La Plastic Tax: cos’è e perché se ne parla

Negli ultimi tempi abbiamo sentito molto parlare di Plastic Tax, ma poiché molti discorsi si sono concentrati esclusivamente sullo slittamento della sua attuazione, vorremmo fare più chiarezza sulla natura del provvedimento.

Cos’è e come funziona la Plastic Tax

La Plastic Tax è una tassa applicata ai prodotti in plastica monouso, con la finalità di disincentivarne l’utilizzo.

Questa tassa è di 0,45 centesimi di euro per ogni chilo di prodotti di plastica monouso, ed è indirizzata ai cosiddetti MACSI, ovvero prodotti di plastica con singolo impiego, che non sono ideati, progettati o immessi sul mercato per compiere più trasferimenti durante il loro ciclo di vita, o per essere riutilizzati per lo stesso scopo per il quale sono stati ideati.

Sono esclusi dalla Plastic Tax i dispositivi medici predefiniti e i MACSI adibiti a contenere e proteggere medicinali.

L’imposta non è applicata alla plastica compostabile, né alla plastica riciclata. Però si applica a prodotti riciclabili, a prescindere dalla loro efficienza durante il processo di riciclo.

I soggetti che sono imputati a pagare questa tassa sono: l’azienda produttrice e/o l’importatore del prodotto, infatti l’obbligazione tributaria nasce al momento della produzione, dell’importazione definitiva nel territorio nazionale.

Indirettamente graverà anche sulle tasche dei compratori, perché parte di questo costo sarà, ovviamente, ricaricato sul prezzo del prodotto, e a carico dell’acquirente finale.

La Plastic Tax è una direttiva europea (Direttiva n. 2019/904/UE), che si inserisce all’interno di una serie di provvedimenti comunitari destinati a ridurre l’impatto sull’ambiente di determinati prodotti in plastica, soprattutto quelli a cui è imputato il maggior rischio di inquinamento, ogniqualvolta siano però disponibili delle alternative.

Alla luce della finalità con cui è stata pensata la Plastic Tax, che è condivisa e voluta da tutti, perché allora non è stata subito attuata dal Governo italiano?

Come saprete il documento programmatico di bilancio per il 2022 approvato dal Consiglio dei Ministri ha recentemente rinviato la Plastic Tax al 2023.

Questa misura, infatti, è ancora molto discussa da parte dei produttori di materiale plastico e dagli utilizzatori di questi imballaggi.

La filiera industriale italiana della plastica è tra le più importanti in assoluto in termini sia economici che tecnologici, una vera e propria eccellenza che occupa 162mila addetti in 10mila imprese attive (il 22% delle imprese europee) per un totale 32 miliardi di fatturato annuo (fonte: Federazione Gomma Plastica).

Ma sembra non essere solo una questione di pressione fiscale, sono in molti a pensare che siano necessari interventi più strutturali che coinvolgano tutta la filiera della produzione e del riciclo, e che la soluzione non risieda unicamente in una tassa al consumo.

Tiziano Andreini, Managing Director di Alpla Group, racconta quali potrebbero essere i risvolti più problematici della Plastic Tax: “Se dovesse entrare effettivamente in vigore la Plastic Tax italiana penalizzerebbe un’intera filiera produttiva con impatti a monte e a valle. Impatti negoziali, aumenti dei listini, costi interni alle aziende, adeguamenti dei sistemi gestionali, adeguamenti dei sistemi di fatturazione, maggior impegno di capitale e rischio di credito.”

Gli abbiamo posto alcune domande, per conoscere meglio il punto di vista di chi produce la plastica e di chi punta soprattutto sul suo riciclo.

Quali sono a suo avviso gli aspetti più controversi di questa tassa?

“In Italia è già presente una tassa sugli imballaggi plastici, il contributo ambientale Conai.

La Plastic Tax rischia di diventare un ulteriore balzello, che andrà a colpire in maniera indiretta i consumi, in quanto i maggior costi delle aziende produttrici a cascata si riverserebbero su tutta la filiera e quindi sul consumatore finale.

La nuova tassa viene veicolata come una tassa ambientalmente orientata, ma il rischio è che il gettito non sia finalizzato a  scopi ambientali.”

La plastica rappresenta indubbiamente un problema ambientale: quali le soluzioni?

“ Il nostro obiettivo è quello di fare in modo che entro il 2025 tutti gli imballaggi da noi prodotti siano riciclabili al 100%.

Nello sviluppo di nuovi imballaggi vengono seguiti i principi del “design 4 recycling”

Significa che prestiamo attenzione fin dall’inizio del ciclo di vita e cioè la progettazione di un manufatto, al fatto che gli imballaggi in plastica siano adatti al riciclo

ALPLA dispone di oltre 25 anni di esperienza nel settore del riciclo.

Con i nostri impianti di riciclaggio, contribuiamo a fare in modo che le plastiche rimangano nel ciclo dei materiali riutilizzabili.

