Il Riciclo della Plastica cresce anche nel 2021

Corepla, il Consorzio Nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica, ha pubblicato i primi dati sulla raccolta della plastica, relativi all’anno 2021, durante l’Assemblea del Consorzio svoltasi a Milano l’11 maggio 2022.

I dati raccontano una performance positiva e in continuo miglioramento anno su anno.

I risultati sono particolarmente apprezzabili, tenendo conto della situazione complessiva, che ha visto il 2021 come un anno complesso, caratterizzato da difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, e da un generale aumento dei costi delle risorse e dell’energia.

Vediamo insieme qualche numero:

  • La raccolta differenziata degli imballaggi in plastica continua a crescere: + 3% rispetto al 2020. In volume la plastica raccolta è stata di 1.475.747 tonnellate.

Questo significa che ogni italiano, in media, ha differenziato 24,9 kg di plastica.

I tassi di crescita sono stati particolarmente positivi nelle regioni con le performance peggiori durante gli scorsi anni, portando a un comportamento in termini di raccolta differenziata, pressoché omogeneo tra tutte le regioni italiane. 

Le più virtuose sono: Sardegna e Umbria, rispettivamente con 34 e 32 kg per abitante.

Questi risultati sono frutto sicuramente di un servizio di raccolta e riciclo capillare in tutto il Paese (il 96% dei Comuni ha infatti un sistema di raccolta differenziata), ma anche di campagne di sensibilizzazione continue che hanno reso i cittadini consapevoli e particolarmente attenti al giusto conferimento dei loro rifiuti.

Vediamo ora come è stata recuperata la plastica raccolta, ovvero quanta di essa è stata avviata a riciclo e quanta a recupero energetico.

  • Nel 2021 sono state riciclate 1.020.000 tonnellate di plastica, provenienti prevalentemente da raccolta differenziata urbana.
    Nel 2020 erano state riciclate 900.000 tonnellate di imballaggi plastici.

684.615 tonnellate di rifiuti da imballaggio in plastica sono stati gestiti da Corepla, ai quali vanno aggiunte 299.000 tonnellate riciclate da operatori industriali indipendenti e provenienti dalle attività commerciali e industriali.

Fuori da questo conteggio, ma comunque indicativi ai fini del risultato complessivo, potremmo aggiungere ulteriori 71.000 tonnellate gestite dai consorzi autonomi Sistema PARI e Conip.

  • Nel 2021 sono state conferite a recupero energetico 314.964 tonnellate di imballaggi plastici.

Di questo gruppo fanno parte quegli imballaggi che ancora non possono essere riciclati e che vengono quindi destinati a produrre energia, al posto di utilizzare combustibili fossili. 

Corepla ha destinato questi rifiuti per l’85,8% a cementifici (47,3% in Italia e 38,5% all’estero) e per il 14,2 presso termovalorizzatori efficienti.

Interessante, anche in questo caso, il confronto con il 2020, quando è stato conferito a recupero energetico un volume maggiore di rifiuti: 377.807 tonnellate di imballaggi plastici.

Una propensione maggiore al riciclo è infatti sempre auspicabile, visto i grandi benefici che porta con sé.

A chiudere questi primi dati sull’andamento del 2021, riportiamo il commento del Presidente di Corepla Giorgio Quagliuolo, che ricalca il nostro augurio, ovvero che pur tenendo conto dei buoni risultati ci sia ancora la spinta a migliorare: 

“I numeri emersi oggi attestano che la strada è quella giusta; ora però è necessario uno sforzo ulteriore da parte di tutti per mantenere l’eccellenza che abbiamo raggiunto in termini di percentuale di raccolta differenziata degli imballaggi in plastica e di avvio a riciclo. Noi continueremo a mettere a disposizione del Paese la nostra competenza ed esperienza per costruire sui traguardi di oggi, gli ambiziosi obiettivi di domani”.


Il Riciclo non va in vacanza: buone pratiche per l’estate

L’estate ormai è arrivata e noi siamo in ferie o in procinto di partire.

In questo periodo i nostri ritmi si allentano, la nostra routine quotidiana si modifica, ma c’è un aspetto sul quale è bene mantenere alta l’attenzione: il riciclo della plastica.

Anche in vacanza, infatti, non dimentichiamoci di differenziare i nostri rifiuti.

Possiamo quasi dire: soprattutto durante l’estate! Quando la nostra vita si svolge per la maggior parte all’aria aperta e a contatto con la natura, non lasciamo tracce sgradevoli del nostro passaggio.

Bastano poche abitudini semplici, ma di grande impatto per la salute del Pianeta e in grado di preservare la bellezza dei luoghi in cui ci troviamo.

Ti lasciamo 5 semplici consigli per gestire senza stress il riciclo della plastica anche in estate.

1) Informati sulle regole per la raccolta differenziata

Oramai la quasi totalità dei comuni è attrezzata per la raccolta differenziata della spazzatura, e quindi anche dei rifiuti in plastica.

È però vero che ogni località ha le sue modalità di raccolta.

Chiedi, prima di partire, quali siano le regole da seguire al tuo albergatore, al proprietario della casa che affitti, o direttamente al Comune dove soggiornerai.

2) Usa i cestini della raccolta differenziata

Molte aree turistiche, come spiagge, aree pic nic, percorsi di trekking, sono dotate di cestini per la raccolta differenziata.

Non in tutti i posti è così però, più ci addentriamo nella natura e nelle zone meno battute, più è complicato organizzare il ritiro dei rifiuti e più sarà difficile trovare dei contenitori per la nostra immondizia.

Non è così grave: basta raccogliere la spazzatura che hai prodotto e portarla con te nel centro abitato più vicino, dove avrai modo di smaltirla agevolmente.

