Il Successo di un approccio globale al Riciclo della Plastica

Il riciclo della plastica è diventato una priorità dei giorni nostri.

Ridurre l’utilizzo della plastica superflua, riutilizzarla quando possibile, riciclarla a fine vita e in generale adottare pratiche di gestione sostenibili, sono azioni necessarie per ridurre il suo impatto sul nostro pianeta e fare in modo che sia davvero una risorsa preziosa.

Queste iniziative sono sicuramente efficaci e lo sono ancora di più se coinvolgono diversi attori, su più livelli, riuscendo così a indurre un cambiamento positivo nella società.

Un approccio globale al riciclo della plastica si rivolge infatti ai privati consumatori, che con le loro scelte e i loro comportamenti possono fare tanto in termini di sostenibilità.

Ma coinvolge anche i produttori di materie plastiche, le aziende che impiegano gli imballaggi in plastica per la commercializzazione dei prodotti, gli impianti che si occupano di riciclo, la ricerca che studia approcci sempre più ottimali al riciclo, i governi che promuovono normative che facilitano la transizione verso politiche più sostenibili.

Vediamo insieme quali sono le azioni da mettere in atto, su più fronti, per incrementare il riciclo.

1)Campagne di sensibilizzazione

Sicuramente informare ed educare l’opinione pubblica sull’importanza del riciclo della plastica è un’attività chiave.

I consumatori, infatti, hanno la capacità di scegliere e di guidare, con il loro potere d’acquisto, le aziende ad attuare scelte più ecologiche.

Inoltre, è affidato ai loro comportamenti coscienziosi tutto il riciclo della plastica da consumo, che può trovare una seconda vita, se correttamente differenziata.

Per questi motivi, le campagne informative contribuiscono ad aumentare la consapevolezza e a cambiare le abitudini dei consumatori.

Un ruolo importante, all’interno di questi programmi di sensibilizzazione, è svolto dalle scuole, dove si forma il comportamento delle generazioni future, e dove sono portate avanti campagne di educazione scolastica sul riciclo della plastica proprio per responsabilizzare anche i bambini.

2) Sistemi di raccolta e riciclo innovativi

Naturalmente, dopo il lavoro di selezione e raccolta svolto dai cittadini, è necessario che nel nostro tessuto urbano sia implementato un sistema di raccolta differenziata capillare ed efficace.

E a seguire, che ci siano impianti di riciclo funzionali e innovativi.

3) Attuazione dell’economia circolare della plastica

Il modello di economia circolare è ormai un esempio promosso dai governi e seguito da diverse aziende, ed è diventato il modello a cui tendere.

Le normative comunitarie e l’attenzione posta da molte realtà produttive, che incentivano l’impiego di plastica riciclata per la realizzazione di nuovi prodotti, riduce la dipendenza dalla plastica vergine e contribuisce a ridurre la quantità di plastica prodotta.

4) Investimenti nella ricerca

La ricerca per trovare sempre tecnologie di riciclo avanzate ha un ruolo cruciale nel trattamento della plastica. Scoprire nuovi processi, testare nuovi modelli di riciclo, ci consentono di convertire la plastica in materie prime utilizzabili per nuovi prodotti, in modo economico ed efficiente. Per questo motivo gli investimenti in ricerca e nello sviluppo di queste tecnologie sono fondamentali per migliorare l’efficienza del riciclo.

5) Collaborazione tra settori

La collaborazione tra diversi ambiti ci consente di ottenere i benefici più ampi.

Quando governi, aziende, organizzazioni no-profit e cittadini si uniscono per rendere la plastica più sostenibile, si crea un impatto più significativo nell’affrontare la problematica.

Se queste azioni sinergiche riescono anche a valicare i confini nazionali e a coinvolgere più paesi, le ricadute positive sono ulteriormente amplificate, tutto a beneficio della salute del nostro ambiente.

Per un futuro sostenibile, è fondamentale continuare a investire in queste iniziative, promuovendo il riciclo della plastica. Solo attraverso azioni collettive possiamo proteggere il nostro pianeta per le generazioni future.


L’Intelligenza Artificiale è utile anche per il Riciclo della Plastica

Negli ultimi tempi sentiamo spesso parlare di Intelligenza Artificiale, perché i suoi algoritmi sono entrati in molti ambiti della nostra vita.

Come tutte le cose ancora poco conosciute e difficili da comprendere per chi non è del settore, l’AI è guardata con un po’ di sospetto, e sicuramente sarà necessario adattare le nostre regole per normare i suoi utilizzi e le applicazioni.

Quello che possiamo dire ad oggi, noi che ci occupiamo di tematiche legate alla plastica, è che l’Intelligenza Artificiale può avere un impatto significativo sul riciclo della plastica.

Come abbiamo già visto in passato, il processo di riciclo meccanico della plastica, passa per una fase iniziale molto importante, che è quella del riconoscimento e della separazione dei rifiuti a seconda del tipo di plastica di cui è fatto.

