Riduzione della Plastica: quando pochi grammi fanno la differenza

Nel mondo degli imballaggi si compiono costantemente passi in avanti nella ricerca di prodotti a minor impatto ambientale. Ma spesse volte queste novità non arrivano nemmeno alla conoscenza dei consumatori.

Oppure, se i media ne parlano, sono progressi che sono difficili da comunicare, perché è complicato far comprendere l’ampia portata di questi cambiamenti.

Un esempio chiarificatore di questa situazione è la diminuzione della plastica negli imballaggi.

Da diversi anni a questa parte, le aziende stanno adottando politiche di riduzione del peso dei packaging, sia eliminando parti superflue, sia abbassando la grammatura della plastica.

Parliamo di pochi grammi a oggetto, differenze che sono praticamente impossibili da percepire da parte del consumatore.

Eppure queste riduzioni hanno un impatto molto importante nell’ambito della sostenibilità ambientale.

È una strategia di prevenzione che consente di risparmiare tonnellate di plastica vergine, con una serie di ricadute positive su tutto il ciclo di produzione.

Il primo beneficio, come abbiamo visto, è quello di salvaguardare materia prima: la mancata produzione di plastica nuova ci permette di risparmiare le relative risorse naturali, non rinnovabili, che vengono impiegate per produrla.

Meno plastica in partenza, vuol dire anche un minor dispendio di energia, con un conseguente abbattimento dell’impronta di CO2, che sarebbe stata emessa in fase di produzione.

Confezioni più piccole o più leggere comportano anche un’ottimizzazione in fase di trasporto e una minore necessità di carburante, con un’ulteriore diminuzione di emissioni di CO2.

E sempre facendo riferimento a imballaggi più piccoli, pensiamo anche allo spazio risparmiato nelle nostre case, nei nostri bidoni, negli impianti di smaltimento e nelle discariche.

In conclusione, quei pochi grammi di plastica risparmiata a confezione senza che ce ne accorgiamo, hanno su ampia scala benefici davvero molto importanti per l’ambiente.

Vediamo alcuni esempi nel concreto.

  • Le buste dei surgelati, 25 anni fa, pesavano 12,7 grammi.
    Oggi pesano 7,5 grammi.
    Il risparmio è del 37,5% di plastica.
    5,2 grammi in meno a confezione, che su scala globale e nell’utilizzo nel corso di anni, ha portato a un risparmio di migliaia di tonnellate di plastica vergine.
    Dati Corepla

  • Un vasetto di yogurt, 25 anni fa, pesava 5,8 grammi.
    Oggi pesa 4,8 grammi.
    Il risparmio di plastica è del 17%
    Dati Corepla

  • Le bottiglie da mezzo litro in PET, dal 2000 al 2011, sono passate da un peso di 16,9 grammi a 9,89 grammi.
    Il risparmio di plastica è pari al 47,7%.
    Questo processo di alleggerimento delle bottiglie ha permesso di risparmiare circa 1,5 miliardi di kg di plastica.
    Dati International Bottled Water Association (Ibwa)

Questi che abbiamo citato sono solo alcuni esempi, per mostrarvi quanto la plastica è cambiata e sta continuando a cambiare. Anche se a volte non ce ne accorgiamo.

Speriamo con i nostri approfondimenti di farvi conoscere le novità e i progressi che migliorano ogni giorno l’impatto ambientale della plastica e che consentono a noi consumatori di beneficiare della caratteristiche di questo importante materiale, guardando anche alla salute del nostro pianeta.


5 suggerimenti per ottimizzare la gestione della plastica

Siamo ormai tornati quasi tutti dalle ferie, più riposati e carichi di energie.

Per molte persone settembre è il mese che segna l’inizio dell’anno nuovo: durante le vacanze abbiamo fatto bilanci e riflessioni e siamo pronti a ripartire con progetti nuovi e buoni propositi.

Perché non dedicare una parte di questi prossimi cambiamenti a cercare di migliorare ancora la gestione della plastica all’interno delle nostre vite?

Piccole novità, da introdurre nella tua routine quotidiana, facili da seguire e dai notevoli benefici per te e per il Pianeta.

Proviamo a darti 5 suggerimenti:

1) La differenziata in ufficio

A casa nostra siamo sicuramente attrezzati per separare nel modo corretto i nostri rifiuti.

Ma siamo così ben organizzati anche sul nostro luogo di lavoro?

Spesso i piccoli uffici, i negozi, gli studi non sono dotati degli strumenti per gestire la raccolta differenziata, ma ti assicuriamo che è davvero semplice introdurla.

Proponi di acquistare i contenitori per separare i rifiuti, ne esistono di tantissimi tipi, anche poco costosi e che occupano poco spazio.

Così sarà più semplice conferire in modo corretto le bottiglie di plastica e le vaschette alimentare che spesse volte contengono il pranzo.

Una scelta che farà piacere all’ambiente, ma anche ai colleghi!

2) Premiare i comportamenti virtuosi

Abbiamo raccontato più volte nel corso degli ultimi mesi, sui nostri canali, iniziative lodevoli da parte di varie aziende, che hanno adottato soluzioni di packaging virtuose. Preferendo la plastica riciclata all’utilizzo di plastica vergine, riducendo il peso della plastica utilizzata, impegnandosi attivamente nello studio di imballaggi ottimizzati per il riciclo, e altro ancora.