Le tecnologie moderne e il design raffinato consentono di ridurre al minimo il peso degli imballaggi.

In questo modo, viene ridotto il consumo di materiale e i costi – e risparmiamo le risorse fossili.

Per questo obiettivo, ALPLA lavora in stretta collaborazione con i nostri fornitori, gli istituti di ricerca e, naturalmente, i nostri clienti.

La scelta del materiale ha una grande influenza sulla sostenibilità degli imballaggi di plastica.

ALPLA non utilizza materiali e sostanze dannose per l’ambiente, come PVC, plastificanti o metalli pesanti.”

Che la plastica rappresenti un problema ambientale è innegabile, ma la riduzione del suo impatto passa innanzitutto per una maggiore sostenibilità della produzione e soprattutto da più alti tassi di riciclo e da un migliore processo di riciclo.


Il riciclo della Plastica in Italia: dati 2020, tendenze e prospettive.

Dopo aver visto insieme come avviene il processo di riciclo della plastica, i suoi benefici in termini ambientali, e aver insistito sull’importanza di fare una corretta raccolta differenziata tra le mura domestiche, vediamo come ci comportiamo, nei fatti, in merito al riciclo in Italia.

La buona notizia è che noi italiani, siamo, a discapito dei luoghi comuni, virtuosi nella raccolta differenziata della plastica.

Siamo addirittura sul podio tra i paesi europei, secondi solo alla Germania.

Nel 2020 in Italia è stato recuperato il 95% della plastica sul mercato.

In cifre, sono state immesse al consumo 1.913.914 tonnellate di imballaggi in plastica (il 5% in meno rispetto al 2019) e ne sono state recuperate 1.820.270 tonnellate (il 4% in più rispetto al 2019).

In media ogni italiano ha differenziato 23,7kg di plastica.

Se analizziamo questo dato guardando alle singole regioni, troviamo un valore tutto sommato omogeneo: le differenze tra le regioni stanno andando man mano assottigliandosi, mostrando una maggiore propensione a comportamenti legati al riciclo, in maniera uniforme in tutta la penisola.

Delle 1.820.270 tonnellate di plastica recuperata, il 47% è stato avviato a riciclo, mentre il 48% è stato avviato a recupero energetico.

La percentuale di plastica riciclata rappresenta un valore ottimo, se si pensa che l’obiettivo richiesto dall’Unione Europea è di raggiungere il 50% entro il 2025, quindi coprire i 2 punti percentuali mancanti nei prossimi 5 anni sembra un traguardo verosimile da ottenere.

Soprattutto considerando il fatto che la quota di plastica riciclata è cresciuta di anno in anno, con tendenza positiva, che significa che sta aumentando la consapevolezza dell’importanza di differenziare i rifiuti.

Il riciclo avviene presso impianti localizzati per la maggior parte in Italia (il 74% degli impianti utilizzati è nel nostro Paese).

Gli imballaggi per i quali non esiste possibilità di riciclo vengono conferiti al recupero energetico presso impianti di termovalorizzazione efficienti, oppure vengono utilizzati come combustibile alternativo ai combustibili fossili, specialmente dai cementifici.

Abbiamo raccontato diverse volte i numerosi benefici ambientali, diretti e indiretti che derivano dal recupero della plastica: materia prima risparmiata e conseguente risparmio in energia e in emissioni di Co2, spazio prezioso non occupato nelle discariche, e soprattutto l’inserimento della plastica all’interno di un processo virtuoso di economia circolare.

Per renderci conto meglio dell’entità dei plus  elencati, vediamo in valore cosa abbiamo guadagnato nel 2020 grazie al recupero della plastica:

  • 458.000 tonnellate di materia prima risparmiata per produrre nuova plastica.
  • 34 milioni di metri cubi di discarica evitata, grazie a 1.820.270 tonnellate di imballaggi plastici che hanno trovato nuova vita.
  • 472 GWh di energia primaria risparmiata, grazie al fatto che il processo di riciclo della plastica richiede meno energia di quello per la produzione di plastica vergine.
  • 000 tonnellate di emissioni di Co2 evitate perché la plastica riciclata ha una minore impronta di carbonio rispetto allo stesso quantitativo di materiale vergine.
  • 183 gwh di energia termica + 91 GWh energia elettrica prodotta da quei rifiuti che, in quanto non riciclabili, sono destinati al recupero energetico.

Alla luce di questo andamento positivo, e delle recenti disposizioni italiane ed europee in merito alla riduzione dell’impiego della plastica e al suo riciclo, per i prossimi anni fino al 2025, Corepla prevede una riduzione di plastica immessa sul mercato, e una crescita della plastica destinata al riciclo.

A sostegno di questa visione, le imprese produttrici e le aziende che impiegano gli imballaggi in plastica stanno dando segnali concreti di perseguire questa direzione. Stanno ripensando i contenitori, per ridurne notevolmente il loro impatto ambientale.

La strada intrapresa è progettare packaging in plastica in ottica di riciclo, che quindi rendano meglio all’interno del processo di riciclo, perché fatto con materiali più facili da riciclare.