Questo passaggio viene eseguito per mezzo di filtri con maglie a diversa larghezza, che lasciano passare i rifiuti della stessa grandezza, permettendo quindi di radunarli per dimensione.

Successivamente viene impiegata la tecnica dello scanner a infrarossi, che riesce a riconoscere diversi materiali plastici (PET, PVC, PE), e a destinarli a gruppi di raccolta differenti, attraverso un getto ad aria compressa.

In molti casi è necessario un terzo passaggio, rappresentato dal controllo manuale, dove gli addetti eliminano eventuali plastiche ‘intruse’ e non riciclabili.

In questo contesto è facile comprendere quanto un sistema che possa rendere più semplice, veloce e soprattutto funzionale l’azione di identificare i diversi materiali plastici, possa rendere il riciclo più economico e soprattutto più efficiente.

l’AI può lavorare proprio su questa parte del processo, per migliorare e rendere più accurata la separazione dei diversi rifiuti.

L’intelligenza artificiale applicata alla visione artificiale permette di riconoscere informazioni come i brand, i colori, i materiali e le forme di un prodotto. E ancora, di distinguere i polimeri di cui è composto un materiale, riuscendo in questo modo a destinare nel modo più corretto sia le confezioni complesse, composte da più plastiche diverse, sia i nuovi materiali che vengono costantemente immessi sul mercato.

Inoltre, l’Intelligenza Artificiale si basa su un sistema di apprendimento continuo, che consente di raccogliere ininterrottamente informazioni, analizzarle e migliorare il proprio rendimento.

In conclusione, le potenzialità dell’Intelligenza Artificiale possono aiutarci a ottenere un riciclo migliore e una plastica riciclata di maggiore qualità.

Ma questo potrebbe non essere l’unico impiego per l’Intelligenza Artificiale in materia di riciclo.

Solo la ricerca e il futuro possono darci una risposta precisa a questa ipotesi, ma possiamo immaginare applicazioni dell’AI nella ricerca di nuove soluzioni per implementare nuove forme di riciclaggio, oppure come assistente virtuale che supporta i cittadini nell’attuazione delle corrette modalità di riciclo.

Sicuramente tutto ciò che ci permette di migliorare il riciclo della plastica ha ricadute positive per tutti noi e per il benessere del nostro pianeta.

Per questo guardiamo con attenzione agli sviluppi in questo campo dell’Intelligenza Artificiale, e non mancheremo di tenervi aggiornati!


In che modo la Plastica Riciclata può aiutarci a ridurre le emissioni di CO2?

Ormai il fenomeno del cambiamento climatico è a conoscenza di tutti e interessa non solo le persone più attente all’ambiente, ma anche le agende dei Governi.

Gli obiettivi dell’Europa per contrastare l’emergenza climatica sono chiari: ridurre le emissioni di CO2.

L’anidride carbonica, infatti, è uno di quei gas ad effetto serra, che bloccano il calore del sole, impedendogli di ritornare nello spazio, causando l’innalzamento della temperatura terrestre.

Per questo motivo la normativa europea sul clima ha dichiarato l’impegno a raggiungere la carbon neutrality entro il 2050.

All’interno di questo scenario la plastica riciclata ha un ruolo importante, perché può contribuire in modo significativo alla riduzione delle emissioni di CO2, vediamo in che modo.

L’impronta di anidride carbonica rilasciata dalla plastica riciclata è infatti notevolmente minore rispetto alla plastica vergine, per diverse ragioni:

1) Non prevede la lavorazione di risorse prime.

La plastica riciclata nasce dalla lavorazione di plastica già esistente; quindi, non ha la necessità di estratte e processare materie prime, come il petrolio, che generano importanti quantità di CO2.

2) La sua produzione necessita di meno energia.

Il riciclo della plastica è un processo meno energivoro rispetto alla produzione di plastica vergine. Questo, in termini di emissioni, significa produzione di meno CO2.

Inoltre, riciclare vuol dire anche ridurre la possibilità che la plastica finisca nelle discariche, o ancora peggio nell’ambiente, andando ad accrescere un altro problema legato all’inquinamento del terreno e delle acque dei nostri ecosistemi.

Utilizzare materiali già esistenti promuove il modello virtuoso dell’economia circolare, che prevede la riduzione dell’utilizzo di risorse primarie e il calo della generazione di rifiuti da smaltire.

Andare verso un sistema di economia circolare vuol dire anche minor dipendenza da risorse preziose ed esauribili, a vantaggio del reimpiego di materiali già in circolazione.

Questi sono i motivi per cui la plastica riciclata ha un ruolo centrale nella riduzione delle emissioni di CO2.

L’implementazione della produzione e dell’utilizzo della plastica riciclata può avere numerosi benefici ambientali.