Come consumatori abbiamo il potere di premiare con le nostre scelte di acquisto questo impegno.

In questo modo utilizzeremo prodotti meno impattanti sul pianeta, e allo stesso tempo daremo un segnale importante, anche alle altre aziende, che saranno spronate nell’impegnarsi ad adottare soluzioni altrettanto virtuose.

3) Mettiamo da parte la plastica che non può essere riciclata

Sappiamo che attualmente la raccolta differenziata in Italia si applica unicamente agli imballaggi.

Per cui, utensili, giocattoli, parti di oggetti in plastica, vanno conferiti nell’indifferenziata.

Il nostro consiglio è quello di non avere fretta di gettare questi oggetti nella spazzatura.

Raccoglili in un contenitore dedicato, potrebbero diventare gli elementi per un’attività creativa da fare con i tuoi bambini, oppure essere trasformati in recipienti, vasi, e perfino gioielli di recupero.

Abbiamo parlato diverse volte di riciclo creativo, sicuramente sui nostri canali social potrai trovare qualche spunto utile!

4) Il calendario intelligente del ritiro della plastica

In diverse città ha ormai preso piede la raccolta porta a porta dei rifiuti: questo sistema implica che i ritiri siano effettuati in giorni specifici, e quindi da parte nostra è necessaria una piccola attività di organizzazione per depositare i rifiuti secondo le modalità richieste dal nostro Comune.

Per rendere più semplice questa gestione, possiamo affidarci agli assistenti virtuali che ormai spesso abbiamo in casa: il noto Alexa, ma anche i suoi colleghi di Google ed Apple, e chiedere loro di impostare un avviso ripetitivo per ricordarti quando portare giù la plastica. 

5) Non buttare nell’indifferenziata ciò che può essere riciclato

Naturalmente questo problema si presenta quando siamo fuori casa, per strada o in un parco, dove magari troviamo solo cassonetti generici.

È un peccato conferire nell’indifferenziata l’involucro della merendina o la bottiglietta d’acqua vuota, confezioni che invece grazie al riciclo avrebbero la possibilità di essere nuovamente trasformati in materiale riutilizzabile.

Porta con te una piccola borsa pieghevole, ce ne sono alcune che stanno davvero nel pugno di una mano, e conserva la tua spazzatura fino ad arrivare a un contenitore per la raccolta della plastica, dove potrai differenziarla nel modo corretto.

Queste sono solo alcuni consigli, che speriamo siano semplici e facili da implementare nella tua quotidianità. Sicuramente i benefici per te e per l’ambiente saranno importanti.

Tu hai altri suggerimenti da condividere su strategie per gestire al meglio la plastica nella vita di tutti i giorni?


Diverse tipologie di plastica, diversi usi, diversa differenziazione

Le materie plastiche sono davvero numerose e varie per composizione e caratteristiche.

Possiamo dire che nascono da catene di polimeri, che possono essere puri o miscelati con additivi per ottenere le funzionalità necessarie.

Una prima classificazione suddivide le materie plastiche in:

  • Termoplastiche: riscaldate diventano malleabili e possono essere modellate e quindi tornare rigide con il raffreddamento. Tale processo può essere ripetuto più volte.
    A questo gruppo appartengono la maggior parte delle plastiche.

 

  • Termoindurenti: anche in questo caso, se riscaldate possono essere modellate della forma desiderata, ma una volta indurite, se riscaldate nuovamente non tornano più malleabili, ma si carbonizzano.
    A questo gruppo appartengono principalmente le resine.

 

  • Elastomeri: presentano elevata deformabilità ed elasticità.  

In questa sede vogliamo approfondire un tipo di classificazione che è particolarmente utile a noi consumatori, per l’attività di differenziazione e riciclo.

Il sistema americano detto SPI (Society of the Plastics Industry), infatti, classifica i polimeri plastici in base alla loro riciclabilità, ed è presente su tutti i prodotti in plastica, con il simbolo di un triangolo e al suo interno un numero corrispondente al tipo di materia plastica.

Questa classificazione arriva fino al numero 7: i primi sei numeri identificano materie plastiche riciclabili, mentre il numero 7 è apposto su materiali non differenziabili.

Vediamo nello specifico questi 7 numeri e a quali plastiche fanno riferimento.

  • 1: PET

Di questa tipologie di plastica fanno parte la quasi totalità di bottiglie di acque e bibite.

È un materiale facilmente riciclabile, con numerosi cicli di riciclo, visto che mantiene intatte le sue caratteristiche a lungo.

 

  • 2: HDPE

Polietilene ad alta densità. 

È un tipo di plastica dura e resistente che viene usata per diversi scopi, tra cui: cavi e tubi, bottiglie per il latte, flaconi di detersivo, tappi delle bottiglie, mobilio di plastica.

È facilmente riciclabile.

 

  • 3: PVC

Polivinilcloruro. 

È il polimero con cui sono fatti i dischi in vinile, e molti altri materiali, come: tubi per l’edilizia, cavi elettrici, pavimenti vinilici, coperture per capannoni e camion.

 

  • 4: LDPE

Polietilene a bassa densità.

È un materiale leggero e flessibile ed è impiegato per produrre sacchetti di plastica e pellicole per gli imballaggi.

 

  • 5: PP

Polipropilene. 