3) Riduci gli imballaggi

Se portarsi a casa i rifiuti non ti sembra la prospettiva migliore, quando sei in procinto di partire per un’escursione o una gita, cerca di ridurre al minimo gli imballaggi.

Evita di portarti piatti e bicchieri di plastica, trasferisci l’acqua in borracce e utilizza contenitori riutilizzabili per il tuo pranzo.

Viaggerai più leggero e non avrai il pensiero di non sapere dove mettere le confezioni vuote.

4) Aiuta l’ambiente e raccogli ciò che trovi

Quanto è spiacevole trovarsi in mezzo a un bosco, su una spiaggia isolata, a nuotare nelle acque trasparenti, e vedere abbandonati rifiuti di ogni tipo?

Sarà sicuramente capitato anche a te!

Fai un gesto poco impegnativo, ma dal grande risultato: raccogli la spazzatura che trovi e portala via con te, insieme ai tuoi rifiuti.

Ti ringrazierà l’ambiente e ti sentirai soddisfatto di aver fatto qualcosa di bello per gli altri.

5) Ricorda cosa puoi riciclare

Ormai saprai che va nella raccolta differenziata solo la plastica da imballaggio, quindi via libera a confezioni alimentari, bottigliette, flaconi di crema solare, shampoo, cosmetici, reti, sacchetti e buste di plastica…

Mentre invece dovrai ricordarti di mettere nell’indifferenziata: giocattoli in plastica rotti, braccioli e salvagenti, oggetti vari.

In ogni caso, non abbandonare mai i tuoi rifiuti nella natura.

Questi semplici comportamenti consapevoli consentono alla plastica di entrare a far parte di un circolo virtuoso, che la trasforma in nuove risorse, riducendo la produzione di materiale vergine.

Evita, inoltre, che la plastica finisca dispersa nell’ambiente, e possa raggiungere i fiumi e il mare, andando ad accrescere il problema dell’inquinamento delle acque.

Le nostre azioni possono fare molto per l’ambiente e per permetterci di continuare a utilizzare la plastica, riducendo il suo impatto sul Pianeta.


Le Microplastiche: cosa sono e da dove vengono?

Sentiamo spesso parlare dai media di ‘microplastiche’, che invadono i nostri oceani e arrivano addirittura a essere presenti nel nostro organismo.

Queste notizie creano sicuramente in noi uno stato d’allarme, ed è per questo motivo che crediamo sia giusto e utile affrontare il tema in modo più chiaro e completo possibile.

Iniziamo con il dire che le microplastiche, per definizione sono: frammenti di plastica di dimensioni comprese tra 1 micrometro (1 milionesimo di metro) e 5 millimetri. 

Esistono anche le nanoplastiche, che sono particelle ancora più piccole, inferiori a 1 micrometro.  

Ma da dove arrivano le microplastiche?

La credenza comune può far pensare che derivino dal deterioramento dei rifiuti generici di plastica, mentre in realtà non è proprio così. Sappiamo, infatti, che:

  • il 35% delle microplastiche proviene dal lavaggio di capi sintetici.
  • Il 30% dall’attrito degli pneumatici delle auto sull’asfalto.
  • Il 24% dalle polveri di inquinamento delle città.

Se analizziamo la situazione considerando la regione di provenienza delle microplastiche, possiamo dire che da Cina, India e Asia, arrivano principalmente a causa dei lavaggi di tessuti sintetici.

Nord America ed Europa invece producono microplastiche soprattutto dallo sfregamento degli pneumatici.

Abbiamo già delle possibili soluzioni da mettere in atto per contrastare le microplastiche?

Le microplastiche che si trovano nell’acqua di lavaggio delle fibre sintetiche possono essere intercettate in modo efficace dai sistemi di filtraggio, proprio come accade per l’acqua potabile, dove non sono presenti le microplastiche.

Per quanto riguarda le microplastiche derivate dall’uso delle nostre automobili e dall’inquinamento delle nostre città, è più difficile attuare azioni risolutive, ma sarebbe importante iniziare a parlarne e a dedicare loro la giusta attenzione.

A quali plastiche appartengono le microplastiche?

È stato studiato che la maggior parte delle microplastiche è fatta prevalentemente di PE polietilene e PP polipropilene. 

Sono effettivamente i materiali plastici maggiormente diffusi, ed è quindi ragionevole che anche le microplastiche appartengano principalmente a queste tipologie.

L’altra grande questione che interessa le microplastiche è il dibattito sulla loro tossicità, ovvero: sono dannose per la nostra salute?

Molto spesso, gli articoli che fanno riferimento alle microplastiche, le presentano come pericolose, ma nella realtà scientifica, non ci sono scritti e posizioni univoche su questo punto.

Alcuni studi sulla tossicità delle microplastiche ingerite dai pesci sono stati condotti in circostanze portate all’estremo, che rendono davvero difficile il verificarsi in natura di quei fattori, ad esempio facendo ingerire ai pesci quantità di microplastiche enormemente superiori a quelle che potrebbero ingurgitare negli oceani, oppure tipi di plastiche di cui non sono formate le microplastiche, o ancora composte da particelle di dimensioni sbagliate.

Possiamo dire che molte tipologie di plastiche, usate per il contatto con gli alimenti o l’uso personale, devono sottostare a rigidi protocolli di sicurezza, che rende la presenza di sostanze nocive minima e comunque ben al di sotto dei limiti consentiti.

Psicologicamente è difficile accettare come non dannoso, qualcosa che entra nel nostro corpo e che non sia anch’esso organico. 

