

Hanno la caratteristica di essere impermeabili e sono spesso utilizzati per il confezionamento alimentare.

15. MICROPLASTICHE

Le microplastiche sono frammenti di plastica di dimensioni comprese tra 1 micrometro (1 milionesimo di metro) e 5 millimetri. 

Provengono dal lavaggio di capi sintetici, dall’attrito degli pneumatici delle auto sull’asfalto, dalle polveri di inquinamento delle città e dal deterioramento di oggetti in plastica abbandonati nell’ambiente.

16. RECUPERO ENERGETICO

La plastica che viene differenziata, ma che non può ancora essere riciclata, viene conferita a Recupero Energetico.

Ovvero viene impiegata per produrre energia al posto dei combustibili fossili.

Viene affidata prevalentemente a cementifici e termovalorizzatori efficienti.

17. CARBON NEUTRALITY

Ne sentiamo parlare sempre più spesso, anche perché diventare Carbon Neutral è uno degli obiettivi dell’Europa per il 2050.

Carbon Neutrality è quando la differenza tra le emissioni di carbonio e l’assorbimento delle emissioni è pari a 0.

Questo può avvenire attraverso la riduzione delle emissioni o attività di compensazione.

18. UPCYCLING

Con upcycling si intende la creazione, a partire da un rifiuto, di un oggetto di valore maggiore rispetto a quello di partenza.

19. RICICLO MECCANICO

Consiste nella lavorazione meccanica dei rifiuti plastici, per creare nuovo materiale vergine da impiegare nella produzione di oggetti.

20. RICICLO CHIMICO

È il processo di decomposizione dei polimeri di cui sono composti i rifiuti in plastica attraverso il calore, agenti chimici o catalizzatori.

Cercheremo di mantenere questo articolo aggiornato, inserendo nuovi termini che pensiamo possano essere utili.

Nel frattempo, se ne hai sentiti altri che pensi possano risultare poco chiari, faccelo sapere!


Cosa vorrebbe dire eliminare la Plastica dalle nostre Vite?

Un commento che riceviamo spesso dagli utenti che interagiscono con i nostri account social è ‘LA PLASTICA VA ELIMINATA!’.

Ci sono persone che infatti si augurano il ritorno a un’era pre-plastica, credendo che la sola esistenza di questo materiale sia la causa diretta dell’inquinamento ambientale del nostro Pianeta.

Questa affermazione non tiene però conto di un fatto molto importante, ovvero che quando la plastica ancora non esisteva, la società era profondamente diversa da quella attuale.

Stiamo parlando degli anni precedenti al boom economico, dove i consumi erano ancora legati a una produzione locale, dove i progressi in campo tecnologico erano limitati, così come quelli in campo medicale, gli spostamenti delle persone erano ridotti, l’automobile era ancora poco diffusa e l’aereo un mezzo di trasporto riservato a pochissimi, e naturalmente non era ancora avvenuta la rivoluzione di internet e l’invenzione dei devices a esso connessi.

La plastica è largamente diffusa in tutti i settori chiave che abbiamo sommariamente elencato.

Non solo, in molti casi è stato proprio questo nuovo materiale che ha permesso l’attuarsi di alcuni progressi scientifici e tecnologici che hanno profondamente cambiato, e migliorato, le nostre vite.

Sarebbe quindi oggi possibile un mondo senza plastica?

La risposta che viene naturale dare è ‘no’. Ad oggi non esiste un materiale sostitutivo valido per tutti i suoi impieghi, né per caratteristiche, né per sostenibilità ambientale.

Ma se fosse possibile invertire la rotta, vorremmo davvero vivere in un mondo senza plastica?

Proviamo a vedere solamente 3 dei macro cambiamenti ai quali saremmo sottoposti, se la plastica non ci fosse.

1. La sanità.

Gli apparecchi medicali realizzati in plastica sono moltissimi e sono così diffusi perché sono leggeri, facili da usare, ma soprattutto igienici.

In questo campo l’impiego della plastica ha davvero fatto la differenza e ha permesso di migliorare considerevolmente le cure mediche e di alzare gli standard delle terapie alle quali possiamo affidarci.

Basti pensare alla rivoluzione delle siringhe di plastica usa e getta, che hanno sostituito quelle in vetro, ponendo fine alla possibile trasmissione di tutti quei virus e batteri non eliminabili con la bollitura.

2. I trasporti.

Oggi siamo abituati a spostarci molto e in modo agevole, per lavoro, ma anche per il puro piacere di viaggiare.

