I comportamenti virtuosi per gestire la plastica al meglio!
Sicuramente negli ultimi anni è cresciuta, per nostra fortuna, l’attenzione verso tematiche ambientali, che riguardano lo stato di salute del nostro pianeta, e affrontano temi fondamentali, come il cambiamento climatico e l’inquinamento.
La risonanza mediatica di questi argomenti ha reso noi consumatori più informati e sensibili, dandoci coscienza del fatto che per preservare la terra, per il nostro presente e per le generazioni future, è necessario agire adesso.
Abbassare le emissioni di CO2, ridurre i rifiuti, contenere le microplastiche, sono obiettivi che vanno affrontati a livello internazionale, coinvolgendo soprattutto quei paesi non ancora avviati al riciclo e a una gestione corretta degli scarti.
Sono sfide che vedono diversi attori coinvolti, dai governi, alle industrie, agli utilizzatori finali.
Per quanto riguarda i materiali plastici, le nostre normative nazionali, e quelle dell’Unione Europea, vanno sempre più nella direzione di regolamentare un consumo più consapevole e una corretta differenziazione della plastica da avviare al riciclo.
Allo stesso modo le aziende produttrici sono sempre più attente a progettare imballaggi più leggeri, prodotti con materiale riciclato, e quanto più possibile performanti in fase di riciclo.
Ora l’ultimo miglio spetta a noi consumatori, che con i nostri comportamenti virtuosi possiamo massimizzare gli sforzi di tutti e ridurre l’impatto ambientale della plastica.
La plastica è un materiale prezioso, impiegato in moltissimi settori e che ancora oggi è fondamentale per diverse produzioni, in campo alimentare, medicale, della componentistica per la mobilità e l’elettronica di consumo. Eliminarla è impensabile, perché non esiste, in molti casi, un materiale sostitutivo migliore, che abbia le stesse caratteristiche tecniche e che sia più vantaggioso dal punto di vista del profilo ambientale.
Ma non è l’eliminazione quello che l’ambiente ci chiede.
Sappiamo oramai che la plastica, se correttamente differenziata, può avere molte vite, riducendo così notevolmente la quantità di rifiuti, ma anche permettendo di risparmiare l’estrazione di materie prime, e l’energia e le emissioni di CO2 necessarie per la produzione di materiale vergine.
La plastica è una risorsa importante se inserita all’interno di un’economia circolare, ovvero un processo di produzione che si autoalimenta, riducendo gli sprechi e con grandi vantaggi per l’ambiente.
In questo percorso, noi consumatori abbiamo un ruolo fondamentale, proprio perché siamo l’anello che consente alla plastica di arrivare alla destinazione dove può essere riciclata.
In quest’ottica svolgere una buona differenziazione dei rifiuti è alla base del processo di riciclo.
Conoscere come funziona la raccolta differenziata nel nostro Comune, sapere dove vanno conferiti i diversi oggetti, non abbandonare i rifiuti nell’ambiente, sono doveri civili che ci coinvolgono, e che servono a garantirci salute e benessere.
Il riciclo delle materie plastiche è sicuramente importantissimo, ma non è l’unico comportamento virtuoso che noi consumatori possiamo adottare.
Con le nostre scelte d’acquisto possiamo privilegiare quelle aziende impegnate nell’utilizzo di plastica riciclata per i packaging dei loro prodotti, e che riducono il peso delle loro confezioni.
Possiamo scegliere le ricariche o i detersivi concentrati, perché quelli che possono sembrare pochi grammi di plastica in meno a imballaggio, su scala globale si traducono in tonnellate di rifiuti risparmiati.
Inoltre, i nostri comportamenti quotidiani, possono diventare delle buone abitudini con benefici importanti per il pianeta.
Possiamo imparare a riutilizzare i contenitori in plastica prima di destinarli alla spazzatura, in tanti modi.
I pack dei detersivi possono essere riempiti nuovamente con le ricariche di prodotto, ma non solo: bottiglie e contenitori vuoti possono trasformarsi in annaffiatoi, portapenne, vasi, decorazioni, e tanto altro, bastano un po’ di fantasia e manualità.
Ancora, una tendenza che ci arriva dai paesi del nord, ma che sta velocemente prendendo piede anche da noi, è quella di approcciare il mondo del ‘second hand’, soprattutto per gli oggetti in plastica non riciclabili.
Gesti semplici e piccole accortezze possono fare la differenza.
A volte pensiamo che alcune situazioni siano fuori dalla nostra portata e che le nostre scelte siano ininfluenti, invece dobbiamo comprendere che le nostre azioni non hanno un riscontro solo sulla nostra vita, ma insieme a quelle di tutti gli altri, hanno il potere di cambiare l’impatto della plastica sul pianeta.
Le nuove plastiche prodotte in ottica di riciclo
Potrebbe esserti capitato di leggere o sentire la definizione “Design for Recycling”, in discussioni relative al riciclo. In questo articolo cerchiamo di vedere insieme cosa si intende con questo termine, e perché è così importante.
Facciamo una premessa: quando parliamo di riciclo, intendiamo quel processo in grado di trasformare i prodotti usati, nel nostro caso i prodotti a base di materiale plastico, in materia prima riutilizzabile per produrre nuovi oggetti, tessuti, imballaggi, e molto altro. Abbiamo raccontato come avviene il riciclo in questo articolo qui.
Dobbiamo dire che, perché un imballaggio di plastica possa essere riciclato, deve risultare idoneo al riciclo.