Ma a un esame più attento, si trovano già nel nostro organismo, particelle non ‘naturali’, come ad esempio le polveri sottili. O al contrario, ingeriamo elementi tranquillamente presenti in natura, ma comunque ugualmente dannosi, come le sostanze cancerogene presenti in alcuni alimenti.

Sicuramente rimane valida una premessa: che le fonti di microplastica devono essere ridotte. Gli imballaggi in plastica devono essere raccolti e riciclati, e in nessun caso dovrebbero essere gettati nell’ambiente a decomporsi.

Nel mondo e in Europa la questione delle microplastiche è all’attenzione delle agende politiche, che si impegnano a mettere in atto strategie per aumentare i tassi di riciclaggio dei rifiuti di plastica.

Inoltre, sono in esame nuove misure per diminuire il rilascio delle microplastiche da parte dei tessuti, degli pneumatici, delle pitture e dei mozziconi di sigaretta.

Per un futuro dove la plastica sia sempre più una risorsa a ridotto impatto sul nostro Pianeta.

FONTI DATI

  • Chris DeArmitt, nel suo libro ‘Il paradosso della plastica’


Riutilizzo e Riciclo Creativo della Plastica

La plastica è stata per molti anni protagonista di un sistema di utilizzo lineare, dove veniva prodotta, impiegata e, infine, smaltita come rifiuto.

Negli ultimi anni, è stato fortunatamente compreso come sia più conveniente, sotto innumerevoli punti di vista, una gestione economica circolare, all’interno della quale la plastica non è più un rifiuto, ma diventa una risorsa, che dopo il suo utilizzo trova impieghi nuovi grazie al riuso e al riciclo.

I benefici sono innumerevoli, perché dare nuova vita alla plastica permette di:

  • salvare tantissimo spazio prezioso nelle discariche, 
  • produrre meno oggetti con plastica vergine, e quindi adoperare meno materie prime non rinnovabili, 
  • risparmiare energia e CO2 in fase di produzione.

Va detto che instaurare un processo di economia circolare all’interno di una società abituata fino a poco tempo fa a un sistema differente, implica investimenti significativi e il lavoro coordinato della politica, delle amministrazioni locali, dei produttori di materiali plastici, delle aziende e delle catene di distribuzione.

Infine, ma con un ruolo decisivo, è necessario che il consumatore comprenda l’importanza di adottare questo nuovo comportamento, per il bene suo, del Pianeta e della future generazioni.

È infatti innegabile che siamo noi a decidere quale sarà il futuro della plastica dopo che l’abbiamo usata.

La getteremo nella differenziata? Permettendole di trasformarsi in un nuovo oggetto o di diventare combustibile. O la ammucchieremo in una discarica?

Dobbiamo dire che noi italiani siamo dei bravi riciclatori, infatti le percentuali relative alla raccolta differenziata crescono di anno in anno, e sono omogenee su tutto il territorio nazionale.

Ma oggi vogliamo fare un salto ulteriore e parlare di riuso e riciclo creativo, ovvero di cosa possiamo realizzare noi, in autonomia, nella quotidianità delle nostre vite.

Il riuso è sicuramente la procedura più semplice, perché non prevede nessuno sforzo manuale da parte nostra. 

Si tratta semplicemente di riutilizzare confezioni e prodotti in plastica, per lo scopo per il quale sono stati creati, come per esempio riempire più volte le confezioni dei detersivi con le ricariche, oppure variare leggermente la loro destinazione, ovvero i contenitori alimentari possono diventare pratici organizer per tenere in ordine i cassetti della cucina.

Se invece siete persone fantasiose, potete cimentarvi nel riciclo creativo, grazie al quale dare vita a decorazioni, giocattoli, vasi, contenitori e piccoli utensili nuovi.

Da bottiglie, flaconi, stivali da pioggia, possono nascere palline di Natale, collane, fioriere, portapenne, innaffiatoi, e tanto altro ancora.

Il riciclo creativo rappresenta un’attività stimolante, anche da fare con i propri bambini, per dare vita a giochi, macchinine, o a scritte e cartelloni abbelliti con plastica di recupero.

Spesso capita che il riciclo creativo dia vita a un oggetto nuovo, che ha un valore, sia economico che funzionale, molto maggiore rispetto a quello del prodotto di partenza. Ecco che in questo caso parliamo di upcycling, una tendenza molto in voga, che interessa i settori del design, dell’arredamento e persino della moda.

Se, però, la manualità non è il vostro forte, ricordate che il vecchio non è comunque sempre da buttare, ma si può aggiustare, vendere, acquistare, con un vantaggio economico per noi e un vantaggio ambientale per tutti.

Gli esempi visti sopra: il riuso, il riciclo, l’upcycling sono buone pratiche, utilissime, soprattutto per gestire quei tipi di plastica che non possono essere differenziati, ma che sarebbero certamente destinati alla discarica.

Date la possibilità alla plastica di reinventarsi e di diventare una risorsa per il nostro Pianeta. 

Se siete incuriositi e siete in cerca di nuove ispirazioni, seguiteci sui nostri canali social, perché tanti influencer ci mostreranno tutorial divertenti con idee per mettere in pratica il riuso e il riciclo creativo, in modo semplice e a casa vostra!

Se siete incuriositi e siete in cerca di nuove ispirazioni, seguiteci sui nostri canali social, perché tanti influencer ci mostreranno tutorial divertenti con idee per mettere in pratica il riuso e il riciclo creativo, in modo semplice e a casa vostra!


La Moda Sostenibile grazie anche al Riciclo della Plastica

Cosa può c’entrare un rifiuto di plastica con gli abiti di stilisti affermati?

Una bottiglietta d’acqua e un costume di tendenza hanno in comune molto di più di quello che possiamo credere. 