Naturalmente il suo impiego deve essere sostenuto e promosso, sia dalle legislazioni, che dalle aziende.

Non per ultimi, noi consumatori, siamo chiamati in causa in questo processo di trasformazione, perché dalle nostre scelte informate e dalla nostra gestione consapevole della plastica, dipende la buona riuscita di un sistema di riciclaggio efficiente.


Come finisce in mare la plastica?

Il tema dell’inquinamento marino è uno dei più sentiti e dei maggiormente trattati.

Gli ecosistemi marini sono molto importanti per la salvaguardia delle specie che ci vivono, ma sono anche essenziali per la sopravvivenza di tutto l’ambiente terrestre, perché contribuiscono alla vita del nostro pianeta e dell’uomo stesso.

Non sono solo una fonte di cibo per noi, ma contribuiscono a fornire ossigeno all’atmosfera e a bloccare alte quantità di CO2, le loro correnti contribuiscono a creare l’habitat delle coste che bagnano, condizionano il clima, insomma rappresentano un anello fondamentale della catena che garantisce la nostra esistenza sulla Terra.

È innegabile, però, che i mari siano notevolmente afflitti dal fenomeno dell’inquinamento.

E questo inquinamento è pesantemente ricondotto alla plastica.

Ma, come sempre diciamo, per trovare le soluzioni più efficaci, è utile farsi le domande giuste, come: da dove arriva la plastica che affligge i nostri oceani?

Il 46% della plastica che compone le ‘isole di plastica’ al largo degli Oceani, è composta da reti da pesca e rifiuti abbandonati o persi dai pescherecci.

Secondo una ricerca condotto dall’Università della Tasmania, che ha coinvolto le autorità che regolano la pesca e condotto numerose rilevazioni sul campo, in media ogni anno un peschereccio abbandona in mare circa il 2% delle attrezzature.

Si stima così che nel mare ci siano così tante reti da poter fare il giro della Terra, passando dall’Equatore, per 400 volte.

Il secondo modo in cui la plastica arriva in mare è attraverso i fiumi, perché è un fatto che la plastica abbandonata nell’ambiente, prima o poi finisca in acqua, e noi dobbiamo fare di tutto perché questo non accada.

Secondo gli studi, i principali ‘traghettatori’ di plastica negli oceani sono i dieci maggiori fiumi dell’Asia e dell’Africa, che ogni anno scaricano circa dodici milioni di tonnellate di rifiuti di plastica. Il fiume Yangtze, l’Indo, il fiume Giallo, il Nilo, il Gange, il Niger, il Mekong sono i responsabili più importanti.

Ma come si argina il problema e si affrontano in maniera risolutiva questi due aspetti?

Per i rifiuti da pesca sono in atto contromisure importanti, come convenzioni internazionali e regolamentazioni europee, che vietano lo smaltimento di attrezzi da pesca in mare e impongono l’obbligo di notifica delle reti smarrite.

Inoltre sono numerose le organizzazioni e i progetti dedicati al recupero e allo smaltimento delle reti fantasma.

Mentre, per il problema dei rifiuti trasportati dai fiumi, che provengono da quei paesi interessanti da una rapida crescita economica, sono previsti investimenti nello sviluppo di sistemi di smaltimento e riciclo maggiormente controllati, per arginare il problema dell’inquinamento.

Rimane fondamentale l’obiettivo, per tutti noi consumatori, di ridurre l’utilizzo di plastica superflua e di gestirla in modo corretto, destinandola alla raccolta differenziata quando possibile e non abbandonandola, in nessun caso, nell’ambiente.


Come si riciclano i rifiuti dell’estate?

Sicuramente d’estate usiamo oggetti che raramente ci troviamo tra le mani durante gli altri mesi e può sorgere qualche nuovo dubbio su dove debbano essere gettati a fine vita.

Il tanto desiderato periodo delle ferie è ormai vicino. Il giusto momento per svagarci, rilassarci, ricaricare le nostre batterie per affrontare il resto dell’anno, è arrivato.

Se ci meritiamo di vivere qualche settimana senza troppi pensieri, non dobbiamo però dimenticare di riciclare i nostri rifiuti, come facciamo abitualmente a casa.

Soprattutto nelle immediate vicinanze di spiagge, laghi, prati, boschi, e tutti quei luoghi naturali, dove è possibile che il servizio della raccolta differenziata non sia gestito, ricordiamoci di non abbandonare mai i nostri rifiuti nell’ambiente!

Non roviniamo un luogo in salute con i nostri scarti e non compromettiamo il buon comportamento di migliaia di persone che si impegnano a differenziare correttamente.

Va detto che anche i più ligi e coscienziosi riciclatori, quando si trovano davanti un prodotto che non usano abitualmente, possono non essere così sicuri su dove vada gettato.