Allo stesso tempo produrre packaging funzionali creati da materiale riciclato, per rendere sempre più reale e di facile attuazione l’economia circolare.

Questa crescente attenzione al riciclo, sia tra i consumatori, che tra le aziende, mostra quanto la plastica sia cambiata e stia cambiando.


Cos’è l’R-PET

Nell’ambito della plastica e soprattutto delle nuove soluzioni che si stanno attuando per andare verso un mondo maggiormente sostenibile, sentiamo sempre più spesso parlare di r-PET.

Se non siete certi di sapere esattamente di cosa si tratta, vediamolo insieme.

L’r-PET (recycled PET), è semplicemente il PET riciclato, ovvero un nuovo polimero ottenuto da quel processo di recupero che abbiamo visto qui.

Ricapitolando, la plastica che è stata differenziata nei cassonetti dedicati è finita nell’impianto di trasformazione, dove è stata smistata e frantumata, e, dopo il processo di lavorazione,  è diventata pellet plastico (piccoli fiocchi di plastica).

Questo materiale riciclato viene utilizzato per la produzione di nuovi oggetti, di vario tipo: oggetti d’arredo, tubi, componenti per veicoli, sacchetti, flaconi, e altro ancora.

Il pellet di plastica PET, cioè che deriva esclusivamente dal riciclo di prodotti in PET, invece, ha nuova vita come filato per l’abbigliamento e come imballaggi, soprattutto per il settore alimentare (le note bottiglie per acqua e bibite), che saranno quindi prodotte in r-PET.

Un impulso molto importante a questo tipo di produzione, è arrivato in Italia all’inizio di quest’anno. Infatti, da gennaio 2021, grazie alla Legge di Bilancio 2021 approvata il 30 dicembre 2020, è possibile realizzare bottiglie in Pet 100% riciclato. Fino a quel momento è stato necessario per legge utilizzare almeno il 50% di plastica vergine.

Qual è il vantaggio di bottiglie e vaschette 100% r-PET?

Innanzitutto parliamo di un grande beneficio ambientale.

Poter usare una materia riciclata, evita di dover utilizzare materie prime vergini, che vanno estratte e trasportate, con quindi dispendio di energia per farlo e maggiori emissioni di Co2 nell’aria. Riciclare 1kg di R-PET equivale a ridurre le emissioni di CO2 di 3kg (dati del The New Plastics Economy Global Commitment 2019 Progress Report).

Le materie prime da cui deriva il PET, che ricordiamo sono petrolio e gas naturale, sono risorse naturali non rinnovabili, destinate quindi a esaurirsi con il nostro consumo, è sempre un vantaggio risparmiarle quando possibile.

Riutilizzare una materia prima è un beneficio considerevole anche in termini di rifiuti, perché non immettiamo sul mercato nuovi prodotti, ma ricicliamo quelli esistenti, non andando a creare nuova spazzatura che ha bisogno di spazio e di essere smaltita, e ‘salvando’ la plastica dalle discariche.

Questo discorso diventa ancora più virtuoso se consideriamo che il PET può essere riciclato e reimpiegato più volte, perché non perde le sue proprietà durante il processo di trasformazione.

I vantaggi elencati quindi si ripetono e si sommano, crescendo proporzionalmente a ogni riciclo, e il PET si trasforma da rifiuto a risorsa.

È evidente quanto la produzione e l’uso r-PET siano un passo avanti nel percorso verso la realizzazione di un’economia circolare per l’ambiente.

È interessante sottolineare, che, anche da un punto di vista di costi di produzione, l’r-PET è più economica rispetto al PET di nuova produzione, che è legato ai prezzi del petrolio al barile, soprattutto se la convenienza economica è calcolata nel lungo termine.

Appurati i vantaggi ambientali, una domanda che nasce spontanea è se questo nuovo materiale riciclato, sia sicuro per finire a contatto con le bevande e gli alimenti che consumiamo.

Le bottiglie in 100% r-PET sono sicure?

Il PET è il materiale preferito per gli imballaggi alimentari, proprio per le sue caratteristiche di sicurezza e non contaminazione con le sostanze contenute al suo interno, ma la questione se mantiene queste caratteristiche anche durante e dopo il processo di riciclo è stata al centro di importanti e nuove valutazioni da parte dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e della Comunità Europea.

Proprio per garantire questi alti standard di sicurezza, la normativa europea sull’impiego di plastica riciclata in confezioni a contatto con alimenti (Regolamento CE 282/2008) prevede che possa provenire solo da processi di riciclo certificati.

Le condizioni per l’approvazione di un processo di riciclaggio certificato sono molto severe, per tutelare la salute del consumatore, al primo posto. (https://ec.europa.eu/food/safety/chemical-safety/food-contact-materials/legislation_en#recycled_plastic_material)

La plastica è cambiata, e con una corretta gestione e differenziazione dei rifiuti, è una risorsa per il pianeta.