Scoperto dall’italiano Giulio Natta, è usato per produrre molti oggetti di uso comune, dai barattoli ai giocattoli per i bambini. 

 

  • 6: PS

Polistirene, o comunemente più conosciuto come Polistirolo.

Molto usato negli imballaggi e come isolante acustico.

Le altre plastiche, che rimangono fuori da questa classificazione, sono polimeri che non appartengono alle categorie sopra citate, o che nascono dalla combinazione delle precedenti.

Speriamo di avervi aiutato nel riconoscere il tipo di plastica di cui è composto ciò che usiamo tutti i giorni.

Ricordiamo sempre che, in Italia, è possibile conferire nella raccolta differenziata solo la plastica da imballaggio, per le altre tipologie è opportuno contattare il proprio Comune per ricevere le istruzioni su come smaltirle al meglio.


I giovani e il futuro della plastica

Oggi i temi ambientali sono al centro delle agende politiche e dell’attenzione mediatica.

Ma dobbiamo ammettere che non è sempre stato così.

Le generazioni più anziane, che sono cresciute durante gli anni ’60 e ’70, sono state travolte da una rivoluzione dei consumi quasi inaspettata, che si è sviluppata in modo molto rapido e che ha visto l’entrata sul mercato di moltissimi prodotti fatti in plastica.

La sorpresa e l’entusiasmo per un benessere fino a quel momento sconosciuto, hanno sicuramente offuscato l’attenzione sulle ricadute negative di un utilizzo indiscriminato della plastica sul Pianeta.

Ed è anche per questo motivo che l’arrivo di questo nuovo materiale sul mercato di massa non è stato accompagnato da una corretta educazione alla sua gestione e da politiche adeguate in termini di impiego e di riciclo.

Oggi quelle generazioni, rappresentate dai nostri genitori o dai nostri nonni, sono quelle che più faticosamente si sono dovute impegnare nell’adattarsi a nuovi modelli di comportamento, più attenti all’impatto della plastica sull’ambiente. 

La generazione dei giovani adulti invece si è formata con queste tematiche, e possiamo dire che ha ben adattato la propria vita a un utilizzo più consapevole della plastica.

È proprio questa generazione che ha portato in primo piano la necessità di creare comunità più sostenibili e che si sta impegnando, nei diversi settori chiave, per progredire nella ricerca, per creare innovazione, per strutturare processi migliori e meno impattanti sul Pianeta.

Ma è sotto gli occhi di tutti che è sicuramente la Generazione Z, quella più coinvolta dai temi di eco-sostenibilità. 

Ne fanno parte il popolo di Greta Thunberg e dei FridaysForFuture, sono ragazzi preoccupati per l’esaurirsi delle risorse del Pianeta e per i cambiamenti climatici. 

Sono attenti alle energie rinnovabili, alla salvaguardia degli ecosistemi e sono guidati da modelli di consumo rispettosi dei mondi animale e vegetale.

Hanno interiorizzato comportamenti virtuosi, come il riciclo, la riduzione di ciò che è superfluo, l’importanza dell’economia circolare, e sono valori che non solo portano avanti in prima persona, ma che ricercano anche nelle loro figure di riferimento e nei brand che seguono.

La Generazione Z dà un grande valore all’impegno attivo dei marchi in tema di sostenibilità ambientale, di impiego di materie prime riciclate e di riduzione di emissione di CO2.

E questo prospetta su tutti un futuro più roseo, garantendo che rimarrà alta la soglia di attenzione all’ambiente e costante la ricerca in tale senso.

Ma possiamo ritenerci soddisfatti?

È bene puntare sempre più avanti, e per quanto le generazioni dei giovani oggi si dimostrino così consapevoli e attente in termini di sostenibilità, non dimentichiamoci di coloro i quali saranno i ‘prossimi’ giovani, e quindi i bambini!

I bambini rappresentano sempre il nostro futuro perché saranno i responsabili del mondo di domani.

È per questo che è necessario educare, giocando, fin dalla primissima età, alla gestione consapevole della plastica.

L’esempio più grande viene sempre dai comportamenti che si vedono messi in atto in famiglia, per cui se un bambino osserva i genitori che svolgono una corretta raccolta differenziata, si impegnano a riciclare, privilegiano scelte rispettose, queste pratiche verranno interiorizzate fino dall’infanzia.

Ma anche la scuola ha un ruolo importante nell’informazione e nella formazione di giovanissimi individui.

È per questo che ALPLA promuove nelle scuole laboratori specifici, che educano i bambini su cosa sia la plastica e su come vada trattata, per far sì che diventi una risorsa utile per noi e per il Pianeta.

Il futuro della plastica e il futuro del Pianeta sono nelle loro mani.


Il Riciclo della Plastica cresce anche nel 2021

Corepla, il Consorzio Nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica, ha pubblicato i primi dati sulla raccolta della plastica, relativi all’anno 2021, durante l’Assemblea del Consorzio svoltasi a Milano l’11 maggio 2022.

I dati raccontano una performance positiva e in continuo miglioramento anno su anno.

I risultati sono particolarmente apprezzabili, tenendo conto della situazione complessiva, che ha visto il 2021 come un anno complesso, caratterizzato da difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, e da un generale aumento dei costi delle risorse e dell’energia.