Il PET, o le bottiglie di plastica si adattano molto bene al processo di riciclo, perché sono composte da un solo materiale plastico e perché hanno un colore che viene ben recepito dai sistemi automatici di selezione degli impianti di riciclaggio e vengono separati facilmente dai tappi, per esempio.
Ma non è sempre così semplice.
A volte, una confezione, per esigenze di ergonomicità, di marketing, di conservazione del prodotto contenuto, è realizzata da più parti plastiche di diversa composizione, o con combinazioni di materie plastiche differenti, o con colori particolari, che rendono davvero complesso, e a volte impossibile, un corretto riciclo.
Visto che il riciclo è uno degli aspetti principali, oggi, per garantire la sostenibilità della plastica, si è deciso di studiare imballaggi che possano garantire la possibilità di essere riciclati.
Ecco cosa si intende per Design for Recycling.
Design for Recycling è la garanzia della riciclabilità di un materiale, e quindi della sua sostenibilità.
Possiamo parlare anche di eco-design, il significato non cambia: progettare imballaggi che siano funzionali, comodi e accattivanti, ma anche riciclabili. Che possano assicurare un processo di riciclo facile ed economico, con quindi basso dispendio di tempo e di costi per lavorare i materiali, e naturalmente che garantiscano l’assenza di materiali pericolosi.
Favorire la riciclabilità è un fine a cui tendere per migliorare la salute del nostro pianeta, ma è anche un obiettivo imposto a livello comunitario: l’Unione Europea ha infatti stabilito che entro il 2030 tutti gli imballaggi dovranno obbligatoriamente essere riciclabili.
In questa direzione stanno andando gli sforzi delle principali aziende produttrici di imballaggi plastici.
Un esempio concreto di cosa si intende per Design for Recycling è il caso Henkel.
Dovete sapere che la plastica scura è particolarmente difficile da gestire in un processo di riciclo.
Per continuare a realizzare flaconi di detersivi per il bucato come Perlana Nero e il packaging di cosmetici come Gliss Supreme Repair, che noi tutti conosciamo e riconosciamo perché di colore nero, Henkel ha sviluppato una soluzione innovativa che permette di avere imballaggi in plastica nera completamente riciclabili.
Infatti, realizzate con un colore nero privo di carbonio, le confezioni non vengono scartate dai sistemi di riciclo delle plastiche, ma vengono normalmente processate e trasformate.
Non è un caso che Henkel abbia vinto nel 2021 il Design for Recycling Award per questa importante innovazione.
Per premiare infatti i prodotti realizzati al meglio in ottica di riciclo e sostenibilità, nel 2019 sono stati istituiti i Design for Recycling Awards, un riconoscimento lanciato dall’ISRI (Institute of Scrap Recycling Industries) che svolge anche la funzione di incentivare le aziende produttrici e utilizzatrici di packaging plastici, a progettare materiali sempre più sostenibili, con la finalità di ridurre il loro impatto sul pianeta.
Quando affermiamo che la plastica è cambiata, facciamo riferimento anche a questo tipo di ricerca e attenzione, che spesso sfugge alla conoscenza dei consumatori, perché è difficilmente riconoscibile o intuibile da una persona non addetta ai lavori, ma sono scelte rivoluzionarie, che permettono davvero di fare la differenza in tema di sostenibilità ambientale della plastica.
La plastica e i suoi falsi miti
Le materie plastiche sono cambiate molto in questi ultimi anni, e così è mutata la consapevolezza di aziende produttrici e dei consumatori, sul loro impatto ambientale.
Questo ha innescato dei nuovi processi che ci vedono tutti coinvolti in ottica di riduzione, riutilizzo e riciclo della plastica.
La plastica rimane un materiale chiave per molti ambiti, dove alternative non sarebbero altrettanto funzionali sotto diversi aspetti.
Abbiamo imparato che se viene impiegata in modo responsabile e se viene riciclata il più spesso possibile dopo l’uso, è un materiale sostenibile per il nostro pianeta.
Nonostante ciò, vediamo circolare ancora molti pregiudizi o mezze verità sulla plastica, che vorremmo analizzare insieme.
1) La plastica costituisce la parte più grande dei rifiuti da imballaggio.
La realtà è che: gli imballaggi di plastica costituiscono solo una piccola parte dei rifiuti da imballaggio.
› In tutta Europa, gli imballaggi di plastica sono responsabili solo del 19% circa di tutti i nostri rifiuti da imballaggio.
› Carta e cartone contribuiscono in misura decisamente superiore rispetto alle materie plastiche alla quantità totale di rifiuti da imballaggio, aumentata solo leggermente dal 2007.
2) Vetro, carta e metallo sono più ecologici della plastica.
La realtà è che: Il PET è un materiale da imballaggio sostenibile.
› Se si confrontano i bilanci ecologici di diversi materiali da imballaggio, la plastica risulta spesso migliore di vetro o metallo.
› Nella produzione delle bottiglie per bevande di PET (alla luce del minor fabbisogno energetico), viene emessa una minore quantità di CO2 rispetto a quanto avviene nella produzione delle bottiglie di vetro.
› La plastica è molto leggera e, rispetto ad altri materiali da imballaggio, causa l’emissione di una minore quantità di CO2 durante il trasporto.
› Un grande vantaggio del PET è che è riciclabile molto bene e con un basso consumo di risorse. Nel bilancio ecologico, le bottiglie con un’alta quota di materiale riciclato sono decisamente in vantaggio.
3) L’industria non fa nulla per ridurre il consumo di plastica.
La realtà è che: Grazie alle ottimizzazioni, nell’Europa Occidentale si risparmiano ogni anno quasi 6,2 milioni di tonnellate di plastica.