La storia della plastica: Gli anni '20, '30 e '40

Durante gli anni ’20 la plastica è un mondo ancora poco conosciuto, per questo scienziati e inventori continuano a esplorarlo con molto interesse.

1920 – Iniziano gli studi del chimico tedesco Hermann Staudinger, che fu il primo a riconoscere e studiare i polimeri, ossia le macromolecole che sono composte da micromolecole semplici, a comprendere le strutture dei polimeri e a indagare le loro possibilità di sintesi. 

I suoi studi sono oggi le basi dell’industria plastica e di quella della gomma, e per questo nel 1953 gli fu assegnato il Premio Nobel per la chimica.

Negli anni ’30, anche grazie a Staudinger, la produzione della plastica si sviluppa in una vera e propria industria moderna. 

Le nuove basi teoriche permettono il fiorire di scoperte in tutte le parti del mondo, e le nuove macchine a servizio dell’industria plastica, consentono la produzione in serie degli oggetti.

Nascono industrie chimiche dedicate alla ricerca e alla commercializzazione di materiali plastici.

1927 – L’azienda statunitense Union Carbide produce i primi co-polimeri a base di cloruro di polivinile e acetato di polivinile, il PVC.

L’azienda chimica americana DuPont investe molte energie nel settore delle materie plastiche, molte delle scoperte di quegli anni sono riconducibili a scienziati che lavorano per la DuPont, ed è ancora oggi titolare di numerosissimi marchi e brevetti di processi chimici e di materiali.

Commercializza l’acetato di cellulosa, un prodotto semisintetico simile alla celluloide ma senza essere infiammabile, che verrà usato per le pellicole cinematografiche.

Commercializza il polistirene, una plastica che poteva gonfiarsi con l’aria per diventare un polimero schiumoso, più noto a noi come polistirolo.

1935 – Commercializza il Nylon, sintetizzato nei laboratori DuPont da Wallace Carothers, un materiale che finalmente riusciva a riprodurre in maniera sintetica la seta, e che trova larghissimo impiego nella produzione di calze da donna. Si dice che la campagna pubblicitaria lo descrivesse come “lucente come la seta” e “forte come l’acciaio”, e che le donne comprarono tutte le scorte appena messe sul mercato.

1938 – Roy Plunkett scopre il Teflon, un materiale antiaderente, che tutti noi oggi conosciamo come rivestimento di pentole e padelle. DuPont fu la prima azienda a produrlo, per l’esercito americano, che lo testò come rivestimento per contenitori per il trasporto di materiale radioattivo.

Gli anni ’30 vedono anche lo sviluppo della produzione italiana, grazie alla storica azienda Montecatini di Firenze, che produce PVC, Nylon e altre materie plastiche.

1941 – In Inghilterra Rex Whinfield e James Tennant Dickson brevettano il polietilene tereftalato (PET), usato come fibra tessile sintetica, e poi dal 1973, come materiale per gli imballaggi alimentari.

Possiamo dire che queste 3 decadi hanno visto la scoperta delle principali materie plastiche ancora oggi utilizzate, anche se la Seconda Guerra Mondiale ha, in un certo qual modo, monopolizzato il loro utilizzo. 

Se durante la guerra i metalli erano precettati per la realizzazione di armi e munizioni, ed era molto difficile reperire i prodotti naturali, come la gomma, sono state le materie plastiche a essere usate come loro validi sostituti.

Troviamo l’utilizzo delle fibre sintetiche nelle divise, nei paracadute, nelle fodere degli elmetti, e delle plastiche per componenti di aerei, alloggiamenti per antenne, canne di armi, custodie e tantissimo altro.

Durante la Seconda Guerra Mondiale la produzione di plastica aumenta considerevolmente, passando da da 213 milioni di sterline nel 1939 a 818 milioni di sterline nel 1945.

L’industria plastica ha superato il banco di prova della capacità di produzione in serie.

Ma i suoi utilizzi sono stati quasi del tutto confinati alle necessità dell’esercito. Non abbiamo ancora visto l’applicazione della plastica per la realizzazione dei prodotti destinati al consumo di massa, che avverrà nel secondo dopoguerra.

Per questo vi salutiamo e vi invitiamo ad aspettare la prossima puntata.


Come avviene il processo di riciclo della plastica?

Prima di entrare nei dettagli del processo meccanico e vedere come gli stabilimenti di trasformazione lavorano la plastica, dobbiamo dire che un processo di riciclo di successo inizia all’interno delle nostre case.

Il nostro comportamento è alla base di tutto il lavoro: è infatti fondamentale smistare correttamente i nostri rifiuti, impegnandoci a svolgere quotidianamente la raccolta differenziata, separando i vari materiali e destinandoli ai bidoni di raccolta idonei. 

La plastica non separata infatti non arriverà mai all’azienda che si occupa del riciclaggio, ma finirà inesorabilmente all’inceneritore e interromperà il suo ciclo di riutilizzo, che invece può essere infinito.