Vediamo insieme qualche numero:

  • La raccolta differenziata degli imballaggi in plastica continua a crescere: + 3% rispetto al 2020. In volume la plastica raccolta è stata di 1.475.747 tonnellate.

Questo significa che ogni italiano, in media, ha differenziato 24,9 kg di plastica.

I tassi di crescita sono stati particolarmente positivi nelle regioni con le performance peggiori durante gli scorsi anni, portando a un comportamento in termini di raccolta differenziata, pressoché omogeneo tra tutte le regioni italiane. 

Le più virtuose sono: Sardegna e Umbria, rispettivamente con 34 e 32 kg per abitante.

Questi risultati sono frutto sicuramente di un servizio di raccolta e riciclo capillare in tutto il Paese (il 96% dei Comuni ha infatti un sistema di raccolta differenziata), ma anche di campagne di sensibilizzazione continue che hanno reso i cittadini consapevoli e particolarmente attenti al giusto conferimento dei loro rifiuti.

Vediamo ora come è stata recuperata la plastica raccolta, ovvero quanta di essa è stata avviata a riciclo e quanta a recupero energetico.

  • Nel 2021 sono state riciclate 1.020.000 tonnellate di plastica, provenienti prevalentemente da raccolta differenziata urbana.
    Nel 2020 erano state riciclate 900.000 tonnellate di imballaggi plastici.

684.615 tonnellate di rifiuti da imballaggio in plastica sono stati gestiti da Corepla, ai quali vanno aggiunte 299.000 tonnellate riciclate da operatori industriali indipendenti e provenienti dalle attività commerciali e industriali.

Fuori da questo conteggio, ma comunque indicativi ai fini del risultato complessivo, potremmo aggiungere ulteriori 71.000 tonnellate gestite dai consorzi autonomi Sistema PARI e Conip.

  • Nel 2021 sono state conferite a recupero energetico 314.964 tonnellate di imballaggi plastici.

Di questo gruppo fanno parte quegli imballaggi che ancora non possono essere riciclati e che vengono quindi destinati a produrre energia, al posto di utilizzare combustibili fossili. 

Corepla ha destinato questi rifiuti per l’85,8% a cementifici (47,3% in Italia e 38,5% all’estero) e per il 14,2 presso termovalorizzatori efficienti.

Interessante, anche in questo caso, il confronto con il 2020, quando è stato conferito a recupero energetico un volume maggiore di rifiuti: 377.807 tonnellate di imballaggi plastici.

Una propensione maggiore al riciclo è infatti sempre auspicabile, visto i grandi benefici che porta con sé.

A chiudere questi primi dati sull’andamento del 2021, riportiamo il commento del Presidente di Corepla Giorgio Quagliuolo, che ricalca il nostro augurio, ovvero che pur tenendo conto dei buoni risultati ci sia ancora la spinta a migliorare: 

“I numeri emersi oggi attestano che la strada è quella giusta; ora però è necessario uno sforzo ulteriore da parte di tutti per mantenere l’eccellenza che abbiamo raggiunto in termini di percentuale di raccolta differenziata degli imballaggi in plastica e di avvio a riciclo. Noi continueremo a mettere a disposizione del Paese la nostra competenza ed esperienza per costruire sui traguardi di oggi, gli ambiziosi obiettivi di domani”.


Il Riciclo non va in vacanza: buone pratiche per l’estate

L’estate ormai è arrivata e noi siamo in ferie o in procinto di partire.

In questo periodo i nostri ritmi si allentano, la nostra routine quotidiana si modifica, ma c’è un aspetto sul quale è bene mantenere alta l’attenzione: il riciclo della plastica.

Anche in vacanza, infatti, non dimentichiamoci di differenziare i nostri rifiuti.

Possiamo quasi dire: soprattutto durante l’estate! Quando la nostra vita si svolge per la maggior parte all’aria aperta e a contatto con la natura, non lasciamo tracce sgradevoli del nostro passaggio.

Bastano poche abitudini semplici, ma di grande impatto per la salute del Pianeta e in grado di preservare la bellezza dei luoghi in cui ci troviamo.

Ti lasciamo 5 semplici consigli per gestire senza stress il riciclo della plastica anche in estate.

1) Informati sulle regole per la raccolta differenziata

Oramai la quasi totalità dei comuni è attrezzata per la raccolta differenziata della spazzatura, e quindi anche dei rifiuti in plastica.

È però vero che ogni località ha le sue modalità di raccolta.

Chiedi, prima di partire, quali siano le regole da seguire al tuo albergatore, al proprietario della casa che affitti, o direttamente al Comune dove soggiornerai.

2) Usa i cestini della raccolta differenziata

Molte aree turistiche, come spiagge, aree pic nic, percorsi di trekking, sono dotate di cestini per la raccolta differenziata.

Non in tutti i posti è così però, più ci addentriamo nella natura e nelle zone meno battute, più è complicato organizzare il ritiro dei rifiuti e più sarà difficile trovare dei contenitori per la nostra immondizia.

Non è così grave: basta raccogliere la spazzatura che hai prodotto e portarla con te nel centro abitato più vicino, dove avrai modo di smaltirla agevolmente.

3) Riduci gli imballaggi

Se portarsi a casa i rifiuti non ti sembra la prospettiva migliore, quando sei in procinto di partire per un’escursione o una gita, cerca di ridurre al minimo gli imballaggi.