› Dal 1991, gli imballaggi di plastica sono diventati mediamente più leggeri del 25% ad esempio grazie alle caratteristiche migliorate dei materiali, ai progressi nella tecnica produttiva e al design. Nella sola Europa occidentale, questo produce un risparmio di quasi 6,2 milioni di tonnellate di plastica all’anno.
› Nonostante la riduzione di peso, tutti gli imballaggi di plastica soddisfano senza eccezioni tutti i requisiti funzionali, ad esempio in fatto di igiene o di sicurezza del trasporto.
Attualmente, questo non è possibile con nessun altro materiale di imballaggio.
4) Gli imballaggi di plastica ci impediscono di raggiungere gli obiettivi relativi alla co2.
La realtà è che: Gli imballaggi in plastica sono responsabili solo di una piccola parte dell’impronta di co2 di una persona.
› Nell’UE, ogni persona è responsabile di circa 8,4 tonnellate di CO2. Rispetto al traffico, all’energia e all’alimentazione, gli imballaggi sono responsabili solo di una quota minima – pari allo 0,6%!
› Un volo di andata e ritorno da Vienna a Maiorca causa il rilascio di una quantità di CO2 pari a quella rilasciata dall’uso degli imballaggi di plastica per 11 anni circa!
5) Il consumo di petrolio per gli imballaggi di plastica è elevatissimo.
La realtà è che: Solo l’1,5% del petrolio estratto nel mondo è utilizzato per la produzione di imballaggi di plastica.
› La produzione di materie plastiche consuma molte meno risorse fossili di quanto si creda.
› Inoltre, le materie plastiche usate – contrariamente ai combustibili «consumati» – possono essere rilavorate più volte, consentendo di risparmiare le risorse.
› Con le materie plastiche a base biologica, prodotte a partire da materie prime rinnovabili, esistono inoltre delle alternative adatte alle sfide future.
6) Gli imballaggi di plastica europei inquinano i mari.
La realtà è che: L’inquinamento degli oceani è un problema strutturale, non un problema legato alle materie plastiche.
› La plastica smaltita correttamente in Paesi con sistemi di smaltimento efficienti non finisce nel mare. L’80% dei rifiuti presenti nei mari del mondo proviene dalla terraferma, soprattutto da Paesi in via di sviluppo che non dispongono di un sistema di raccolta dei rifiuti capillare.
› Per questo motivo, ALPLA è impegnata attivamente in questi Paesi per:
- lo sviluppo della consapevolezza che la plastica non è un rifiuto, bensì una preziosa materia prima
- il supporto di iniziative contro l’inquinamento dei mari
- la creazione di infrastrutture per la raccolta, la differenziazione e il riciclaggio delle materie plastiche
7) Gli imballaggi di plastica finiscono comunque in discarica.
La realtà è che: Sempre meno plastica finisce in discarica.
› In tutta Europa sono raccolti sempre più imballaggi di plastica usati.
› Solo una piccola parte di essi finisce in discarica – e la tendenza è in costante calo. Allo stesso tempo, aumentano le quote di rifiuti di plastica riciclati e termo-valorizzati.
› Con la termovalorizzazione viene sfruttata l’energia contenuta nella materie plastiche. Per le materie plastiche non più riciclabili, la termovalorizzazione deve essere preferita al conferimento in discarica.
8) Gli imballaggi di plastica sono la causa della microplastica.
La realtà è che: La fonte principale è rappresentata dai tessuti sintetici e dall’attrito degli pneumatici automobilistici.
Fonti della microplastica primaria (Fonte: IUCN 2017):
› Gli imballaggi di plastica non contribuiscono all’apporto di microplastica primaria nei mari.
› La quota di microplastica secondaria è inversamente proporzionale alla quota di imballaggi di plastica smaltiti e riciclati correttamente. Ciò che viene reintrodotto nel ciclo dei materiali non può giungere nella natura e decomporsi formando la microplastica.
9) Gli imballaggi di plastica sono pericolosi per la salute.
La realtà è che: Gli imballaggi di plastica possono addirittura proteggere la salute.
› La plastica può essere addirittura benefica per la salute: l’acqua sporca, ad esempio, può essere disinfettata con i raggi UV se imbottigliata nelle bottiglie di PET trasparenti. Questa semplice soluzione può aiutare le persone nelle regioni in cui non è garantito l’accesso all’acqua potabile pulita.
› I plastificanti, come ad esempio il bisfenolo A (BPA), sono stati identificati come nocivi. Tali sostanze non sono utilizzate né nelle bottiglie per bevande di PET né nei tappi o negli imballaggi di plastica dei prodotti per il corpo o per la casa.
› L’acetaldeide è contenuto in quantità molto ridotte nelle bottiglie di PET. Questa sostanza naturale si trova anche negli alimenti ed è generata quale prodotto intermedio del metabolismo umano.
Fonti: Istituto federale tedesco per la valutazione del rischio: Domande e risposte selezionate sulle bottiglie di PET, 2015; AGPU 201, IK 2017, UBA 2013
Naturalmente la plastica, perché sia più sostenibile, non deve essere smaltita nell’ambiente, e deve essere inserita all’interno di un processo circolare di riciclo.
Così facendo la plastica diventa una risorsa, dalle numerose vite. E permette a noi di continuare a beneficiare delle sue funzionalità e caratteristiche, applicate ai più vasti settori, difficilmente sostituibili con altri materiali.
Cambia idea sulla plastica, perché lei è cambiata.