Ultimamente si sta facendo strada la necessità di pensare una nuova moda sostenibile

Il settore del fashion ha, infatti, un grande impatto sulle risorse del Pianeta: ha elevate necessità di acqua e produce molte emissioni di CO2.

Il settore del fashion ha, infatti, un grande impatto sulle risorse del Pianeta: ha elevate necessità di acqua e produce molte emissioni di CO2.

Questi fabbisogni produttivi sono aggravati da un modello di fabbricazione e di consumo, chiamato fast fashion, che ha preso piede negli ultimi anni e che prevede la creazione di moltissimi capi d’abbigliamento, per seguire i trend dei designer più noti.

Le grandi catene di abbigliamento arrivano a preparare circa una collezione di abiti a settimana, riversando sul mercato tonnellate di abiti.

Il consumatore, d’altra parte, tentato da prezzi bassi e dalla moda del momento, è molto più portato, rispetto a una volta, all’acquisto impulsivo di capi e a liberarsene con maggiore leggerezza.

Si stima che gran parte dell’abbigliamento fast fashion finisca in discarica l’anno successivo all’acquisto.

Alla luce di questi dati, che mostrano un impatto notevole sulle risorse del nostro Pianeta, molte case produttrici hanno deciso di cercare un approccio più green, e hanno iniziato ad affacciarsi in passerella collezioni di abiti sostenibili.

Allo stesso tempo la consapevolezza è cresciuta anche nei consumatori, e la sostenibilità ha iniziato a essere un valore che viene preso in considerazione durante le nostre scelte di acquisto.

In quest’ottica il connubio tra i rifiuti in plastica e la moda è arrivato naturale, e quindi via libera a tessuti derivati dal riciclo della plastica, impiegati sia nella realizzazione di capi sportivi, ma anche super lusso.

Abbiamo visto in diverse occasioni quanti nuovi prodotti possono nascere dal riciclo della plastica, oggetti di design, nuovi imballaggi, componenti per l’industria e possiamo inserire nella lista anche filati sintetici di alta qualità.

Molte delle aziende che preparano questi filati riciclati sono italiane, accrescendo la filiera industriale legata al riciclo della plastica. 

Per citarne alcune, il progetto Q-Bottles, dell’azienda piemontese Quagga, ricicla bottiglie per farne capi d’abbigliamento, o ancora l’azienda trentina Aquafil, che produce il filato Econyl, dalle reti da pesca abbandonate in mare, e che fornisce i marchi del lusso come Burberry, Gucci, e tanti altri.

Ma dobbiamo dire che molte delle principali aziende italiane produttrici di tessuti hanno una linea di filati derivati dal riciclo della plastica.

È un settore in crescita, che continua ad attirare l’attenzione di start up e dipartimenti di ricerca universitari, che costruiscono progetti dedicati al reimpiego dei rifiuti in plastica nell’industria tessile e dell’abbigliamento, continuando a cercare nuovi metodi di produzione e nuovi tessuti sempre più tech e performanti.

Se analizziamo la situazione osservando i comportamenti delle case di moda, possiamo vedere che nelle principali catene di fast fashion sono comparse collezioni create a partire da filati riciclati, e sembra che questa sia una propensione da confermare anche per il futuro: Zara ha annunciato che entro il 2025 userà tessuti sostenibili al 100% ed H&M che si impegna ad usare esclusivamente materiali di riciclo o sostenibili entro il 2030. 

L’azienda Patagonia è stata l’apripista di questa tendenza, iniziando a utilizzare poliestere derivato dal riciclo di bottiglie in plastica nel 1993. Oggi è arrivata a utilizzare l’84% di tessuti di poliestere riciclato.

La nota azienda Adidas ha diverse collezioni di scarpe realizzate con materiali riciclati, come ad esempio la linea realizzata in collaborazione con l’associazione Parley for the Oceans, che utilizza plastica recuperata sulla costa, prima che possa raggiungere gli oceani, per produrre le materie prime.

H&M ha collaborato al progetto bottle2fashion, trasformando le bottiglie di plastica di tutte le isole dell’Indonesia in poliestere riciclato, e nei suoi store si trovano felpe e altri capi per bambini realizzati con questo materiale.

Ma questi sono solo alcuni esempi, in realtà le iniziative iniziano a essere davvero numerose.

Che questo possa essere il futuro della moda?

E che possa contribuire a una maggiore attenzione al riciclo, e allo smaltimento dei rifiuti che sono già purtroppo presenti nell’ambiente?

Noi ce lo auguriamo, visto che rappresenta un ottimo esempio di economia circolare che risolve le necessità di due settori produttivi importanti, portando con sé benefici ambientali utili alla salute del nostro Pianeta.


Il Vuoto a Rendere: cos’è, perché se ne parla, chi lo usa

Nei mesi scorsi si è sentito parlare diffusamente della possibilità di introdurre nuovamente il ‘vuoto a rendere’ per incentivare il riciclo degli imballaggi alimentari, come le bottiglie e le lattine.

Cerchiamo di capire meglio insieme, di cosa si tratta, in quali paesi all’estero viene già usato, e qual è la posizione dell’Italia in merito.

Che cos’è il vuoto a rendere?

Il vuoto a rendere è la pratica per la quale un contenitore, una volta svuotato del prodotto che conteneva, viene restituito perché possa essere riutilizzato.

In genere, questo sistema si basa sul presupposto che il consumatore paghi, su questi recipienti, una cauzione all’acquisto, che gli viene poi ridata quando riporta indietro i vuoti.

Dobbiamo fare una precisazione, ovvero che originariamente il termine vuoto a rendere indicava la restituzione per il riutilizzo, e veniva applicato quindi quasi unicamente alle bottiglie in vetro.