Per non rischiare errori, vediamo insieme i principali rifiuti di plastica, tipicamente ‘estivi’, che potremmo trovarci a gestire in questo periodo:

1) Creme solari e doposole

Le confezioni in plastica delle protezioni solari o delle lozioni doposole, che siano in crema, in olio o in stick, rientrano negli imballaggi, per cui, svuotate del prodotto residuo, vanno tranquillamente gettate nella raccolta della plastica.

2) Confezioni di Gelati e Ghiaccioli

Le coppette dei gelati in plastica, così come le buste che avvolgono ghiaccioli e ricoperti, rientrano nella categoria imballaggi, e vanno conferiti nella raccolta differenziata della plastica.

3) Braccioli, Salvagenti e Gommoni

Ogni estate almeno un materassino o un pallone di plastica si afflosciano sulla sabbia, irrimediabilmente forati.

Purtroppo, questi oggetti non sono imballaggi, quindi vanno smaltiti nella raccolta indifferenziata.

Mi raccomando non lasciateli in mare o sulla spiaggia, perché possono facilmente raggiungere e disperdersi nell’acqua!

4) Giochi da Spiaggia

Formine, palette, secchielli, pistole ad acqua… NON vanno nella raccolta differenziata della plastica.

Però puoi scegliere di acquistare i giochi realizzati in plastica riciclata, per impattare meno sull’ambiente.

Inoltre, possiamo consigliarti, se in buono stato, di non gettarli, ma di regalarli o riutilizzarli per l’anno seguente!

5) Confezione in plastica di antizanzare

Nelle sere d’estate, l’antizanzare diventa l’accessorio irrinunciabile da portare sempre con sé.

Spesso viene confezionato in pack di plastica e quindi, quando esaurito, gettiamolo nella raccolta differenziata!

Questi sono alcuni degli esempi più frequenti di gestione dei rifiuti tipicamente ‘estivi’.

E tu hai dubbi su dove conferire altri oggetti che non abbiamo elencato?

Faccelo sapere e cercheremo di darti una risposta utile!


Cos’è la produzione In-House e perché fa bene all’ambiente?

Hai mai sentito il termine “In-House” associato alla produzione di un’azienda?

Nel nostro articolo spieghiamo nel dettaglio di cosa si tratta, e possiamo anticiparti che è un ottimo esempio di sviluppo per la sostenibilità aziendale.

La sostenibilità aziendale è un argomento vasto e anche abbastanza complesso da attuare per un’impresa. Allo stesso tempo è una scelta importante, utile al benessere del nostro Pianeta e di tutti noi, per cui va affrontata quanto prima.

Ti portiamo l’esempio di ALPLA, azienda leader nella produzione di imballaggi plastici, che si muove ormai da anni in questa direzione, con esiti positivi.

Lavorare sulla sostenibilità ambientale di un’azienda può voler dire agire su diversi aspetti della sua organizzazione.

È possibile, infatti, apportare migliorie che impattano sul sistema di produzione, ma anche su altri processi all’interno dell’azienda, dall’approvvigionamento dell’energia necessaria, alla gestione della supply chain, al metodo di trasporto e stoccaggio delle merci, al trattamento dei rifiuti aziendali…

Ad esempio, Alpla sceglie di utilizzare parte dell’energia impiegata dai suoi stabilimenti proveniente da fonti rinnovabili.

Da anni investe per il riciclo della plastica.

Raccoglie e reimpiega il materiale di scarto derivato dalla produzione, per evitare che si disperda nell’ambiente.

Inoltre, ha sviluppato e spinto per la realizzazione di produzioni in house presso gli stabilimenti dei suoi clienti, raggiungendo notevoli benefici ambientali.

In-House Production è il termine con il quale si indica la realizzazione delle linee produttive necessarie a dare vita al packaging richiesto, direttamente all’interno, o nelle immediate vicinanze, degli stabilimenti dei clienti di Alpla.

Il primo esperimento attuato da Alpla in questo senso è avvenuto proprio in Italia, nel 1985, a Lomazzo, dove è stato aperto il primo impianto all’interno dell’azienda Henkel.

Ad oggi gli stabilimenti in-house di Alpla sono arrivati ad essere 71, su un totale di 181 impianti di produzione in tutto il mondo.

Questo si traduce in un grande vantaggio in termini ambientali.

Produrre un imballaggio direttamente dentro l’azienda cliente permette di risparmiare importanti risorse per il trasporto e per il packaging secondario per imballare preforma e confezioni.

Non vengono utilizzati mezzi pesanti, non viene generato traffico di camion.

È stato calcolato che i 71 stabilimenti interni di Alpla hanno evitato di produrre 43.000 tonnellate di CO2 in meno. Pari alle emissioni di 13.000 voli Vienna – Rio de Janeiro. Per compensare 43.000 tonnellate di CO2 sono necessari 2,13 milioni di alberi.