La Storia della Plastica: Oggi la Plastica è Cambiata
Nello scorso articolo abbiamo avuto modo di osservare come, durante gli anni ’60, la plastica sia entrata prepotentemente nei consumi di massa delle persone di tutto il mondo, rivoluzionando le abitudini e l’aspetto delle nostre case.
Negli anni successivi, il settore di maggiore applicazione delle materie plastiche si è diretto verso ambiti più tecnologici, dove la plastica è impiegata per la realizzazione di componenti sofisticati, molti dei quali possibili solo grazie al suo impiego.
Vengono, infatti, scoperti i cosiddetti ‘Tecnopolimeri’.
I tecnopolimeri sono materie plastiche dalle caratteristiche fisiche e meccaniche (rigidità, duttilità, lavorabilità, resistenza a temperature elevate, a carichi e all’invecchiamento) molto simili a quelle dei metalli, a tal punto da vederli impiegati proprio in sostituzione di quest’ultimi, in molti campi.
Inizia quindi una nuova rivoluzione, forse meno visibile agli occhi delle persone comuni, ma che ci ha permesso di raggiungere un livello di innovazione industriale senza precedenti nel 900.
A oggi conosciamo e utilizziamo diversi tecnopolimeri:
Il polimetilpentene (o TPX): utilizzato soprattutto per la produzione di apparecchiature mediche e di articoli per i laboratori clinici, poiché è resistente alle temperature di sterilizzazione e perfettamente trasparente;
Le poliammidi: resine termoindurenti ad alte prestazioni, con un’elevata resistenza alle temperature elevate, anche per tempi molto lunghi, e all’usura. Per questo vengono utilizzate nella realizzazione di componenti per motori automobilistici o per i forni a microonde;
Il poliossimetilene o resina acetalica: molto durevole e resistente all’umidità, è utilizzato come materiale isolante e in vari campi industriali, tra cui quello alimentare;
Il polifenilene ossido: materiale che offre resistenza di alto livello al calore e agli agenti chimici è usato, ad esempio, per costruire gli chassis dei computer o i pannelli solari;
Gli ionomeri: usati per la copertura di palline da golf, membrane semipermeabili , e nastri adesivi;
I polisolfoni: materiale termoplastico ad elevata robustezza. Impiegato come dielettrico nei condensatori, e per la produzione di membrane artificiali. Poiché atossico è utilizzato anche nella produzione di biberon e contenitori per alimenti;
Il polifenilene solfuro (o PPS): per la sua elevata resistenza a vapore, agenti chimici, temperature elevate è utilizzato per la realizzazione di componenti per l’industria automobilistica, parti elettriche ed elettroniche, componenti di elettrodomestici;
Il polibutilentereftalato: resina termoindurente utilizzata per produrre parti elettroniche, parti elettriche e ricambi auto. Gli accessori del televisore e i coperchi del motore sono esempi degli usi del composto PBT. Se rinforzato, può essere utilizzato in interruttori, prese, bobine e maniglie;
Il policarbonato: ha moltissimi impieghi, fra cui per la produzione dei caschi spaziali degli astronauti, degli scudi antiproiettile e di materiali anti-infortunistici. È usato anche per fabbricare le lenti per occhiali e macchine fotografiche.
La plastica è stata sicuramente una delle scoperte più importanti del secolo scorso, e ha contribuito in maniera decisiva alla crescita sociale ed economica degli ultimi decenni.
Le sue caratteristiche di resistenza, flessibilità, sicurezza, praticità sono state qualità chiave per lo sviluppo di processi industriali e di nuove tecnologie, e per l’ottimizzazione di settori importanti come lo stoccaggio e il trasporto di prodotti e merci.
Naturalmente negli anni si è sviluppata una diversa consapevolezza rispetto all’impatto ambientale della plastica, mai come oggi la nostra attenzione è rivolta a rendere la plastica una risorsa, che ci permetta di continuare a godere dei suoi vantaggi nella nostra vita quotidiana, ma con una maggiore attenzione al benessere del nostro pianeta.
In questa direzione, negli ultimi anni, si sono rivolti gli sforzi degli operatori del settore della plastica.
Le industrie produttrici di materie plastiche, così come le aziende che utilizzano la plastica per la loro produzione, o per il packaging dei loro prodotti, e la grande distribuzione sono attenti a mettere in campo soluzioni con un minor impatto ambientale e comportamenti virtuosi che ci permettano di inserire la plastica all’interno di una reale economica circolare.
Nello specifico, la ricerca messa in campo dalle aziende produttrici di materiali, ?macchine, imballaggi e manufatti plastici è continua e diretta su molteplici fronti:
– Investire direttamente sulla filiera del riciclo, avviando impianti di riciclo e producendo plastica riciclata.
– Creare packaging che si adattino meglio al processo di riciclo.
I prodotti composti da diverse tipologie di pastiche, colorati o scuri, o che impiegano determinati solventi sono più complicati da riciclare. La ricerca permette di superare questi ostacoli e di produrre imballaggi che possano essere ottimamente riciclati.– Evitare la plastica non necessaria e ridurre il peso degli imballi, permettendo un risparmio globale di tonnellate di materiale.
– Ricercare polimeri innovativi a basso impatto ambientale, in modo da sviluppare alternative più ‘green’ possibili.
Di pari passo è cambiata anche la nostra conoscenza di consumatori, su come la plastica vada utilizzata e gestita in termini di riduzione, riuso e riciclo. Le stesse normative nazionali, e comunitarie, ci spingono verso un consumo più consapevole e una corretta differenziazione della plastica da avviare al riciclo.