Questo stesso sistema è rimasto attivo anche in Italia fino agli anni ’60 circa, quando i consumatori italiani riportavano al venditore le bottiglie in vetro, per farsele nuovamente riempire e pagare solo il prodotto, oppure per farsi restituire la cauzione.

Oggi, questa locuzione comprende anche quei contenitori che non vengono solo riutilizzati, ma anche riciclati. È quindi utilizzata anche per indicare più genericamente un sistema di deposito cauzionale (i DRS) per i contenitori di bevande monouso, che quindi comprende le bottiglie, sia in plastica che in vetro, ma anche le lattine in metallo e in alluminio.

Il sistema non cambia: all’acquisto il consumatore paga una cauzione, che gli viene restituita al momento della riconsegna del contenitore.

La differenza è che il vuoto a rendere che prevede il riutilizzo è un sistema che si inserisce nel processo di vita di un imballaggio, prima del riciclo. In questo caso la bottiglia non è ancora diventata un rifiuto, ma entra all’interno di un’economia circolare che la reimpiega, per il numero consentito di volte, e che la smaltisce solo al termine del ciclo di riutilizzo.

Il vuoto a rendere che prevede il riciclo dei contenitori è invece un sistema complementare alla raccolta differenziata, che mira ad avere una maggiore penetrazione tra la popolazione, perché incentivata dalla restituzione della cauzione in denaro.

In questo modo si vuole ridurre ulteriormente la percentuale di rifiuti non differenziati e alleggerire i Comuni di una parte del peso della raccolta.

Naturalmente l’introduzione di un nuovo sistema di vuoto a rendere necessita di investimenti per realizzare una rete di punti di conferimento che possa soddisfare tutta la popolazione, e va previsto un lavoro di coordinamento con i luoghi deputati alla raccolta (solitamente i supermercati), che dovranno attrezzarsi per stoccare i contenitori restituiti. 

In quali paesi è attivo il vuoto a rendere?

In Europa il sistema del deposito cauzionale è attualmente adottato in 10 paesi, e altrettanti hanno in agenda la discussione del suo possibile inserimento nei prossimi anni.

La Svezia è stato il primo paese a introdurre il sistema di deposito cauzionale nel 1984.

Questo sistema è attivo in Germania da molti anni, dove è stimato che l’ammontare dei rifiuti si sia ridotto del 96% per il vetro e dell’80% per la plastica.

In Olanda la cauzione ha un’incidenza importante sul prezzo di una bottiglietta d’acqua, si parla di 0,25 centesimi a contenitore, circa il 50% del costo del prodotto per il consumatore.

Nei paesi del Nord Europa, come la Danimarca e la Norvegia, il vuoto a rendere è obbligatorio per diverse categorie di contenitori.

È esemplare il caso della Lituania, dove il vuoto a rendere è stato introdotto nel 2016 e ha registrato ottimi risultati, avendo recuperato il 70% dei contenitori di bevande nel primo anno e il 90% nel secondo. 

E in Italia se ne parla?

Il vuoto a rendere in Italia

In Italia è un argomento di cui si è tornati a parlare recentemente.

Nel 2017 era partita una sperimentazione di vuoto a rendere voluta dall’allora ministro Gian Luca Galletti, senza però esiti felici. 

Il decreto prevedeva che fossero i singoli esercenti a scegliere se aderire o meno all’iniziativa, che non fu accolta con particolare entusiasmo, sia per gli oneri di cui doveva farsi carico il punto vendita, sia forse per la mancanza di una campagna di comunicazione a sostegno.

Il vuoto a rendere è tornato in agenda nel Decreto Semplificazioni, dove nell’emendamento proposto da Salvatore Penna si faceva riferimento a un sistema di deposito cauzionale per i contenitori di bevande monouso. 

Nel novembre 2021, 15 tra le maggiori associazioni italiane hanno fatto appello al Governo Draghi per l’introduzione del deposito cauzionale per i contenitori di bevande monouso, anche in relazione agli obiettivi europei richiesti nella direttiva sulla plastica monouso.

Ad oggi in Italia non c’è un decreto attuativo che sancisca l’obbligatorietà per il vuoto a rendere, mentre sono attive iniziative private, promosse dai singoli Comuni o dagli esercenti, come l’installazione di macchine eco-compattatrici o di reverse vending machine, per il recupero automatico dei vuoti.

Saremo felici di condividere con voi future novità e aggiornamenti su questo argomento.


Perché viene scelta la plastica per gli imballaggi?

Come abbiamo visto in diverse occasioni, la plastica viene utilizzata in moltissimi settori dell’industria, per realizzare oggetti e componenti, davvero molto vari e differenti tra loro.

Sicuramente uno dei suoi impieghi più diffusi è come materiale da imballaggio: la plastica viene utilizzata per creare le confezioni dei detersivi, delle bevande, dei prodotti alimentari, dei cosmetici, dei farmaci, che troviamo nei negozi.

Ma perché la plastica è usata così tanto negli imballaggi? E perché è preferita ad altri materiali?

Principalmente perché la plastica ha una serie di proprietà fisiche e chimiche, insieme a processi di lavorazione, che la rendono un materiale valido e conveniente per questo scopo. 

Vediamo insieme, più nel dettaglio, le caratteristiche a cui facciamo riferimento.

Iniziamo con lo spiegare, con parole semplici, cosa sia la plastica.

La plastica è composta da molecole di grandi dimensioni, chiamate polimeri. Questi polimeri si organizzano in lunghe catene che si aggrovigliano tra loro, conferendo al materiale un’elevata resistenza.

Una proprietà dei polimeri termoplastici, è quella di diventare viscosi se riscaldati, poter essere modellati con la forma desiderata e tornare rigidi, una volta raffreddati.