Ma cosa succede dopo che gettiamo correttamente i nostri imballaggi nel cassonetto della plastica?

1) Selezione e separazione

Gli impianti di riciclaggio hanno bisogno di raggruppare i rifiuti separandoli per dimensioni e per tipologia di plastica.

Per questo il primo passaggio è lo smistamento, che avviene per mezzo di filtri con maglie a diversa larghezza che lasciano passare i rifiuti della stessa grandezza, permettendo quindi di radunarli per dimensione.

Successivamente vengono trasportati su un nastro rotante, dove uno scanner a infrarossi riesce a riconoscere i diversi materiali plastici (PET, PVC, PE), e un getto ad aria compressa li separa destinandoli a gruppi diversi.

Naturalmente il passaggio finale è destinato al controllo manuale, dove gli addetti eliminano eventuali plastiche ‘intruse’ e non riciclabili. 

2) Macinazione

I nostri rifiuti sono a questo punto separati e imballati.

Ma prima di essere trasformati sono ulteriormente suddivisi per tipologia di prodotto, in modo da essere sicuri che la composizione della plastica sia la stessa.

Vengono lavati e puliti da eventuali residui.

Dopodichè, finalmente, si passa alla frantumazione e vengono ridotti in fiocchi di plastica.

I fiocchi sono suddivisi per colore, quindi scaldati, raffreddati e trasformati in pellet: piccole palline di plastica colorata.

Adesso la plastica è finalmente pronta per essere riciclata e per dare vita a nuovi oggetti, di svariato tipo: tessuti, bottiglie, oggetti di design, scarpe…

E questo processo può essere ripetuto moltissime volte, perché la struttura della plastica non si modifica durante la lavorazione che abbiamo appena visto. Un bel risparmio in termini di utilizzo delle materie prime e di energia per produrre materiale nuovo da zero.

Ma la plastica che non viene riciclata?

La plastica che sfugge alla raccolta differenziata, o che non può essere riciclata per sua composizione, finisce nei termovalorizzatori, producendo valore perché viene usata per la produzione di nuova energia, e negli inceneritori terminando così il suo ciclo di vita. 

Perdiamo quindi una risorsa importante e rendiamo necessario un maggiore utilizzo di materie prime ed energia per produrre nuovo materiale.

In conclusione, ricordiamoci sempre che il riciclo rimane l’opzione migliore per trattare la plastica utilizzata.


Il Sistema Economico Circolare e le 4R: di cosa si tratta?

Quando parliamo di sostenibilità e di ridurre il nostro impatto ambientale, concetti che sono entrati a far parte delle nostre vite e del nostro sentire, ci troviamo spesso di fronte a termini come “economia circolare” e “i principi delle 4R”, verso i quali forse siamo meno informati e ci sembrano meno chiari.

Cerchiamo di approfondire insieme di cosa si tratta.

Facciamo una dovuta premessa, forse scontata.

Gli abitanti della Terra sono in continuo aumento, e con essi crescono i loro consumi.

Le risorse del nostro pianeta, necessarie per produrre e per soddisfare questi bisogni, sappiamo che sono limitate.

Dobbiamo inoltre ricordare le ricadute sul clima e sull’ambiente, che il nostro sistema economico e produttivo attuale hanno.

Alla luce di queste condizioni, si è fatta strada, in modo sempre più pressante, la necessità di mettere in piedi una nuova economia circolare, in antitesi con il modello attualmente in uso di economia lineare.

Cos’è l’economica circolare

Il sistema economico circolare è un modello di produzione e di consumo che cerca di minimizzare i rifiuti, valorizzandoli come risorsa e inserendoli all’interno di un ciclo di vita continuo (quanto più possibile).

L’economia circolare si fonda sui principi delle 4R, cioè:

Riduzione

La scelta che sta a monte, in un processo di sostenibilità, è quella di impiegare meno materiali per le produzioni.

Ridurre significa diminuire l’utilizzo di materie prime e delle risorse per estrarle e lavorarle.

Significa anche eliminare una parte di potenziali rifiuti.

Oppure si chiede ai produttori di ripensare ai materiali dei loro prodotti, perché questi siano riciclabili, riutilizzabili o facilmente smaltibili.

Riutilizzo

Dare una nuova vita a un prodotto che ha completato il suo scopo primario, senza che questo sia trasformato.

Ad esempio il contenitore di un detersivo viene riempito nuovamente con del prodotto acquistato alla spina.

In questo modo si limita la produzione di nuovi oggetti.

Riciclo

Trasformare il rifiuto in materiali da utilizzare nuovamente, così da non aver bisogno di ricorrere alle materie prime per produrre nuovi oggetti.

Recupero

Quando il rifiuto ha completato il suo ciclo di vita e non può più trovare valore negli step precedenti, otteniamo dalla sua dismissione nuovo materiale secondario, oppure nuova energia.

I termovalorizzatori infatti bruciano i rifiuti e producono da questo processo energia.