Evita di portarti piatti e bicchieri di plastica, trasferisci l’acqua in borracce e utilizza contenitori riutilizzabili per il tuo pranzo.

Viaggerai più leggero e non avrai il pensiero di non sapere dove mettere le confezioni vuote.

4) Aiuta l’ambiente e raccogli ciò che trovi

Quanto è spiacevole trovarsi in mezzo a un bosco, su una spiaggia isolata, a nuotare nelle acque trasparenti, e vedere abbandonati rifiuti di ogni tipo?

Sarà sicuramente capitato anche a te!

Fai un gesto poco impegnativo, ma dal grande risultato: raccogli la spazzatura che trovi e portala via con te, insieme ai tuoi rifiuti.

Ti ringrazierà l’ambiente e ti sentirai soddisfatto di aver fatto qualcosa di bello per gli altri.

5) Ricorda cosa puoi riciclare

Ormai saprai che va nella raccolta differenziata solo la plastica da imballaggio, quindi via libera a confezioni alimentari, bottigliette, flaconi di crema solare, shampoo, cosmetici, reti, sacchetti e buste di plastica…

Mentre invece dovrai ricordarti di mettere nell’indifferenziata: giocattoli in plastica rotti, braccioli e salvagenti, oggetti vari.

In ogni caso, non abbandonare mai i tuoi rifiuti nella natura.

Questi semplici comportamenti consapevoli consentono alla plastica di entrare a far parte di un circolo virtuoso, che la trasforma in nuove risorse, riducendo la produzione di materiale vergine.

Evita, inoltre, che la plastica finisca dispersa nell’ambiente, e possa raggiungere i fiumi e il mare, andando ad accrescere il problema dell’inquinamento delle acque.

Le nostre azioni possono fare molto per l’ambiente e per permetterci di continuare a utilizzare la plastica, riducendo il suo impatto sul Pianeta.


Le Microplastiche: cosa sono e da dove vengono?

Sentiamo spesso parlare dai media di ‘microplastiche’, che invadono i nostri oceani e arrivano addirittura a essere presenti nel nostro organismo.

Queste notizie creano sicuramente in noi uno stato d’allarme, ed è per questo motivo che crediamo sia giusto e utile affrontare il tema in modo più chiaro e completo possibile.

Iniziamo con il dire che le microplastiche, per definizione sono: frammenti di plastica di dimensioni comprese tra 1 micrometro (1 milionesimo di metro) e 5 millimetri. 

Esistono anche le nanoplastiche, che sono particelle ancora più piccole, inferiori a 1 micrometro.  

Ma da dove arrivano le microplastiche?

La credenza comune può far pensare che derivino dal deterioramento dei rifiuti generici di plastica, mentre in realtà non è proprio così. Sappiamo, infatti, che:

  • il 35% delle microplastiche proviene dal lavaggio di capi sintetici.
  • Il 30% dall’attrito degli pneumatici delle auto sull’asfalto.
  • Il 24% dalle polveri di inquinamento delle città.

Se analizziamo la situazione considerando la regione di provenienza delle microplastiche, possiamo dire che da Cina, India e Asia, arrivano principalmente a causa dei lavaggi di tessuti sintetici.

Nord America ed Europa invece producono microplastiche soprattutto dallo sfregamento degli pneumatici.

Abbiamo già delle possibili soluzioni da mettere in atto per contrastare le microplastiche?

Le microplastiche che si trovano nell’acqua di lavaggio delle fibre sintetiche possono essere intercettate in modo efficace dai sistemi di filtraggio, proprio come accade per l’acqua potabile, dove non sono presenti le microplastiche.

Per quanto riguarda le microplastiche derivate dall’uso delle nostre automobili e dall’inquinamento delle nostre città, è più difficile attuare azioni risolutive, ma sarebbe importante iniziare a parlarne e a dedicare loro la giusta attenzione.

A quali plastiche appartengono le microplastiche?

È stato studiato che la maggior parte delle microplastiche è fatta prevalentemente di PE polietilene e PP polipropilene. 

Sono effettivamente i materiali plastici maggiormente diffusi, ed è quindi ragionevole che anche le microplastiche appartengano principalmente a queste tipologie.

L’altra grande questione che interessa le microplastiche è il dibattito sulla loro tossicità, ovvero: sono dannose per la nostra salute?

Molto spesso, gli articoli che fanno riferimento alle microplastiche, le presentano come pericolose, ma nella realtà scientifica, non ci sono scritti e posizioni univoche su questo punto.

Alcuni studi sulla tossicità delle microplastiche ingerite dai pesci sono stati condotti in circostanze portate all’estremo, che rendono davvero difficile il verificarsi in natura di quei fattori, ad esempio facendo ingerire ai pesci quantità di microplastiche enormemente superiori a quelle che potrebbero ingurgitare negli oceani, oppure tipi di plastiche di cui non sono formate le microplastiche, o ancora composte da particelle di dimensioni sbagliate.

Possiamo dire che molte tipologie di plastiche, usate per il contatto con gli alimenti o l’uso personale, devono sottostare a rigidi protocolli di sicurezza, che rende la presenza di sostanze nocive minima e comunque ben al di sotto dei limiti consentiti.

Psicologicamente è difficile accettare come non dannoso, qualcosa che entra nel nostro corpo e che non sia anch’esso organico. 