I polimeri della plastica non possono essere assorbiti dalla pelle, non hanno odore, né sapore.

Naturalmente esistono vari tipi di materie plastiche, con caratteristiche diverse, ma questi principi sono comuni a tutti i materiali usati per gli imballaggi e da essi derivano le qualità tanto apprezzate della plastica.

Possiamo dire che un grande vantaggio della plastica è di essere un materiale versatile, che si plasma facilmente sulle esigenze del prodotto che deve contenere e dell’azienda che lo deve commercializzare.

Una confezione può essere modellata secondo la forma più ergonomica e funzionale, così come essere colorata per risultare riconoscibile e accattivante.

Oltre a questo, la leggerezza è sicuramente una delle caratteristiche più rilevanti.

Le confezioni in plastica hanno un peso ridotto, minore rispetto a quello che avrebbero se fossero realizzate con altri materiali, e questo è un fattore di comodità per il consumatore, ma ha anche un’incidenza importante sui trasporti per far arrivare la merce a destinazione.

Un peso inferiore, in fase di trasporto, significa meno spese di carburante, e anche meno emissioni di CO2 nell’aria.

Per stoccare i prodotti, proteggerli dagli urti e dai danni, e permetterne la loro corretta conservazione, la plastica è un materiale particolarmente adatto perché è resistente

Molte volte non si pensa che un corretto packaging alimentare abbia l’importante funzione di non far deperire il prodotto e quindi di ridurre sensibilmente lo spreco alimentare.

Sempre riguardo al tema della conservazione di cibo e bevande, e di altri prodotti che entrano in contatto con il nostro organismo, come i cosmetici e i medicinali, la plastica garantisce livelli di sicurezza elevati, che rendono il suo impiego adatto per questi scopi.

La legislazione italiana, e in aggiunta misure specifiche della UE, disciplinano i materiali che possono entrare in contatto con gli alimenti, cosicché rispettino alti standard qualitativi, proprio per assicurare la salute di tutti noi.

Inoltre, la plastica è un materiale relativamente economico, che permette di non impattare in modo eccessivo sul costo dei prodotti nei confronti del consumatore finale.

La sua lavorazione richiede un dispendio di energia più contenuto rispetto alla produzione di altri materiali, con un risparmio conseguente anche in termini di CO2 rilasciata nell’aria.

Non per ultimo, la plastica da imballaggio è un rifiuto che va differenziato, e può trovare numerose nuove vite, come materiale riciclato o come combustibile, con importanti ricadute benefiche sulla sostenibilità ambientale.

Naturalmente, per godere appieno di queste proprietà, che rendono la plastica un prodotto così utile e prezioso, dobbiamo gestirla in modo consapevole, ridurre il suo utilizzo quando superfluo, continuare nella ricerca di materie prime sempre più sostenibili, e migliorare costantemente il suo processo di riciclo.

Assicuriamoci un futuro in cui la plastica e la salute del nostro pianeta non sono più in contrapposizione.


Da dove viene la Plastica che troviamo nei mari e sulle spiagge?

I rifiuti in plastica che affollano i nostri mari e deturpano le nostre spiagge, sono uno dei temi maggiormente sentiti da tutti noi.

Le notizie che arrivano dai media ci raccontano di isole galleggianti al largo degli oceani costituite da spazzatura, e di chili e chili di rifiuti rimossi durante attività di pulitura di spiagge e di rive di fiumi e laghi.

Le immagini di sacchetti di plastica galleggianti nel mare e di tartarughe e pesci intrappolati in reti e contenitori di vario genere, sono davanti ai nostri occhi.

I rifiuti arrivano a deturpare anche i luoghi più remoti, quelli considerati dei paradisi naturali, che dovrebbero essere incontaminati e unico appannaggio della fauna locale.

Questi rifiuti non dovrebbero trovarsi in acqua, né sulla spiaggia, tra gli scogli, tra le pinne degli animali marini, non è il loro luogo, e giustamente questo fatto ci indigna e ci preoccupa.

Perché una bottiglietta di plastica, dallo scaffale del supermercato arriva a galleggiare in mezzo all’oceano?

Proviamo a vederlo insieme.

Come mai i rifiuti di plastica finiscono in mare?

Il percorso logico di un imballaggio in plastica è lineare e semplice, dopo il suo utilizzo dovrebbe essere conferito nei rifiuti, differenziato e riciclato, così da trasformarsi nuovamente in una bottiglia o in altri oggetti di uso comune, o nel peggiore dei casi dovrebbe trovare il suo posto in una discarica, insieme agli altri rifiuti.

Non dovrebbe sicuramente trovarsi nell’ambiente a noi circostante.

Se lo troviamo lì è perché è stato abbandonato da qualcuno.

Per quanto sbagliato e difficile da accettare, molti dei rifiuti sono responsabilità delle persone, che se ne liberano in modo inappropriato.

Comportamenti individuali poco civili da parte di turisti e villeggianti, che lasciano sulle spiagge mozziconi di sigarette, bottiglie, contenitori e spazzatura di vario genere.

Perché? Probabilmente perché non sono consapevoli di quanto sia importante gestire meglio la plastica e di quanto le azioni dei singoli siano importanti per raggiungere lo scopo comune di avere un pianeta più sano.

C’è, inoltre, un risvolto psicologico interessante che fa notare lo scienziato Chris DeArmitt, nel suo libro Il paradosso della plastica, dove dice che la plastica è un bene poco costoso, e che c’è un’umana propensione ad abbandonare ciò che si ritiene di poco valore. Riporta infatti l’esempio singolare, quanto esplicativo, di come ogni anno vengano immesse sul mercato circa otto miliardi di nuove banconote di plastica, ma proprio perché il denaro per noi è un bene prezioso, non ne abbandoniamo nessuna nell’ambiente.