Oggi sappiamo quanto l’anidride carbonica e altri gas serra siano responsabili del grande cambiamento climatico in atto. Ambientalisti, scienziati e la stessa Europa ci chiedono di ridurre le nostre emissioni, per contrastare il crescente riscaldamento globale.

Inoltre, Alpla associa alla produzione in-house, una produzione just-in-time, per avere un coordinamento ottimale tra la fase produttiva, il magazzino e le necessità del cliente, ottenendo un ulteriore risparmio di risorse ed eventuali sprechi.

L’efficientamento di questi processi, insieme alla collaborazione con i clienti, aiutano a rendere la produzione più sostenibile e a ridurne l’impatto ambientale, con ampi benefici che soddisfano tutti, sia le aziende che il Pianeta.


Ambiente e Sostenibilità: l’intervista a Marco Fratoddi, direttore della rivista “Sapereambiente”

Oggi parleremo con Marco Fratoddi, direttore della rivista “Sapereambiente”, che si occupa da anni di sostenibilità.  “Sapereambiente” ha tra i suoi progetti un programma di formazione, “La Scuola di ecologia”, che ogni anno organizza un “Corso di giornalismo ambientale e culturale” con un Campus in presenza. Abbiamo scelto di supportare con il nostro progetto “La Plastica è cambiata” proprio questo progetto per consolidare ancora di più le attività di approfondimento e di divulgazione della cultura sostenibile della plastica!

Leggi l’intervista!

Cosa significa per te “sostenibilità”?

Significa cercare una vita più felice per le generazioni presenti, attraverso una ridistribuzione più equa delle risorse, e per quelle che verranno, se ci abituiamo a pensare in termini rigenerativi la nostra maniera di abitare la Terra. È una sfida importante ed avvincente che richiede un approccio integrato all’innovazione, che passi attraverso le tecnologie per l’efficienza e la circolarità ma anche l’adozione di stili di vita coerenti con un’idea contemporanea di benessere, una sfida che ci chiama in causa nella nostra dimensione più profonda perché richiede a tutti noi di sentirci come parte della natura, non solo della collettività umana. E d’interpretarne gli equilibri non come vincolo ma come guida verso una fase nuova della convivenza su questo pianeta.

Ti occupi di divulgazione sulla sostenibilità e sull’ambiente da anni: secondo te com’è cambiata la narrazione su questi temi nel corso del tempo?

La comunicazione nel suo complesso è profondamente cambiata durante gli ultimi trent’anni, grazie all’avvento della sfera digitale, che guarda caso coincidono in buona parte con quelli che hanno visto affermarsi la cultura ambientale moderna. Quindi il discorso pubblico sull’ambiente si è manifestato in una fase cruciale per i modelli di comunicazione, risentendone profondamente in qualche maniera condizionandoli: siamo passati infatti da un approccio frontale ed assertivo, che pure ha dato i suoi frutti nella fase iniziale, ad uno più collaborativo e conversazionale, grazie ai social media che proiettano in rete un’idea di cambiamento fra pari che rappresenta la vera strategia per un’evoluzione autentica, mi viene quasi da dire biologica, dei nostri modelli di convivenza verso la sostenibilità. Un altro aspetto da sottolineare, a mio avviso, sta nel fatto che la comunicazione ambientale diventa sempre di più un terreno d’incontro piuttosto che di contrapposizione fra le parti, di collaborazione fra soggetti che possono integrarsi verso comuni obiettivi di responsabilità. Anche il registro si sta evolvendo, compensando quello catastrofista con un approccio centrato sulle soluzioni, l’unico d’altro canto che possa dare speranza e creare motivazione nelle persone.

Chi sono i principali interlocutori a cui si rivolge la rivista Sapereambiente?

La nostra missione è aiutare le persone a interpretare in maniera nuova la realtà, in termini sistemici e integrali, perché organizzino le proprie conoscenze in maniera utile al cambiamento, cercando la migliore coerenza fra saperi e comportamenti virtuosi, fra valori e pratiche. I nostri interlocutori sono tutti coloro che vogliano intraprendere questa strada nella propria vita personale ma anche attraverso il proprio impegno professionale e civico, i formatori impegnati nell’educazione alla sostenibilità, gli imprenditori che innovano, i decisori politici che guardano, a prescindere dalle appartenenze ideologiche, verso una società ad elevata coesione e basse emissioni di carbonio. Vogliamo intercettare l’attenzione che c’è in questa fase storica verso le tematiche ambientali e fare in modo che non sia un’occasione sprecata, praticando un giornalismo formativo che accolga tutti e aiuti anche a leggere la cronaca in maniera più consapevole, creando insomma gli anticorpi per la molta disinformazione che inquina i flussi di comunicazione.

A chi c’è necessità di parlare per diffondere una sana cultura della sostenibilità?