In questo cruciale momento storico, siamo all’inizio di un percorso virtuoso che porterà la plastica a far parte di un processo di economia circolare che ne limiti l’impatto ambientale e che la renda una risorsa preziosa per tutti noi!
Oggi la plastica è cambiata.
FONTI DATI
La storia della plastica: gli anni del Boom Economico
Nella precedente ‘puntata’ sulla storia della plastica abbiamo visto come tra gli anni ’20 e gli anni ‘40 siano state fatte importanti scoperte nel campo delle materie plastiche e come però queste siano state totalmente assorbite dall’industria bellica, per esigenze di guerra.
Possiamo dire che il secondo dopoguerra è l’epoca in cui la plastica vede la sua maggiore esplosione, perché arriva nelle case delle persone ed entra prepotentemente a far parte degli oggetti di consumo di massa.
Anni ’50 – avviene la prima importante rivoluzione: la Formica prende il sopravvento.
La formica, che prende il nome dall’azienda Formica Corporation, fondata nel 1913 da Herbert A. e Daniel J. O’Connor, è un tipo di laminato plastico, ottenuto per policondensazione della formaldeide con la melammina.
Il risultato è un prodotto resistente all’acqua, agli agenti chimici, all’abrasione, al calore, e che può essere finito esternamente con colori e fantasie decorative.
Questo alto grado di resistenza ad agenti esterni, e la possibilità di avere un aspetto colorato e gradevole, rendono ben presto la formica il materiale preferito per la fabbricazione di arredi: tavoli, sedie, mobili per la cucina; ma anche piatti e posate.
Non per ultimo, è anche un materiale poco costoso, e così entra prepotentemente nelle case delle persone di tutto il mondo.
Nel 1953 – l’ingegnere chimico italiano Giulio Natta applica processi di polimerizzazione catalitica al polipropilene e ottiene il Polipropilene Isotattico.
Questa scoperta gli vale il premio Nobel nel 1963, assieme al tedesco Karl Ziegler, che l’anno precedente aveva isolato il Polietilene.
Per il mondo rappresenta una vera e propria rivoluzione nelle abitudini di consumo.
Il Polipropilene isotattico è meglio conosciuto con il nome ‘commerciale’ di “Moplen”, con il quale viene prodotto industrialmente, a livello mondiale, a partire dal 1957 dall’azienda Montecatini (successivamente chiamata Montedison), che ne deteneva appunto il brevetto.
Sia per le sue caratteristiche di resistenza meccanica, sia per l’economicità di lavorazione, il Moplen diventa una delle materie plastiche più utilizzate e diffuse ed entra in tutte le case sotto forma di oggetti d’uso comune, stoviglie, giocattoli e arredi.
Alcuni ancora ricorderanno che il Moplen arriva anche in televisione, dove è pubblicizzato durante il Carosello, da Gino Bramieri, con i tormentoni «E mo’, e mo’, e mo’… Moplen!» e «Ma Signora badi ben, che sia fatto di Moplen!».
Negli anni a seguire questi due materiali diventeranno il simbolo del boom economico e del benessere.
La plastica sostituirà le vecchie lavorazioni in legno e in metallo, soppianterà materiali più pregiati, come il marmo, e materie prime più rare e di origine animale, come l’avorio e la tartaruga, portando nella vita delle persone, una ventata di novità accessibile a tutti.
Non c’è da stupirsi se in quegli anni queste scoperte siano state accolte con entusiasmo e se nell’immaginario comune siano state viste come esemplificazione del concetto di ‘moderno’.
Nuovi colori, nuove funzioni in grado di semplificare la vita, e costi contenuti rivoluzioneranno per sempre usi e abitudini.
Non solo le masse subiscono la fascinazione delle materie plastiche, ma anche il design, l’arte e la moda cavalcano quest’ondata di freschezza e utilizzano questi materiali per le loro creazioni.
Basti pensare che nel 1949 viene fondata l’azienda Kartell, da Giulio Castelli, che lavora principalmente la plastica per creare quel design Made in Italy riconosciuto e celebrato in tutto il mondo.
Pochi anni dopo nascono anche le aziende Danese e Artemide, con cui collaborano designer come Enzo Mari e Bruno Munari.
Non solo le masse subiscono la fascinazione delle materie plastiche, ma anche il design, l’arte e la moda cavalcano quest’ondata di freschezza e utilizzano questi materiali per le loro creazioni.
Basti pensare che nel 1949 viene fondata l’azienda Kartell, da Giulio Castelli, che lavora principalmente la plastica per creare quel design Made in Italy riconosciuto e celebrato in tutto il mondo.
Pochi anni dopo nascono anche le aziende Danese e Artemide, con cui collaborano designer come Enzo Mari e Bruno Munari.
Il risultato sono oggetti creativi e funzionali, sempre attuali, che sono ancora oggi ospitati e studiati in musei e scuole di tutto il mondo.
Oggi il nostro approccio alla plastica è sicuramente più consapevole, e le materie plastiche stesse sono cambiate, per diventare sempre meno impattanti sul pianeta e rispondere sempre di più alle necessità di riciclo. Ma tutto questo sarà materia della… prossima puntata!
Il riciclo della plastica quanta CO2 ci fa risparmiare?
I benefici ambientali, diretti e indiretti che derivano dal recupero della plastica sono numerosi.
Vogliamo oggi concentrarci solo su un aspetto, e osservare, nello specifico, come la plastica impatta sul clima, se il riciclo della plastica può contribuire al miglioramento delle condizioni climatiche, e in che modo.