Ma a un esame più attento, si trovano già nel nostro organismo, particelle non ‘naturali’, come ad esempio le polveri sottili. O al contrario, ingeriamo elementi tranquillamente presenti in natura, ma comunque ugualmente dannosi, come le sostanze cancerogene presenti in alcuni alimenti.

Sicuramente rimane valida una premessa: che le fonti di microplastica devono essere ridotte. Gli imballaggi in plastica devono essere raccolti e riciclati, e in nessun caso dovrebbero essere gettati nell’ambiente a decomporsi.

Nel mondo e in Europa la questione delle microplastiche è all’attenzione delle agende politiche, che si impegnano a mettere in atto strategie per aumentare i tassi di riciclaggio dei rifiuti di plastica.

Inoltre, sono in esame nuove misure per diminuire il rilascio delle microplastiche da parte dei tessuti, degli pneumatici, delle pitture e dei mozziconi di sigaretta.

Per un futuro dove la plastica sia sempre più una risorsa a ridotto impatto sul nostro Pianeta.

FONTI DATI

  • Chris DeArmitt, nel suo libro ‘Il paradosso della plastica’


Riutilizzo e Riciclo Creativo della Plastica

La plastica è stata per molti anni protagonista di un sistema di utilizzo lineare, dove veniva prodotta, impiegata e, infine, smaltita come rifiuto.

Negli ultimi anni, è stato fortunatamente compreso come sia più conveniente, sotto innumerevoli punti di vista, una gestione economica circolare, all’interno della quale la plastica non è più un rifiuto, ma diventa una risorsa, che dopo il suo utilizzo trova impieghi nuovi grazie al riuso e al riciclo.

I benefici sono innumerevoli, perché dare nuova vita alla plastica permette di:

  • salvare tantissimo spazio prezioso nelle discariche, 
  • produrre meno oggetti con plastica vergine, e quindi adoperare meno materie prime non rinnovabili, 
  • risparmiare energia e CO2 in fase di produzione.

Va detto che instaurare un processo di economia circolare all’interno di una società abituata fino a poco tempo fa a un sistema differente, implica investimenti significativi e il lavoro coordinato della politica, delle amministrazioni locali, dei produttori di materiali plastici, delle aziende e delle catene di distribuzione.

Infine, ma con un ruolo decisivo, è necessario che il consumatore comprenda l’importanza di adottare questo nuovo comportamento, per il bene suo, del Pianeta e della future generazioni.

È infatti innegabile che siamo noi a decidere quale sarà il futuro della plastica dopo che l’abbiamo usata.

La getteremo nella differenziata? Permettendole di trasformarsi in un nuovo oggetto o di diventare combustibile. O la ammucchieremo in una discarica?

Dobbiamo dire che noi italiani siamo dei bravi riciclatori, infatti le percentuali relative alla raccolta differenziata crescono di anno in anno, e sono omogenee su tutto il territorio nazionale.

Ma oggi vogliamo fare un salto ulteriore e parlare di riuso e riciclo creativo, ovvero di cosa possiamo realizzare noi, in autonomia, nella quotidianità delle nostre vite.

Il riuso è sicuramente la procedura più semplice, perché non prevede nessuno sforzo manuale da parte nostra. 

Si tratta semplicemente di riutilizzare confezioni e prodotti in plastica, per lo scopo per il quale sono stati creati, come per esempio riempire più volte le confezioni dei detersivi con le ricariche, oppure variare leggermente la loro destinazione, ovvero i contenitori alimentari possono diventare pratici organizer per tenere in ordine i cassetti della cucina.

Se invece siete persone fantasiose, potete cimentarvi nel riciclo creativo, grazie al quale dare vita a decorazioni, giocattoli, vasi, contenitori e piccoli utensili nuovi.

Da bottiglie, flaconi, stivali da pioggia, possono nascere palline di Natale, collane, fioriere, portapenne, innaffiatoi, e tanto altro ancora.

Il riciclo creativo rappresenta un’attività stimolante, anche da fare con i propri bambini, per dare vita a giochi, macchinine, o a scritte e cartelloni abbelliti con plastica di recupero.

Spesso capita che il riciclo creativo dia vita a un oggetto nuovo, che ha un valore, sia economico che funzionale, molto maggiore rispetto a quello del prodotto di partenza. Ecco che in questo caso parliamo di upcycling, una tendenza molto in voga, che interessa i settori del design, dell’arredamento e persino della moda.

Se, però, la manualità non è il vostro forte, ricordate che il vecchio non è comunque sempre da buttare, ma si può aggiustare, vendere, acquistare, con un vantaggio economico per noi e un vantaggio ambientale per tutti.

Gli esempi visti sopra: il riuso, il riciclo, l’upcycling sono buone pratiche, utilissime, soprattutto per gestire quei tipi di plastica che non possono essere differenziati, ma che sarebbero certamente destinati alla discarica.

Date la possibilità alla plastica di reinventarsi e di diventare una risorsa per il nostro Pianeta. 

Se siete incuriositi e siete in cerca di nuove ispirazioni, seguiteci sui nostri canali social, perché tanti influencer ci mostreranno tutorial divertenti con idee per mettere in pratica il riuso e il riciclo creativo, in modo semplice e a casa vostra!