Ci teniamo a sottolineare che il sistema economico circolare e i principi delle 4R sono ben più che auspici e buone pratiche consigliate. Sono le linee guida che il Parlamento Europeo ha espresso per aggiornare la sua legislazione sul trattamento dei rifiuti, con l’obiettivo di raggiungere nel 2050 un’economia a zero emissioni di carbonio, sostenibile dal punto di vista ambientale, libera dalle sostanze tossiche e completamente circolare.


La storia della plastica: le origini

La plastica fa ormai parte della nostra vita quotidiana e ha moltissimi impieghi nei più disparati settori, tanto che se dovesse scomparire da un giorno all’altro, ci ritroveremmo senza centinaia di oggetti di uso comune.

È un materiale in continua evoluzione, che è cambiato moltissimo nel corso degli anni. Forse per questo motivo lo riteniamo inconsciamente un materiale “recente”.

Ma sapete davvero quando nasce e quali sono le tappe più significative del suo percorso evolutivo?

Vediamole insieme.

1861-1862 - Alexander Parkes scopre e brevetta la Parkesine.

Le origini della plastica risalgono a quasi due secoli fa: la Parkesine (più nota poi come Xylonite) è considerata il primo tipo di termoplastica, che quindi diventa modellabile ad alte temperature e mantiene la forma data una volta raffreddata.

La parkesine è un tipo di celluloide, un materiale quindi semi-sintetico, ed è stato studiato per rimpiazzare materiali di origini animali molto rari e costosi, come l’avorio e la tartaruga.

In quegli anni viene utilizzata per produrre manici, scatole, bottoni, ma anche componenti che necessitano di essere flessibili, come i polsini e i colletti delle camicie.

È stata presentata al mondo per la prima volta durante l’Esposizione Internazionale di Londra nel 1862.

Benchè la Parkesine sia un’invenzione straordinaria, che porrà le basi per le scoperte seguenti nel campo della plastica, non ha avuto un grande successo commerciale.

1870 – i fratelli Hyatt brevettano la formula della celluloide.

Spinti da un concorso indetto da una fabbrica di biliardi di New York, che cercava un materiale meno costoso per produrre palle da biliardo (fino ad allora erano fatte in avorio), John Wesley e Isaiah Hyatt inventano questa nuova materia plastica, anch’essa semi-sintetica, che sarà la prima a essere prodotta industrialmente.

La celluloide, benché sia un materiale molto infiammabile e quindi con dei limiti di impiego, troverà ampio utilizzo nell’industria automobilistica, in quella militare, nella produzione di dischi, e nella produzione, nota a tutti, di pellicole cinematografiche.

1910 – Leo Baekeland brevetta la Bakelite.

Questa è la prima resina termoindurente di origine totalmente sintetica e avrà una grandissima diffusione e un vasto utilizzo.

La bakelite può essere colorata e permette di realizzare prodotti desiderabili a basso prezzo.

Questo la rende il materiale preferito, fino agli anni ’50 circa, per produrre piccoli elettrodomestici, giocattoli, pettini, gioielli di bigiotteria e oggetti di uso comune.

Emblematici sono i vecchi telefoni a rotella, che erano realizzati appunto in bachelite.

Successivamente dobbiamo ricordare due invenzioni di materiali molto conosciuti e ampiamente utilizzati anche ai giorni nostri.

Anche se è necessario aspettare ancora qualche anno per vedere il loro impiego massivo.

1912 - Fritz Klatte, scopre il processo per la produzione del polivinilcloruro (PVC)

1913 - Jacques Edwin Brandenberger inventa il Cellophane

Qui concludiamo il periodo della nascita della plastica, dove troviamo scoperte importanti, che troveranno la loro massima commercializzazione negli anni a seguire.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, infatti, la plastica inizierà davvero a entrare nella produzione industriale e a essere utilizzata nella quotidianità di tutti noi.

Ma questo lo vedremo meglio nella prossima puntata!


La plastica: tipologie, opportunità e curiosità

A metà del 1800 è comparsa per la prima volta la plastica: un materiale rivoluzionario per l’epoca, pratico e capace di resistere a lungo. Oggi è entrata nella nostra quotidianità, ma molti di noi non sanno che grazie alla plastica possiamo:

  • Avere accesso all’acqua pulita;
  • Conservare correttamente bevande e alimenti;
  • Ottenere energie rinnovabili.

La plastica ha un ciclo di vita lunghissimo e ha reso le nostre vite più sicure e facili. Questo materiale deriva da sostanze chimiche ottenute nello specifico da gas e petrolio; ne esistono poi delle variazioni più bio, che nascono dal mais e dal cotone.

Oggi le nazioni di tutto il mondo hanno a cuore il benessere climatico e richiedono alle aziende produttrici di investire nei reparti di ricerca e sviluppo. L’obiettivo? Realizzare delle nuove versioni di plastica derivate da: oli riciclati, plastiche secondarie, biomasse e CO2.