Spesso si pensa che eliminare gli imballaggi in plastica possa aiutare a proteggere il clima, vediamo insieme se è corretto o se è una credenza erronea.
Iniziamo con il dire che gli imballaggi in plastica sono responsabili solo di una piccola parte dell’impronta di CO2 di una persona.
Nell’UE, ogni persona è responsabile di circa 8,4 tonnellate di CO2. Rispetto al traffico, all’energia e all’alimentazione, gli imballaggi sono responsabili solo di una quota minima – pari allo 0,6%.
Un volo di andata e ritorno da Vienna a Maiorca causa il rilascio di una quantità di CO2 pari a quella rilasciata dall’uso degli imballaggi di plastica per 11 anni circa!
Fonti: Agenzia europea dell’ambiente, 2017; CO2 equivalente, calcolatore myclimate, 2.900 km in classe Economy, andata e ritorno, 1 persona
Gli imballaggi di plastica, inoltre, hanno nella maggior parte dei casi un bilancio di CO2 migliore rispetto alle alternative in vetro o metallo.
Grazie al peso ridotto, la plastica causa l’emissione di meno CO2 nell’intero ciclo di vita rispetto ad altri materiali da imballaggio:
– Meno CO2 rispetto agli altri materiali di imballaggio nel trasporto
– Meno CO2 rispetto agli altri materiali di imballaggio nella produzione. Ad esempio, una bottiglia di aranciata PET da 0,5 litri produce ad esempio circa 80 g di CO2 nella produzione, mentre una bottiglia di aranciata di vetro da 0,5 litri produce circa 274 g di CO2.
Le bottiglie di vetro a perdere producono addirittura 10 volte più gas serra, rispetto alle bottiglie in PET riutilizzabili. Questo perché per produrre il vetro è necessario un grande dispendio di energia, visto che il vetro fonde a una temperatura superiore al 1000°C. Ed è necessario anche il 40% di carburante in più per trasportare bottiglie in vetro, anziché in plastica.
Se poi proseguiamo nell’analisi, e ragioniamo in termini di plastica riciclata, che è l’obiettivo verso cui tutti tendiamo, i dati sono ancora migliori.
Teniamo in considerazione che durante la produzione del PET riciclato, per intenderci quello delle bottiglie per le bevande, viene generato solo un decimo delle emissioni di gas serra rispetto a quanto accade con il materiale vergine.
Il riciclo della plastica ci permette di risparmiare 1,535 kg di CO2 per kg di prodotto, contribuendo così a contrastare l’aumento delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera.
Il riciclaggio ha quindi un enorme potenziale e può contribuire notevolmente al raggiungimento degli obiettivi climatici.
Parlando di numeri concreti, secondo i dati Corepla del 2020, il riciclo della plastica in Italia, ci ha permesso di evitare 906.000 tonnellate di emissioni di Co2.
A cosa corrispondono questi numeri? Ad esempio alle emissioni di 43.000 voli Milano-Abu Dhabi!
È semplice arrivare alla conclusione che avviare la plastica al corretto riciclo, e impiegare la plastica riciclata negli imballaggi, ha delle ricadute positive dirette sull’ambiente in termini di clima.
Questo è uno degli aspetti per cui molte aziende utilizzano PET riciclato nel loro packaging, aumentando di anno in anno la sua quota.
Soprattutto nelle aziende dove gli imballaggi in PET pesano molto, come per esempio le aziende di beverage, aumentare la quota di plastica riciclata incide proporzionalmente su una riduzione delle loro emissioni di carbonio.
In questa direzione stanno andando aziende top player, come Henkel, Coca Cola, San Pellegrino, solo per citarne alcune.
La plastica è cambiata, le aziende che la utilizzano sono cambiate, per cambiare il suo impatto sul nostro pianeta.
La Plastic Tax: cos’è e perché se ne parla
Negli ultimi tempi abbiamo sentito molto parlare di Plastic Tax, ma poiché molti discorsi si sono concentrati esclusivamente sullo slittamento della sua attuazione, vorremmo fare più chiarezza sulla natura del provvedimento.
Cos’è e come funziona la Plastic Tax
La Plastic Tax è una tassa applicata ai prodotti in plastica monouso, con la finalità di disincentivarne l’utilizzo.
Questa tassa è di 0,45 centesimi di euro per ogni chilo di prodotti di plastica monouso, ed è indirizzata ai cosiddetti MACSI, ovvero prodotti di plastica con singolo impiego, che non sono ideati, progettati o immessi sul mercato per compiere più trasferimenti durante il loro ciclo di vita, o per essere riutilizzati per lo stesso scopo per il quale sono stati ideati.
Sono esclusi dalla Plastic Tax i dispositivi medici predefiniti e i MACSI adibiti a contenere e proteggere medicinali.
L’imposta non è applicata alla plastica compostabile, né alla plastica riciclata. Però si applica a prodotti riciclabili, a prescindere dalla loro efficienza durante il processo di riciclo.
I soggetti che sono imputati a pagare questa tassa sono: l’azienda produttrice e/o l’importatore del prodotto, infatti l’obbligazione tributaria nasce al momento della produzione, dell’importazione definitiva nel territorio nazionale.
Indirettamente graverà anche sulle tasche dei compratori, perché parte di questo costo sarà, ovviamente, ricaricato sul prezzo del prodotto, e a carico dell’acquirente finale.
La Plastic Tax è una direttiva europea (Direttiva n. 2019/904/UE), che si inserisce all’interno di una serie di provvedimenti comunitari destinati a ridurre l’impatto sull’ambiente di determinati prodotti in plastica, soprattutto quelli a cui è imputato il maggior rischio di inquinamento, ogniqualvolta siano però disponibili delle alternative.