Se siete incuriositi e siete in cerca di nuove ispirazioni, seguiteci sui nostri canali social, perché tanti influencer ci mostreranno tutorial divertenti con idee per mettere in pratica il riuso e il riciclo creativo, in modo semplice e a casa vostra!


La Moda Sostenibile grazie anche al Riciclo della Plastica

Cosa può c’entrare un rifiuto di plastica con gli abiti di stilisti affermati?

Una bottiglietta d’acqua e un costume di tendenza hanno in comune molto di più di quello che possiamo credere. 

Ultimamente si sta facendo strada la necessità di pensare una nuova moda sostenibile

Il settore del fashion ha, infatti, un grande impatto sulle risorse del Pianeta: ha elevate necessità di acqua e produce molte emissioni di CO2.

Il settore del fashion ha, infatti, un grande impatto sulle risorse del Pianeta: ha elevate necessità di acqua e produce molte emissioni di CO2.

Questi fabbisogni produttivi sono aggravati da un modello di fabbricazione e di consumo, chiamato fast fashion, che ha preso piede negli ultimi anni e che prevede la creazione di moltissimi capi d’abbigliamento, per seguire i trend dei designer più noti.

Le grandi catene di abbigliamento arrivano a preparare circa una collezione di abiti a settimana, riversando sul mercato tonnellate di abiti.

Il consumatore, d’altra parte, tentato da prezzi bassi e dalla moda del momento, è molto più portato, rispetto a una volta, all’acquisto impulsivo di capi e a liberarsene con maggiore leggerezza.

Si stima che gran parte dell’abbigliamento fast fashion finisca in discarica l’anno successivo all’acquisto.

Alla luce di questi dati, che mostrano un impatto notevole sulle risorse del nostro Pianeta, molte case produttrici hanno deciso di cercare un approccio più green, e hanno iniziato ad affacciarsi in passerella collezioni di abiti sostenibili.

Allo stesso tempo la consapevolezza è cresciuta anche nei consumatori, e la sostenibilità ha iniziato a essere un valore che viene preso in considerazione durante le nostre scelte di acquisto.

In quest’ottica il connubio tra i rifiuti in plastica e la moda è arrivato naturale, e quindi via libera a tessuti derivati dal riciclo della plastica, impiegati sia nella realizzazione di capi sportivi, ma anche super lusso.

Abbiamo visto in diverse occasioni quanti nuovi prodotti possono nascere dal riciclo della plastica, oggetti di design, nuovi imballaggi, componenti per l’industria e possiamo inserire nella lista anche filati sintetici di alta qualità.

Molte delle aziende che preparano questi filati riciclati sono italiane, accrescendo la filiera industriale legata al riciclo della plastica. 

Per citarne alcune, il progetto Q-Bottles, dell’azienda piemontese Quagga, ricicla bottiglie per farne capi d’abbigliamento, o ancora l’azienda trentina Aquafil, che produce il filato Econyl, dalle reti da pesca abbandonate in mare, e che fornisce i marchi del lusso come Burberry, Gucci, e tanti altri.

Ma dobbiamo dire che molte delle principali aziende italiane produttrici di tessuti hanno una linea di filati derivati dal riciclo della plastica.

È un settore in crescita, che continua ad attirare l’attenzione di start up e dipartimenti di ricerca universitari, che costruiscono progetti dedicati al reimpiego dei rifiuti in plastica nell’industria tessile e dell’abbigliamento, continuando a cercare nuovi metodi di produzione e nuovi tessuti sempre più tech e performanti.

Se analizziamo la situazione osservando i comportamenti delle case di moda, possiamo vedere che nelle principali catene di fast fashion sono comparse collezioni create a partire da filati riciclati, e sembra che questa sia una propensione da confermare anche per il futuro: Zara ha annunciato che entro il 2025 userà tessuti sostenibili al 100% ed H&M che si impegna ad usare esclusivamente materiali di riciclo o sostenibili entro il 2030. 

L’azienda Patagonia è stata l’apripista di questa tendenza, iniziando a utilizzare poliestere derivato dal riciclo di bottiglie in plastica nel 1993. Oggi è arrivata a utilizzare l’84% di tessuti di poliestere riciclato.

La nota azienda Adidas ha diverse collezioni di scarpe realizzate con materiali riciclati, come ad esempio la linea realizzata in collaborazione con l’associazione Parley for the Oceans, che utilizza plastica recuperata sulla costa, prima che possa raggiungere gli oceani, per produrre le materie prime.

H&M ha collaborato al progetto bottle2fashion, trasformando le bottiglie di plastica di tutte le isole dell’Indonesia in poliestere riciclato, e nei suoi store si trovano felpe e altri capi per bambini realizzati con questo materiale.

Ma questi sono solo alcuni esempi, in realtà le iniziative iniziano a essere davvero numerose.

Che questo possa essere il futuro della moda?

E che possa contribuire a una maggiore attenzione al riciclo, e allo smaltimento dei rifiuti che sono già purtroppo presenti nell’ambiente?

Noi ce lo auguriamo, visto che rappresenta un ottimo esempio di economia circolare che risolve le necessità di due settori produttivi importanti, portando con sé benefici ambientali utili alla salute del nostro Pianeta.