Siamo in media quasi tutti possessori di un’automobile, confortevole e scattante, usufruiamo di autobus e metropolitana, abbiamo almeno una volta preso l’aereo.

Tutto questo senza plastica, non sarebbe così facile.

La plastica infatti è largamente impiegata nei trasporti e nell’automotive, perché è resistente, leggera ed economica.

Se non ci fosse i mezzi di trasporto peserebbero enormemente di più, non garantendo gli standard di usabilità e velocità a cui siamo abituati, e soprattutto sarebbero sensibilmente più costosi, rendendo gli spostamenti un beneficio destinato ai ricchi, proprio come una volta.

3. I devices tecnologici.

Smartphones, PC, computers, televisori, cuffie, ricevitori bluetooth, e tutti gli oggetti di questo tipo, che sono entrati a far parte della nostra vita e del nostro lavoro, senza plastica non esisterebbero.

Gran parte dei loro componenti è infatti in plastica, per le sue caratteristiche di resistenza, modellabilità e leggerezza.

Saremmo disposti a rinunciarci?

Ma soprattutto, è davvero necessario rinunciare a tutti i progressi visti finora per ridurre l’impatto ambientale della plastica sul nostro Pianeta?

Noi crediamo sempre che una gestione consapevole della plastica e il suo inserimento in un processo di economia circolare, la rendano una risorsa importante, maggiormente sostenibile per l’ambiente ed enormemente utile alla nostra esistenza.


Come nascono le confezioni in plastica più sostenibili per l’ambiente?

Il packaging buono esiste.

Spesso gli imballaggi sono incolpati di essere l’origine dell’inquinamento e la causa di un utilizzo eccessivo di plastica.

Dato come provato il fatto che per la commercializzazione di molte merci è necessaria la confezione, e che questa, come nel packaging alimentare, salvaguarda anche la sicurezza dei consumatori e l’integrità dei prodotti contenuti, possiamo tranquillamente affermare che esistono imballaggi più sostenibili di altri.

Sono quelle confezioni funzionali, che rispondono alle nostre necessità di consumatori, ma che sono allo stesso tempo riciclabili e capaci quindi di entrare a far parte di un processo di economia circolare che li farà diventare, dopo il loro utilizzo, nuovi oggetti.

Ma come si crea questo packaging ‘buono’?

Si progetta secondo i criteri dettati del “Design for Recycling”.

Sì, perché gli impianti di riciclaggio hanno fatto passi da gigante negli anni, ma è più semplice e più conveniente se sono le confezioni a tenere conto delle caratteristiche necessarie perché siano particolarmente adatte al riciclo. E questo avviene nella fase di progettazione di un imballaggio.

Per intenderci, una confezione progettata secondo i canoni dell’eco-design dovrà essere adatta al prodotto che contiene, accattivante secondo le regole del marketing, ma dovrà anche ottimizzare la quantità di plastica utilizzata, essere facile ed economicamente vantaggiosa da riciclare, così che possa essere ridotta a nuova materia vergine, e naturalmente non contenere sostanze pericolose.

Sembra semplice a dirsi, ma non è uno studio così banale, perché diversi fattori condizionano il processo di riciclo: la composizione della plastica usata, quanti tipi di plastica o di materiali diversi si compongono per dare vita a quella confezione, i colori della plastica utilizzata, e altri aspetti tecnici conosciuti da chimici e ingegneri che lavorano nel campo.

Ma allora, chi decide come deve essere una confezione e come si progetta?

La progettazione di un nuovo packaging è un’operazione che si concerta tra l’azienda produttrice e il cliente o il partner che commissiona il lavoro.

Il cliente solitamente porta sul tavolo una serie di requisiti che deve rispettare l’imballaggio: alcuni tecnici che dipendono dal prodotto contenuto e dalle funzionalità che devono espletare, altri estetici che rispondono a esigenze di marketing e comunicazione, altri ancora di sostenibilità, perché è un valore sempre più ricercato anche dalle imprese commerciali.

L’azienda produttrice ha le competenze tecniche specifiche per raccogliere tutti questi desiderata e restituire il prodotto migliore.

Un esempio pratico di questo flusso di informazioni e decisioni è il nuovo laboratorio inaugurato da Alpla ad Hard che si chiama STUDIOa.

STUDIOa è un luogo fisico dedicato allo sviluppo di nuovi imballaggi, dove azienda e cliente si incontrano.

È uno spazio dove le competenze si mescolano: le decisioni creative vengono implementate e la loro fattibilità tecnica verificata in tempo reale, e in questo modo sono in grado di dare vita a innovazioni che delineeranno il packaging del futuro.