Alla luce della finalità con cui è stata pensata la Plastic Tax, che è condivisa e voluta da tutti, perché allora non è stata subito attuata dal Governo italiano?
Come saprete il documento programmatico di bilancio per il 2022 approvato dal Consiglio dei Ministri ha recentemente rinviato la Plastic Tax al 2023.
Questa misura, infatti, è ancora molto discussa da parte dei produttori di materiale plastico e dagli utilizzatori di questi imballaggi.
La filiera industriale italiana della plastica è tra le più importanti in assoluto in termini sia economici che tecnologici, una vera e propria eccellenza che occupa 162mila addetti in 10mila imprese attive (il 22% delle imprese europee) per un totale 32 miliardi di fatturato annuo (fonte: Federazione Gomma Plastica).
Ma sembra non essere solo una questione di pressione fiscale, sono in molti a pensare che siano necessari interventi più strutturali che coinvolgano tutta la filiera della produzione e del riciclo, e che la soluzione non risieda unicamente in una tassa al consumo.
Tiziano Andreini, Managing Director di Alpla Group, racconta quali potrebbero essere i risvolti più problematici della Plastic Tax: “Se dovesse entrare effettivamente in vigore la Plastic Tax italiana penalizzerebbe un’intera filiera produttiva con impatti a monte e a valle. Impatti negoziali, aumenti dei listini, costi interni alle aziende, adeguamenti dei sistemi gestionali, adeguamenti dei sistemi di fatturazione, maggior impegno di capitale e rischio di credito.”
Gli abbiamo posto alcune domande, per conoscere meglio il punto di vista di chi produce la plastica e di chi punta soprattutto sul suo riciclo.
Quali sono a suo avviso gli aspetti più controversi di questa tassa?
“In Italia è già presente una tassa sugli imballaggi plastici, il contributo ambientale Conai.
La Plastic Tax rischia di diventare un ulteriore balzello, che andrà a colpire in maniera indiretta i consumi, in quanto i maggior costi delle aziende produttrici a cascata si riverserebbero su tutta la filiera e quindi sul consumatore finale.
La nuova tassa viene veicolata come una tassa ambientalmente orientata, ma il rischio è che il gettito non sia finalizzato a scopi ambientali.”
La plastica rappresenta indubbiamente un problema ambientale: quali le soluzioni?
“ Il nostro obiettivo è quello di fare in modo che entro il 2025 tutti gli imballaggi da noi prodotti siano riciclabili al 100%.
Nello sviluppo di nuovi imballaggi vengono seguiti i principi del “design 4 recycling”
Significa che prestiamo attenzione fin dall’inizio del ciclo di vita e cioè la progettazione di un manufatto, al fatto che gli imballaggi in plastica siano adatti al riciclo
ALPLA dispone di oltre 25 anni di esperienza nel settore del riciclo.
Con i nostri impianti di riciclaggio, contribuiamo a fare in modo che le plastiche rimangano nel ciclo dei materiali riutilizzabili.
Le tecnologie moderne e il design raffinato consentono di ridurre al minimo il peso degli imballaggi.
In questo modo, viene ridotto il consumo di materiale e i costi – e risparmiamo le risorse fossili.
Per questo obiettivo, ALPLA lavora in stretta collaborazione con i nostri fornitori, gli istituti di ricerca e, naturalmente, i nostri clienti.
La scelta del materiale ha una grande influenza sulla sostenibilità degli imballaggi di plastica.
ALPLA non utilizza materiali e sostanze dannose per l’ambiente, come PVC, plastificanti o metalli pesanti.”
Che la plastica rappresenti un problema ambientale è innegabile, ma la riduzione del suo impatto passa innanzitutto per una maggiore sostenibilità della produzione e soprattutto da più alti tassi di riciclo e da un migliore processo di riciclo.
FONTI DATI
Il riciclo della Plastica in Italia: dati 2020, tendenze e prospettive.
Dopo aver visto insieme come avviene il processo di riciclo della plastica, i suoi benefici in termini ambientali, e aver insistito sull’importanza di fare una corretta raccolta differenziata tra le mura domestiche, vediamo come ci comportiamo, nei fatti, in merito al riciclo in Italia.
La buona notizia è che noi italiani, siamo, a discapito dei luoghi comuni, virtuosi nella raccolta differenziata della plastica.
Siamo addirittura sul podio tra i paesi europei, secondi solo alla Germania.
Nel 2020 in Italia è stato recuperato il 95% della plastica sul mercato.
In cifre, sono state immesse al consumo 1.913.914 tonnellate di imballaggi in plastica (il 5% in meno rispetto al 2019) e ne sono state recuperate 1.820.270 tonnellate (il 4% in più rispetto al 2019).
In media ogni italiano ha differenziato 23,7kg di plastica.
Se analizziamo questo dato guardando alle singole regioni, troviamo un valore tutto sommato omogeneo: le differenze tra le regioni stanno andando man mano assottigliandosi, mostrando una maggiore propensione a comportamenti legati al riciclo, in maniera uniforme in tutta la penisola.
Delle 1.820.270 tonnellate di plastica recuperata, il 47% è stato avviato a riciclo, mentre il 48% è stato avviato a recupero energetico.
La percentuale di plastica riciclata rappresenta un valore ottimo, se si pensa che l’obiettivo richiesto dall’Unione Europea è di raggiungere il 50% entro il 2025, quindi coprire i 2 punti percentuali mancanti nei prossimi 5 anni sembra un traguardo verosimile da ottenere.