Il Vuoto a Rendere: cos’è, perché se ne parla, chi lo usa

Nei mesi scorsi si è sentito parlare diffusamente della possibilità di introdurre nuovamente il ‘vuoto a rendere’ per incentivare il riciclo degli imballaggi alimentari, come le bottiglie e le lattine.

Cerchiamo di capire meglio insieme, di cosa si tratta, in quali paesi all’estero viene già usato, e qual è la posizione dell’Italia in merito.

Che cos’è il vuoto a rendere?

Il vuoto a rendere è la pratica per la quale un contenitore, una volta svuotato del prodotto che conteneva, viene restituito perché possa essere riutilizzato.

In genere, questo sistema si basa sul presupposto che il consumatore paghi, su questi recipienti, una cauzione all’acquisto, che gli viene poi ridata quando riporta indietro i vuoti.

Dobbiamo fare una precisazione, ovvero che originariamente il termine vuoto a rendere indicava la restituzione per il riutilizzo, e veniva applicato quindi quasi unicamente alle bottiglie in vetro.

Questo stesso sistema è rimasto attivo anche in Italia fino agli anni ’60 circa, quando i consumatori italiani riportavano al venditore le bottiglie in vetro, per farsele nuovamente riempire e pagare solo il prodotto, oppure per farsi restituire la cauzione.

Oggi, questa locuzione comprende anche quei contenitori che non vengono solo riutilizzati, ma anche riciclati. È quindi utilizzata anche per indicare più genericamente un sistema di deposito cauzionale (i DRS) per i contenitori di bevande monouso, che quindi comprende le bottiglie, sia in plastica che in vetro, ma anche le lattine in metallo e in alluminio.

Il sistema non cambia: all’acquisto il consumatore paga una cauzione, che gli viene restituita al momento della riconsegna del contenitore.

La differenza è che il vuoto a rendere che prevede il riutilizzo è un sistema che si inserisce nel processo di vita di un imballaggio, prima del riciclo. In questo caso la bottiglia non è ancora diventata un rifiuto, ma entra all’interno di un’economia circolare che la reimpiega, per il numero consentito di volte, e che la smaltisce solo al termine del ciclo di riutilizzo.

Il vuoto a rendere che prevede il riciclo dei contenitori è invece un sistema complementare alla raccolta differenziata, che mira ad avere una maggiore penetrazione tra la popolazione, perché incentivata dalla restituzione della cauzione in denaro.

In questo modo si vuole ridurre ulteriormente la percentuale di rifiuti non differenziati e alleggerire i Comuni di una parte del peso della raccolta.

Naturalmente l’introduzione di un nuovo sistema di vuoto a rendere necessita di investimenti per realizzare una rete di punti di conferimento che possa soddisfare tutta la popolazione, e va previsto un lavoro di coordinamento con i luoghi deputati alla raccolta (solitamente i supermercati), che dovranno attrezzarsi per stoccare i contenitori restituiti. 

In quali paesi è attivo il vuoto a rendere?

In Europa il sistema del deposito cauzionale è attualmente adottato in 10 paesi, e altrettanti hanno in agenda la discussione del suo possibile inserimento nei prossimi anni.

La Svezia è stato il primo paese a introdurre il sistema di deposito cauzionale nel 1984.

Questo sistema è attivo in Germania da molti anni, dove è stimato che l’ammontare dei rifiuti si sia ridotto del 96% per il vetro e dell’80% per la plastica.

In Olanda la cauzione ha un’incidenza importante sul prezzo di una bottiglietta d’acqua, si parla di 0,25 centesimi a contenitore, circa il 50% del costo del prodotto per il consumatore.

Nei paesi del Nord Europa, come la Danimarca e la Norvegia, il vuoto a rendere è obbligatorio per diverse categorie di contenitori.

È esemplare il caso della Lituania, dove il vuoto a rendere è stato introdotto nel 2016 e ha registrato ottimi risultati, avendo recuperato il 70% dei contenitori di bevande nel primo anno e il 90% nel secondo. 

E in Italia se ne parla?

Il vuoto a rendere in Italia

In Italia è un argomento di cui si è tornati a parlare recentemente.

Nel 2017 era partita una sperimentazione di vuoto a rendere voluta dall’allora ministro Gian Luca Galletti, senza però esiti felici. 

Il decreto prevedeva che fossero i singoli esercenti a scegliere se aderire o meno all’iniziativa, che non fu accolta con particolare entusiasmo, sia per gli oneri di cui doveva farsi carico il punto vendita, sia forse per la mancanza di una campagna di comunicazione a sostegno.

Il vuoto a rendere è tornato in agenda nel Decreto Semplificazioni, dove nell’emendamento proposto da Salvatore Penna si faceva riferimento a un sistema di deposito cauzionale per i contenitori di bevande monouso. 

Nel novembre 2021, 15 tra le maggiori associazioni italiane hanno fatto appello al Governo Draghi per l’introduzione del deposito cauzionale per i contenitori di bevande monouso, anche in relazione agli obiettivi europei richiesti nella direttiva sulla plastica monouso.

Ad oggi in Italia non c’è un decreto attuativo che sancisca l’obbligatorietà per il vuoto a rendere, mentre sono attive iniziative private, promosse dai singoli Comuni o dagli esercenti, come l’installazione di macchine eco-compattatrici o di reverse vending machine, per il recupero automatico dei vuoti.

Saremo felici di condividere con voi future novità e aggiornamenti su questo argomento.