Penso in realtà che ci sia anche molto bisogno di ascoltare, perché quando si parla si trascura proprio quanto ci torna nella conversazione. Abbiamo bisogno di aprire il discorso con molte sfere di pubblico, direi che certamente bisogna includere i nuovi cittadini, quanti immigrano nei paesi più ricchi, compreso il nostro, che possono partecipare e dare molto a questa transizione. Sperando che le leadership politiche colmino presto il ritardo su questi temi: è davvero raro trovare decisori che si occupino di questioni ambientali con competenza e adesione autentica, credo sia una delle ragioni che spiegano la disaffezione dei cittadini dal voto. Diciamo che sarebbe auspicabile parlare anche a loro e con loro, se ci fossero orecchie disposte ad ascoltare.

Secondo te in cosa può migliorare il dibattito su questi argomenti?

I limiti sono ancora molti, non c’è dubbio. Certamente il dibattito sarebbe migliore se a livello del mainstream, nelle grandi testate giornalistiche, la notizia ambientale affiorasse in maniera meno episodica e intermittente, nell’ottica della continuità che già all’inizio degli anni Ottanta uno dei padri del pensiero ambientalista italiano, Antonio Cederna, auspicava in qualità di editorialista del Corriere della Sera. Invece, come confermano alcune recenti ricerche di Greenpeace e della fondazione Pentapolis, il discorso sulla sostenibilità resta ancora oggi in secondo piano a meno che non accada qualcosa di grave – vedi i fenomeni meteorologici estremi che periodicamente si abbattono anche sui nostri territori – oppure i grandi portatori d’opinione, da Xi Jinping a Greta, da Ursula von der Leyen a Leonard Di Caprio, fatte ovviamente le dovute differenze, non prendano la parola durante i grandi vertici annuali. Anche il giornalismo, insomma, deve mettersi in discussione se vuole partecipare al cambiamento e magari tornare ad essere interessante per il pubblico rivedendo molti criteri di notiziabilità legati ancora alla stampa delle origini.

Attraverso quali strumenti o canali può avvenire un cambiamento della narrazione ambientale e sostenibile?

Le vie sono molte, una è certamente la formazione di chi agisce, più o meno professionalmente, nel cosiddetto mercato dell’attenzione, il terreno più prezioso nel concitato sistema dei media contemporanei. Siamo orgogliosi e felici, perciò, di condividere con il progetto “La plastica è cambiata. Cambia idea sulla plastica” supportato da Alpla un’esperienza di formazione in campo giornalistico come il campus che abbiamo realizzato, all’inizio di giugno, presso la Pro Civitate Christiana di Assisi al termine del nostro Corso di giornalismo ambientale e culturale iniziato a febbraio. Abbiamo sperimentato, insieme a una ventina di nostri iscritti, una modalità espressiva che teneva insieme linguaggio fotografico e scrittura, contenuti scientifici e poesia, lavoro sul campo e gestione del testo digitale. L’obiettivo del nostro corso è formare nuove leve di narratrici e narratori che sappiano andare oltre la cronaca e praticare appunto un giornalismo formativo, che punti a raccontare i problemi ma anche le buone pratiche, a condividere con il pubblico risorse scientificamente fondate, esperienze e produzioni culturali capaci di incidere nel profondo delle identità, di mettere in discussione le nostre chiavi di lettura e creare le premesse per una nuova mentalità. Stiamo cercando di dare, nel nostro piccolo, un contributo all’innovazione in campo giornalismo e farlo insieme a chi sta cambiando la plastica e la maniera di percepirla ci sembra un’opportunità importante per unire le forze nella ristrutturazione dei nostri paradigmi interpretativi e facilitare la transizione in tempo utile con le urgenze del clima, con gli indicatori sulla perdita di biodiversità, con le istanze etiche che pone la nostra epoca.


Perché è utile tenere le bottiglie in PET nel ciclo del ‘Bottle to Bottle’?

Le bottiglie in plastica PET sono un confezionamento sicuro e comodo per le nostre bevande.

Il PET è una plastica priva di pericoli per il contatto con gli alimenti e le bottiglie prodotte in questo materiale sono resistenti, leggere, facili da trasportare e da stoccare.

Negli scaffali dei nostri supermercati troviamo la maggior parte delle acque e delle bibite confezionate all’interno di questo materiale, e sebbene le bottiglie in plastica PET siano classificate come un imballaggio usa e getta, sono, in molti casi, una scelta più sostenibile rispetto ad altri materiali sostitutivi.

Diverse ricerche scientifiche, che si sono concentrate sulla comparazione tra diverse soluzioni per il confezionamento delle bevande, sono arrivate alla conclusione che proprio la leggerezza di questo materiale, e il minor dispendio di energia in fase di produzione, permettono al PET di contenere la propria impronta di CO2 rispetto ad altre tipologie di bottiglie, rendendolo un materiale preferibile dal punto di vista ambientale.