Per capire questo materiale dobbiamo individuare due macro categorie importantissime: Termoplastiche e Termoindurenti. Vediamole insieme:

Le termoplastiche

In questo gruppo troviamo tutte quelle plastiche “modellabili”, cioè in grado di fondersi ad alte temperature e indurire se raffreddate. Dei materiali reversibili che subiscono dei continui sbalzi termici. Nel dettaglio:

  • Polietilene (PE)
  • Polipropilene (PP)
  • Cloruro di polivinile (PVC)
  • Polietilene tereftalato (PET)
  • Polistirolo (PS)
  • Polistirene espanso (EPS)
  • ABS
  • SAN
  • Poliammidi (PA)
  • Policarbonato (PC)
  • Polimetilmetacrilato (PMMA)
  • Elastomeri termoplastici (TPE)
  • Poliarilsulfone (PSU)
  • Fluoropolimeri
  • PEEK
  • POM
  • PBT
  • EVOH
  • Etc.

I termoindurenti

Qui la plastica dopo essere stata sottoposta ad alte temperature subisce una trasformazione chimica che dà forma ad una rete tridimensionale. Questo processo evolutivo del materiale lo rende immutabile.

  • Poliuretano (PUR)
  • Poliesteri insaturi
  • Resine epossidiche 9 Resine melaminiche
  • Vinilici esteri
  • Silicone
  • Fenolo- resina formaldeide
  • Urea – resina formaldeide
  • Resine fenoliche
  • Resine acriliche
  • Etc.

Quali sono i benefici della plastica

Nel corso dell’ultimo secolo, la plastica ha offerto soluzioni innovative ai bisogni e alle sfide in continua evoluzione della società. Versatili, durevoli e incredibilmente adattabili, le materie plastiche sono una famiglia di materiali notevoli con scienza e innovazione nel loro DNA.

Per questi motivi risulta sempre più importante oggi riciclare la plastica per continuare ad utilizzare questo materiale in modo sostenibile per l’ambiente.

Chi sono i key players del settore?

  • I produttori delle materie plastiche;
  • I trasformatori;
  • I riciclatori;
  • I produttori di macchinari per la lavorazione del materiale.

La plastica dà lavoro a oltre 1.5 milioni di persone e contribuisce di 2.4% nel PIL. Le aziende del settore sono 55.000 circa e generano un flusso di denaro pari a 350 miliardi di euro. Tutte le realtà che lavorano la plastica hanno come obiettivo comune quello di recuperarla, perchè risorsa preziosa.

Oggi a livello mondiale le iniziative a favore del recupero della plastica e ad un suo uso "creativo" sono molte. Ad esempio:

+ ricicli + viaggi

Coripet in collaborazione con il comune di Roma ha ideato il progetto “+ RICICLI + VIAGGI” che prevede l’installazione di eco-compattatori nelle metro della Capitale con l’obiettivo di raccogliere e riciclare bottiglie PET. Per ogni bottiglia in plastica PET raccolta e riciclata è previsto in cambio un ecobonus per l'acquisto di un titolo di viaggio ATAC. L’iniziativa ha trovato il consenso entusiasta dei cittadini: infatti solo nei primi 8 mesi di progetto sono state riciclate 2,8 milioni di bottiglie PET.


Plastica come forma di pagamento

Nella metropolitana di Pechino sono state installate delle macchinette che permettono ai viaggiatori di usare le bottiglie vuote di plastica come forma di pagamento. Una soluzione che incentiva il riciclo e protegge l’ambiente.


Proteggere l’acqua dalle radiazioni solari

Nel 2007 a Los Angeles nella riserva idrica di Ivanhoe Reservoir sono state installate 400 mila sfere di plastica (10 cm di diametro) al fine di proteggere l’acqua dalle radiazioni solari. Le palline riflettono la luce del sole e impediscono la reazione di due particelle, il bromuro e il cloro.

+ ricicli + viaggi

Coripet in collaborazione con il comune di Roma ha ideato il progetto “+ RICICLI + VIAGGI” che prevede l’installazione di eco-compattatori nelle metro della Capitale con l’obiettivo di raccogliere e riciclare bottiglie PET. Per ogni bottiglia in plastica PET raccolta e riciclata è previsto in cambio un ecobonus per l'acquisto di un titolo di viaggio ATAC. L’iniziativa ha trovato il consenso entusiasta dei cittadini: infatti solo nei primi 8 mesi di progetto sono state riciclate 2,8 milioni di bottiglie PET.


Plastica come forma di pagamento

Nella metropolitana di Pechino sono state installate delle macchinette che permettono ai viaggiatori di usare le bottiglie vuote di plastica come forma di pagamento. Una soluzione che incentiva il riciclo e protegge l’ambiente.


Proteggere l’acqua dalle radiazioni solari

Nel 2007 a Los Angeles nella riserva idrica di Ivanhoe Reservoir sono state installate 400 mila sfere di plastica (10 cm di diametro) al fine di proteggere l’acqua dalle radiazioni solari. Le palline riflettono la luce del sole e impediscono la reazione di due particelle, il bromuro e il cloro.