O ancora, un esempio più vicino alla tematica dei rifiuti, mostra come in Norvegia la raccolta delle bottiglie di PET ha un tasso di restituzione del 97%, perché a ogni bottiglia è associato un piccolo valore monetario che viene restituito al consumatore. 

Il comportamento del singolo, per quanto influisca e vada educato, non è il solo responsabile dell’inquinamento delle acque. 

Assistiamo purtroppo a violazioni su larga scala da parte di navi che scaricano in mare rifiuti, e pescherecci che abbandonano tonnellate di materiale per la pesca: reti e imballaggi per la conservazione del pesce.

Azioni che andrebbero fortemente contrastate e scoraggiate su scala internazionale, perché il mare è un bene comune.

Da quali paesi provengono i rifiuti che si trovano in acqua?

Dobbiamo ammettere che non tutti i paesi sono responsabili allo stesso modo dei rifiuti che finiscono nelle acque.

L’Europa e gli Stati Uniti, pur producendo molta plastica, sono i paesi che hanno, allo stesso tempo, una gestione migliore dei loro rifiuti.

Abbiamo leggi in merito che vengono rispettate e siamo riusciti a raggiungere un buon grado di consapevolezza civile.

Purtroppo in altre parti del mondo, la gestione dei rifiuti è peggiore, perché non ci sono regolamentazioni efficaci in questo senso, perché non hanno ancora avviato serie politiche di riciclo, perché non c’è coscienza tra la popolazione della problematica e dei mezzi per affrontarla. 

Diciamo questo non per scaricare le responsabilità verso altri paesi, anzi, al contrario, crediamo che conoscere più informazioni possibili sulla causa dei rifiuti in mare, possa aiutarci a correggere la situazione.

Possiamo evitare che gran parte dei rifiuti finiscano nelle nostre acque, lavorando su più aspetti e con la collaborazione di diversi attori:

  • Ridurre i nostri rifiuti, imparando a riutilizzare e riciclare gli imballaggi.
  • Realizzare prodotti progettati per essere riciclati al meglio.
  • Sensibilizzare sull’importanza di gestire la plastica nel modo più corretto possibile.
  • Investire nei processi di riciclo nei diversi paesi.

Insieme per ridurre l’impatto ambientale della plastica.


Come sarebbe la nostra vita senza plastica

Negli ultimi anni avremo sicuramente sentito menzionare i movimenti ‘Plastic Free’, o ci sarà capitato, quasi certamente, di aver parlato con qualcuno che ha auspicato per il bene del pianeta, di smettere di produrre plastica.

Molte persone ritengono infatti che sia la plastica la responsabile dell’inquinamento ambientale e dei mari, e che questo problema si risolva semplicemente non facendone più uso.

Questa posizione è comprensibile, soprattutto se è la soluzione più facilmente diffusa sulla rete e dai mezzi di informazione.

Noi crediamo però che la questione si presti a diversi approfondimenti, e vorremmo cercare di rispondere insieme a voi a due grandi domande:

Possiamo immaginare un mondo senza plastica?

È necessario eliminare la plastica per avere un mondo più sostenibile?

Molto spesso, quando pensiamo alla plastica, consideriamo principalmente la plastica monouso e la plastica da imballaggio, le bottigliette e le vaschette per alimenti e le confezioni dei detersivi, ma le materie plastiche sono un mondo molto più ampio e trovano impiego in moltissimi settori.

Per quanto la plastica per uso alimentare sia importante e ci aiuti a conservare correttamente i cibi e a ridurre enormemente lo spreco alimentare, pensiamo anche a tutti gli altri prodotti realizzati in plastica.

I tubi dell’acqua sono in plastica (n.b.: spesso sono realizzati in plastica riciclata, con un ridotto impatto ambientale), i rivestimenti dei cavi elettrici, moltissimi prodotti medicali –  come banalmente le siringhe -, la componentistica dei nostri computer, dei cellulari, delle automobili ha molte parti realizzate in plastica.

Alcuni tessuti ignifughi, antiproiettile, termici sono realizzati a partire da materiale plastico.

Molte macchine per la produzione industriale hanno componenti in plastica.

Questa veloce panoramica, ci fa capire che sarebbe impossibile rinunciare a tutto questo, e che la transizione verso l’impiego di nuovi materiali sarebbe lunga e onerosa.

Soprattutto perché in molti casi, a oggi, non esistono nuovi materiali che siano sostituti validi della plastica.

Né per funzionalità – la plastica è un prodotto che unisce economicità a un ampio ventaglio di caratteristiche specifiche per diversi bisogni – né per sostenibilità ambientale.

Come abbiamo infatti visto nell’articolo sull’Analisi del Ciclo di Vita (LINK), molti materiali che possono intuitivamente sembrare più ecologici, se analizzati nel loro intero processo di vita, quindi considerando le risorse necessarie per produrlo, trasportarlo, smaltirlo, etc…, hanno in realtà un impatto ambientale maggiore.

Pensiamo alla necessità di suolo coltivabile e di alberi per produrre il legno e i suoi derivati, al dispendio di energia e di CO2 per fabbricare e trasportare il vetro, all’utilizzo di acqua, fertilizzanti, e terreno per il cotone.

I rifiuti che troviamo dispersi nell’ambiente, sono frutto della plastica stessa o di una cattiva gestione che si fa di questo materiale?

Siamo convinti che ridurre la plastica sia uno degli aspetti da perseguire, molti packaging nuovi hanno alleggerito il peso degli imballaggi, o eliminato le parti superflue, risparmiando in questo modo tonnellate di materiale.