Questi benefici si amplificano ulteriormente se il PET viene correttamente riciclato e se da esso si produce nuovo R-PET da impiegare per la produzione di bottiglie.

Abbiamo già parlato diverse volte dei vantaggi di un prodotto riciclato, ma ci teniamo a ripeterlo: impiegare materiale riciclato permette di risparmiare materie prime non rinnovabili e di ridurre le emissioni di CO2, che sono responsabili dell’innalzamento delle temperature e del cambiamento climatico in atto.

In quest’ottica le bottiglie in PET riciclato sono una scelta importante per il nostro ambiente, e ci garantiscono un prodotto dalle inalterate caratteristiche di sicurezza, resistenza e usabilità.

Il riciclo delle bottiglie in PET va incoraggiato, e soprattutto va sostenuto l’utilizzo del materiale che ne deriva, l’R-PET, per la produzione di nuove bottiglie. In questo modo il PET riesce a inserirsi all’interno di un circolo virtuoso di riciclo continuo.

Questo sistema di economia circolare viene definito bottle to bottle e a ogni suo ciclo i benefici ambientali e di produzione aumentano, riuscendo a generare valore da un oggetto altrimenti destinato a diventare un rifiuto.

Questo è il motivo per il quale affermiamo che è più utile mantenere le bottiglie di PET all’interno del circolo ‘bottle to bottle’, perchè in questo modo trasformiamo un prodotto ‘usa e getta’ in una risorsa rigenerabile per un numero elevato di volte.

Molto spesso leggiamo che il PET riciclato è utilizzato anche per realizzare oggetti di svariato tipo: vestiti, peluches, interni di automobili… naturalmente è lodevole che si cerchi di impiegare sempre maggiormente il materiale riciclato: è un segnale positivo di una crescente attenzione al tema e della nascita di una visione industriale che procede in questa direzione.

Eppure, così facendo, il processo di economia circolare innescato con il riciclo delle bottiglie è destinato a interrompersi.

Ad oggi, infatti, questi tipi di oggetti non vengono riciclati e sono destinati ad andare ad aumentare la quantità dei rifiuti in discarica alla fine del loro ciclo di vita.

Quando si parla di plastica, di riciclo e di sostenibilità, è sempre bene avere una panoramica globale sul prodotto, e una visione a lungo termine sul progetto.

Quindi, per quanto possibile, cerchiamo di mantenere il riciclo del PET all’interno del ciclo ‘Bottle to Bottle’, e di non interrompere questo processo circolare virtuoso, dai benefici scalabili.


La Plastica riciclata diventa Arte

La plastica è arrivata sul mercato ed è entrata a far parte dei nostri consumi a metà del secolo scorso.

Oggi, come abbiamo più volte ricordato, utilizziamo questo materiale ogni giorno, e lo troviamo impiegato negli oggetti di uso comune, così come nei sofisticatissimi componenti che fanno funzionare le nostre macchine o i nostri device elettronici.

Possiamo dire che la plastica ha rivoluzionato le nostre vite, facendo nascere nuove consuetudini e permettendo la realizzazione di invenzioni importanti in molti settori.

Sicuramente ci ha lasciato anche un dovere notevole: quello di imparare a gestirla in un modo più consapevole rispetto al passato, riciclandola e riducendone l’utilizzo superfluo.

La plastica è infatti un materiale che si modella facilmente, e che, dopo il suo utilizzo, può trasformarsi di nuovo in materia prima riciclata.

Tutti questi aspetti non potevano far altro che stimolare anche il pensiero artistico contemporaneo.

Diversi sono infatti gli artisti che hanno messo la plastica al centro della loro arte. Non solo come materiale apprezzato per le sue caratteristiche tecniche, ma anche come oggetto simbolo della trasformazione, del divenire, del reimpiego e del riciclo.

Il collettivo più famoso è probabilmente Cracking Art, che dal 1993 ha iniziato a esporre in tutto il mondo le sue enormi sculture a forma di animale realizzate in plastica riciclata.

Credits: Cracking Art

L’animale iconico della Cracking Art è la chioccola gigante, allo stesso tempo simbolo dell’immediata comunicazione digitale, ma anche della lentezza.

In queste opere artistiche la plastica riciclata è utilizzata come materia prima, plasmata nuovamente per dare forma a qualcosa di diverso.

Altri artisti invece hanno deciso di lavorare con i rifiuti plastici senza trasformarli: quindi bottiglie, tappi, cannucce, assemblati per creare opere dal significato nuovo.

L’artista Veronika Richterovà, per esempio, impiega quasi esclusivamente le bottiglie di plastica e definisce la sua espressione artistica come “pet-art”.

Non solo, l’artista Richterovà ha visto negli anni evolvere le bottiglie di plastica da lei utilizzate, e ha deciso di raccontare questo cambiamento e tenere traccia delle confezioni che altrimenti sarebbero scomparse, dando vita a un vero e proprio Museo di bottiglie in plastica PET.