PET: caratteristiche e opportunità

Il PET è uno dei materiali plastici più comuni e usati: il primo passo per renderlo una risorsa cruciale è quello di riciclarlo e trasformarlo in R-PET.

Tutto sta a noi, alla raccolta differenziata e soprattutto alla restituzione delle bottiglie vuote.

Ma come funziona il processo di recupero della plastica?

Il primo passaggio prevede una selezione meccanica, per poi passare alla sua pulitura, al filtraggio e infine alla separazione da altri residui non riciclabili.

Un sistema virtuoso che dà vita ad altri materiali, tra cui anche il PET, quello più richiesto a livello mondiale.

La bottiglia PET: le sue caratteristiche

Per avere un prodotto Pet è necessaria l’esterificazione di glicol etilenico e acido tereftalico (PTA), che viene sottoposto a pressione moderata (2,5 -5,5 bar) e ad alte temperature (230 -270 C°). L’acqua che si forma viene rimossa di continuo.

Il PET è un materiale straordinario e igienico, grazie alla sua capacità di proteggere la formula all’interno (farmaco, cosmetico e alimento). Inoltre è pratico, leggero e facilmente richiudibile.

Le virtù del PET

Oggi più che mai è importante incentivare l’utilizzo delle bottiglie PET. I suoi vantaggi sono innumerevoli: porta ad una riduzione di circa 138.000 tonnellate di gas serra (CO2), aiuta a risparmiare il 50% di energia (emessa di solito nei processi di incenerimento e nella produzione), determina un calo di 43 milioni di litri di petrolio.

Il ciclo di vita del PET è infinito: si può sempre riutilizzare e può assumere nuove forme come tubi, pellicole o tessuti. Inoltre il packaging vuoto del PET, se incenerito, diventa elettricità o riscaldamento.

Infine, il PET richiede un dispendio di energia e risorse minore nel suo processo di riciclo in confronto ad altri materiali come, ad esempio, il vetro. Quest’ultimo infatti ha bisogno di raggiungere una temperatura compresa tra i 425° e i 600°C per essere riciclato, determinando una maggiore emissione di CO2.

Tra le iniziative volte a far conoscere questo materiale innovativo, segnaliamo quello di “End Waste Recycle the 1”. Una campagna pubblicitaria voluta da Petcare Europe che coinvolge Francia, Germania e Regno Unito e permette una raccolta dati utile a capire la percezione del pubblico verso il PET.

Le bottiglie PET sono al centro di un’economia circolare sempre più forte a livello internazionale e mettono le basi per un futuro: più sicuro, innovativo e sostenibile.

La plastica è alleata dell’ambiente ed è cambiata.


Costumi di scena e vasi di design: le mille possibilità del riciclo della plastica

La plastica è una costante delle nostre vite: la troviamo a casa, al supermercato e  a lavoro. Un materiale che dura e resiste nel tempo (50 anni circa). Quando ne consumiamo il contenuto, il packaging di plastica viene gettato nel contenitore apposito e da qui ha tre possibili destini:

  • Discarica;
  • Energia;
  • Riciclo

L’obiettivo primario è quello di recuperare il maggior numero di plastica in modo da darle nuova esistenza. In questo articolo raccontiamo due esempi di “nuova vita della plastica” nel campo dell’abbigliamento e del design.

Dalla plastica alla danza

Un modo intelligente di riusare la plastica lo ha proposto Helen Banks, stilista residente a Manchester. Etica e sensibilità ambientale la contraddistinguono. Helen e sua figlia hanno ideato una serie di capi per la danza classica prodotti con il filato Econyl, un tessuto che nasce dai rifiuti gettati in discarica e da quelli industriali. Completi confortevoli che stanno raccogliendo un consenso sempre più forte in Inghilterra, dalla ballerina di danza classica Mayara Magri alla Royal Ballet School.

Photographer Johnny Oakes

Dalla plastica al design

Il nord Europa è molto attento alla situazione climatica e si impegna ogni giorno per cercare e proporre nuove soluzioni per il rispetto dell’ambiente. L’iniziativa promossa da Sabato si inserisce in quest’ottica: il noto magazine belga ha coinvolto i due studi di architettura House of Dus e Aectual in un progetto di ideazione di una limited edition di vasi, partendo dagli scarti di plastica recuperati nelle spiagge e nei mari.

Oggetti di design che esteticamente ricordano dei noti molluschi, le cozze. Vasi dipinti a mano con delle striature bianche e nere, realizzati con una macchina 3D. Questi prodotti di plastica riciclata combinano innovazione ed eleganza e sono in vendita fino al 30 Settembre 2021.

Gli esempi presentati in questo articolo mostrano come la plastica sia versatile e dia un forte contributo in ambito ambientale. Piccoli gesti che possono fare la differenza. Ogni singolo packaging di plastica può diventare una risorsa importante per la società e l’ambiente.