Ma siamo anche certi che la plastica sia una risorsa per il pianeta.

E va gestita per far sì che sia una risorsa.

Il riciclo della plastica ha numerosi benefici per noi e per l’ambiente.

Permette di ridurre i nostri rifiuti, di dare vita a nuovi oggetti di plastica senza dover generare materiale vergine, e di produrre energia.

Il riciclo della plastica consente di dare vita a un sistema circolare virtuoso, con ricadute importanti per la sostenibilità del pianeta.

Crediamo che più che eliminare la plastica, sia importante sensibilizzare i consumatori su quanto sia fondamentale il riciclo, ed evitare che questa venga abbandonata nell’ambiente e rischi, così sì, di inquinare i nostri mari.  

Naturalmente questa consapevolezza deve valicare i confini nazionali e arrivare anche in quei paesi dove, attualmente, non ci sono delle politiche di incentivo al riciclo.

Grazie alle sinergie globali, tra consumatori e imprese, potremo continuare a godere dei vantaggi dell’utilizzo della plastica nella nostra vita quotidiana, migliorando la salute del nostro pianeta, per noi e per le generazioni future.


Come si valuta l’impatto di un prodotto sul pianeta: con l’“Analisi del ciclo di vita”

Molto spesso accade che le nostre idee e le nostre convinzioni siano costruite sull’opinione comune, a sua volta condizionata dalle informazioni e dalla comunicazione a cui giornalmente siamo sottoposti.

È normale sia così, noi cittadini affidiamo la nostra conoscenza a organi di informazione che riteniamo validi e preparati e dai quali ci aspettiamo notizie corrette e verificate.

Accade però che, senza contare le fonti non autorevoli e le vere e proprie fake news che circolano, molte notizie siano riprese e diffuse più per scopi sensazionalistici, senza aver approfondito le fonti e la correttezza dei dati esposti.

Abbiamo affrontato in parte questo argomento nel nostro articolo La plastica e i suoi falsi mitidove abbiamo visto come molte delle opinioni sulla plastica siano errate e fondate su credenze non supportate dai fatti.

Questo non è solo un facile errore in cui possono cadere i consumatori, ma anche le aziende ne sono altrettanto vittime.

Siamo spettatori, negli ultimi anni, di scelte da parte di alcune compagnie di utilizzare materiali diversi dalla plastica per il loro packaging, promosse e comunicate come scelte ‘green’, ma siamo sicuri che siano veramente più sostenibili per l’ambiente?

Non sempre quello che pensiamo possa essere la risposta più naturale, è anche quella giusta.

Come possiamo quindi essere sicuri dell’efficacia di queste scelte?

Come sappiamo se i materiali pensati per sostituire la plastica siano davvero meno impattanti sul pianeta?

Come possiamo quindi essere sicuri dell’efficacia di queste scelte?

Come sappiamo se i materiali pensati per sostituire la plastica siano davvero meno impattanti sul pianeta?

La risposta è: affidarsi ai dati, e in questo senso ci viene in aiuto l’“Analisi del ciclo di vita” (LCA, in inglese LifeCycle Assessment).

Uno strumento che valuta l’effettiva eco sostenibilità di un prodotto, considerando tutte le diverse fasi di produzione: dalle materie prime necessarie, all’energia utilizzata, agli scarti, ai trasporti, allo smaltimento, eccetera. In modo da avere un quadro completo del suo impatto ambientale.

L’analisi del ciclo di vita è oggi un metodo standardizzato da norme ISO a livello internazionale, in modo da avere globalmente dei parametri di valutazione condivisi, e che possano guidarci al meglio nella scelta di beni e servizi in base alla loro sostenibilità.

Non sempre quello che pensiamo possa essere la risposta più naturale, è anche quella giusta.

Le fasi affrontate dall’analisi del ciclo di vita sono quattro:

  • definizione dell’obiettivo e del campo di applicazione
  • analisi di inventario
  • valutazione dell’impatto 
  • interpretazione

Per chi desidera approfondire, le fasi sono illustrate qui.

Se guardiamo l’utilità dell’analisi del ciclo di vita, vi sorprenderà scoprire che molte volte i suoi risultati sono opposti a quelle che sono le credenze più diffuse nell’opinione pubblica.

È emblematico un caso, esposto nel libro “Il paradosso della plastica”, scritto dallo scienziato Chris DeArmitt, che, trovandosi di fronte a una forte campagna denigratoria rispetto alle borse di plastica, ha deciso di approfondire la questione, e ha cercato le LCA disponibili fatte su questo prodotto.

Ha raccolto tutte le LCA realizzate, 7 studi indipendenti e realizzati in sette paesi differenti, e ha visto come ognuna di queste, affermasse che l’opzione più “green”, rimaneva la borsa di plastica. 

Sia la borsa standard di polietilene, sia la borsa di polipropilene, riutilizzabile.

Questo perché le borse di carta, compresa la carta riciclata, hanno un impiego di acqua ed energia molto elevato in fase di produzione, nonché di sostanze chimiche.

Anche le borse in cotone hanno gli stessi problemi delle borse in carta.

Inoltre, essendo entrambe più pesanti delle borse di plastica, generano maggiori emissioni di CO2 durante il trasporto e una maggiore quantità di rifiuti quando devono essere smaltite.

Ecco che quella che ci è stata proposta come una scelta ‘green’, nella realtà dei fatti, non lo è.

Ci stupisce vero?

Eppure i dati ci dicono questo.

Ragionare e prendere le nostre decisioni in base ai fatti è importante, perché ci aiuta a compiere davvero le azioni utili per il nostro pianeta.