Ad oggi questo museo raccoglie più di 3000 bottiglie, provenienti da 76 paesi diversi.

Anche l’artista britannica Jane Perkins è una nota esponente dell’arte del riciclo, si autodefinisce “re-maker”, perché dà una vita nuova e diversa a oggetti di scarto, creando bellissime interpretazioni di immagini, quadri e scatti fotografici iconici e noti a tutti noi.

Jane Perkins ci permette di guardare con occhi nuovi, non solo i rifiuti usati, ma la stessa opera originale presa a modello.

Un altro esempio è dato dall’artista Alejandro Duran, che si concentra sulla plastica nel suo progetto Washed Up: Transforming a Trashed Landscape.

Duran lavora sulla costa del Messico, dove raccoglie grandi quantità di rifiuti dai quali realizza installazioni cromatiche di forte impatto, direttamente sul luogo di raccolta.

Le sue sono opere ambientali, che desiderano sensibilizzare sul tema della spazzatura abbandonata indiscriminatamente sul nostro suolo.

Non possiamo non ricordare anche una nota esponente italiana: Annarita Serra.

Annarita Serra lavora principalmente con i rifiuti in plastica, per la maggior parte raccolti sulle spiagge, che utilizza come fossero pennellate. Le sue opere sono la rielaborazione di personaggi famosi e immagini note, e la resa estetica è così accurata, che solo avvicinandosi si scopre il materiale di cui è fatta l’opera.

Naturalmente non abbiamo citato tutti gli artisti che utilizzano la plastica, che sappiamo essere tanti, ma speriamo di avervi dato una panoramica sui più noti e sulle principali tecniche di utilizzo di questo materiale.

E voi avete mai pensato di farvi stimolare creativamente dalla plastica?


Sai che esistono le Bottiglie in PET Riutilizzabili?

Il Riutilizzo della plastica è uno degli step fondamentali, insieme al riciclo, per ridurne l’impatto ambientale. 

Ed è anche uno degli aspetti su cui l’Europa vuole puntare maggiormente l’attenzione. 

Verso la fine del 2022, la Commissione europea ha infatti proposto un regolamento per aggiornare il Circular Economy Action Plan del 2020, che vuole intervenire, oltre che sull’eliminazione degli imballaggi superflui e inutili, e sull’incentivazione del riciclo, anche sul riuso delle confezioni in plastica. 

Per favorire il riutilizzo o la ricarica degli imballaggi, l’Europa chiede che le aziende mettano a disposizione dei consumatori una certa percentuale dei loro prodotti in imballaggi riutilizzabili o ricaricabili. 

Naturalmente questo implica uno sforzo notevole di adeguamento da parte delle aziende, e un maggiore impiego della ricerca per trovare soluzioni innovative e convenienti, che sempre di più siano utili a ridurre l’impatto ambientale della plastica sul Pianeta. 

Ma un pezzo importante di questo ‘futuro’ è già qua, perché le bottiglie in PET riutilizzabili sono già state prodotte e commercializzate. 

Ricordiamo brevemente che la plastica PET è quella preferita per il packaging degli alimenti, per diversi fattori: è un polimero inerte, quindi non modifica o viene modificato da ciò con cui è a contatto, è resistente, leggero, trasparente, ed è anche la plastica più riciclata e riciclabile. 

Oggi, a questi vantaggi, possiamo aggiungere la caratteristica che può anche essere utilizzata per creare contenitori riutilizzabili. 

L’azienda produttrice ALPLA ha recentemente sviluppato e immesso sul mercato bottiglie in PET riutilizzabili, che hanno diversi plus: 

  • essere più leggere del vetro 
  • essere costituite anche da PET riciclato 
  • sostenere almeno 15 cicli di riutilizzo 
  • essere adatte a contenere acqua e bibite gassate. 

Questo consente alle bottiglie in PET di essere ancora più sostenibili. 

Il riutilizzo si traduce in valore aggiunto.  

Una bottiglia in PET riutilizzabile, che dura almeno 15 cicli, può rimanere sul mercato fino a 3 o 4 anni, riducendo notevolmente l’impatto del packaging alimentare sull’utilizzo di risorse esauribili.  

Inoltre, pur essendo riutilizzabili come le bottiglie in vetro, pesano anche il 90% in meno di queste, abbassando in maniera sensibile le emissioni di carbonio a seguito del loro trasporto e della loro produzione. 

Sappiamo che CO2 ridotta si traduce in un contributo importante a una maggiore protezione del clima e dell’ambiente. 

Proprio questo è quello che chiedono molti consumatori: prodotti più sostenibili da poter utilizzare facilmente nella vita di tutti i giorni. 

Aziende che ascoltano i loro clienti, insieme a produttori innovativi e attenti alla sostenibilità possono dare vita a prodotti come questo.