A livello operativo STUDIOa offre supporto creativo, pianificazione della realizzazione, consulenza tecnica, la prototipizzazione e il lancio del progetto.

Uno spazio di sicura ispirazione e di progettazione congiunta.

L’imballaggio in plastica “buono” esiste ed è essenziale quando si tratta di garantire prodotti sicuri, convenienti e sostenibili per l’ambiente sia ora che in futuro.


Materiali a confronto: plastica, carta e vetro nella ricerca di McKinsey&Company

Abbiamo deciso di affrontare il tema legato ai materiali sostitutivi della plastica perché, leggendo i commenti che riceviamo online, crediamo che molte persone pensino che materiali come il vetro o la carta siano più sostenibili della plastica. 

Il consumatore, in alcuni casi, sembra auspicare a un ritorno a un passato, pensando che sia più salutare, dove al posto dei contenitori in plastica veniva usato il vetro e la carta. 

Spesso, infatti, si pensa che questi materiali siano meno responsabili dell’inquinamento ambientale e impattino in misura minore sul Pianeta.

Ma è davvero così o è uno di quei falsi miti che noi fortemente ci impegniamo a confutare?

Questa volta vi presentiamo una ricerca condotta da McKinsey & Company, “Climate impact of plastics” che si è dedicata all’analisi delle emissioni di gas serra prodotte dalla plastica e dai materiali considerati sue alternative.

Partiamo con la premessa, più che condivisibile, che non esiste il materiale perfetto, tutti hanno i loro punti di forza, ma anche di debolezza in termini di sostenibilità. Ma è altrettanto importante avere un quadro più corretto possibile sull’impatto dei prodotti che acquistiamo e adoperiamo, per poterci permettere di fare scelte consapevoli.

Perché la ricerca di McKinsey si concentra principalmente sulle emissioni di gas serra prodotte dai diversi materiali durante il loro intero ciclo di vita?

Perché le emissioni di gas serra sono direttamente responsabili del cambiamento climatico che stiamo vivendo, è infatti per questo motivo che diversi Paesi si sono dati il comune obiettivo di raggiungere entro il 2050 la carbon neutrality, ovvero di non emettere più emissioni di CO2 di quelle che possono essere riassorbite e/o compensate.

Alla luce di questo è importante conoscere quali sono i materiali meno impattanti a livello di emissioni e considerare anche questo fattore quando si analizza la sostenibilità ambientale di un prodotto.

La ricerca di MCKinsey è stata condotta sui cinque settori con il più alto consumo di plastica: imballaggio, edilizia e costruzioni, beni di consumo durevoli, automotive e tessile.

All’interno di queste categorie sono state esaminate 14 applicazioni che prevedono l’impiego di plastica, e per le quali è possibile utilizzare anche materiali non plastici come il vetro, l’alluminio, la carta.

L’analisi in questo modo ha preso in esame prodotti e utilizzi che impiegano circa il 90% del volume globale di plastica, in modo da avere uno sguardo ampio e importante sulla tematica.

Il risultato emerso è che in 13 su 14 applicazioni la plastica produce minori emissioni dal 10% al 90% inferiori rispetto ai materiali alternativi.

La ricerca infatti prende in considerazione l’intero ciclo di vita di un prodotto, così come anche gli impatti indiretti sulla catena del valore, che significa considerare anche, ad esempio, la riduzione dello spreco alimentare quando si utilizzano imballaggi in plastica, la maggiore efficienza delle auto più leggere per l’impiego della plastica, il minor consumo energetico nelle case isolate con il poliuretano.

Ma anche non considerando questi impatti indiretti e prendendo in esame solamente le emissioni generate in fase di produzione, trasporto, utilizzo e smaltimento del prodotto a fine vita, la plastica ha comunque l’impatto più basso di gas serra in 9 delle 14 applicazioni.

Questo risultato è dovuto principalmente a due fattori:

1) la plastica richiede un minor consumo di energia, rispetto alle sue alternative, per essere prodotta;

2) la plastica, essendo leggera, mette in atto una serie di efficientamenti in fase di trasporto e stoccaggio, che i suoi ‘concorrenti’ non riescono a effettuare.

La ricerca mostra chiaramente i diversi materiali a confronto per ogni applicazione, con le relative emissioni di CO2.

Crediamo, come sempre, che uno approccio scientifico a questo argomento aiuti i consumatori ad essere informati per fare scelte davvero sostenibili. A volte ci troviamo di fronte a campagne di comunicazione che cercano di spingerci verso un materiale piuttosto che un altro e conoscere i dati scientifici ci consente di avere uno sguardo informato e autonomo sul tema.