Soprattutto considerando il fatto che la quota di plastica riciclata è cresciuta di anno in anno, con tendenza positiva, che significa che sta aumentando la consapevolezza dell’importanza di differenziare i rifiuti.
Il riciclo avviene presso impianti localizzati per la maggior parte in Italia (il 74% degli impianti utilizzati è nel nostro Paese).
Gli imballaggi per i quali non esiste possibilità di riciclo vengono conferiti al recupero energetico presso impianti di termovalorizzazione efficienti, oppure vengono utilizzati come combustibile alternativo ai combustibili fossili, specialmente dai cementifici.
Abbiamo raccontato diverse volte i numerosi benefici ambientali, diretti e indiretti che derivano dal recupero della plastica: materia prima risparmiata e conseguente risparmio in energia e in emissioni di Co2, spazio prezioso non occupato nelle discariche, e soprattutto l’inserimento della plastica all’interno di un processo virtuoso di economia circolare.
Per renderci conto meglio dell’entità dei plus elencati, vediamo in valore cosa abbiamo guadagnato nel 2020 grazie al recupero della plastica:
- 458.000 tonnellate di materia prima risparmiata per produrre nuova plastica.
- 34 milioni di metri cubi di discarica evitata, grazie a 1.820.270 tonnellate di imballaggi plastici che hanno trovato nuova vita.
- 472 GWh di energia primaria risparmiata, grazie al fatto che il processo di riciclo della plastica richiede meno energia di quello per la produzione di plastica vergine.
- 000 tonnellate di emissioni di Co2 evitate perché la plastica riciclata ha una minore impronta di carbonio rispetto allo stesso quantitativo di materiale vergine.
- 183 gwh di energia termica + 91 GWh energia elettrica prodotta da quei rifiuti che, in quanto non riciclabili, sono destinati al recupero energetico.
Alla luce di questo andamento positivo, e delle recenti disposizioni italiane ed europee in merito alla riduzione dell’impiego della plastica e al suo riciclo, per i prossimi anni fino al 2025, Corepla prevede una riduzione di plastica immessa sul mercato, e una crescita della plastica destinata al riciclo.
A sostegno di questa visione, le imprese produttrici e le aziende che impiegano gli imballaggi in plastica stanno dando segnali concreti di perseguire questa direzione. Stanno ripensando i contenitori, per ridurne notevolmente il loro impatto ambientale.
La strada intrapresa è progettare packaging in plastica in ottica di riciclo, che quindi rendano meglio all’interno del processo di riciclo, perché fatto con materiali più facili da riciclare.
Allo stesso tempo produrre packaging funzionali creati da materiale riciclato, per rendere sempre più reale e di facile attuazione l’economia circolare.
Questa crescente attenzione al riciclo, sia tra i consumatori, che tra le aziende, mostra quanto la plastica sia cambiata e stia cambiando.
Cos’è l’R-PET
Nell’ambito della plastica e soprattutto delle nuove soluzioni che si stanno attuando per andare verso un mondo maggiormente sostenibile, sentiamo sempre più spesso parlare di r-PET.
Se non siete certi di sapere esattamente di cosa si tratta, vediamolo insieme.
L’r-PET (recycled PET), è semplicemente il PET riciclato, ovvero un nuovo polimero ottenuto da quel processo di recupero che abbiamo visto qui.
Ricapitolando, la plastica che è stata differenziata nei cassonetti dedicati è finita nell’impianto di trasformazione, dove è stata smistata e frantumata, e, dopo il processo di lavorazione, è diventata pellet plastico (piccoli fiocchi di plastica).
Questo materiale riciclato viene utilizzato per la produzione di nuovi oggetti, di vario tipo: oggetti d’arredo, tubi, componenti per veicoli, sacchetti, flaconi, e altro ancora.
Il pellet di plastica PET, cioè che deriva esclusivamente dal riciclo di prodotti in PET, invece, ha nuova vita come filato per l’abbigliamento e come imballaggi, soprattutto per il settore alimentare (le note bottiglie per acqua e bibite), che saranno quindi prodotte in r-PET.
Un impulso molto importante a questo tipo di produzione, è arrivato in Italia all’inizio di quest’anno. Infatti, da gennaio 2021, grazie alla Legge di Bilancio 2021 approvata il 30 dicembre 2020, è possibile realizzare bottiglie in Pet 100% riciclato. Fino a quel momento è stato necessario per legge utilizzare almeno il 50% di plastica vergine.
Qual è il vantaggio di bottiglie e vaschette 100% r-PET?
Innanzitutto parliamo di un grande beneficio ambientale.
Poter usare una materia riciclata, evita di dover utilizzare materie prime vergini, che vanno estratte e trasportate, con quindi dispendio di energia per farlo e maggiori emissioni di Co2 nell’aria. Riciclare 1kg di R-PET equivale a ridurre le emissioni di CO2 di 3kg (dati del The New Plastics Economy Global Commitment 2019 Progress Report).
Le materie prime da cui deriva il PET, che ricordiamo sono petrolio e gas naturale, sono risorse naturali non rinnovabili, destinate quindi a esaurirsi con il nostro consumo, è sempre un vantaggio risparmiarle quando possibile.
Riutilizzare una materia prima è un beneficio considerevole anche in termini di rifiuti, perché non immettiamo sul mercato nuovi prodotti, ma ricicliamo quelli esistenti, non andando a creare nuova spazzatura che ha bisogno di spazio e di essere smaltita, e ‘salvando’ la plastica dalle discariche.
Questo discorso diventa ancora più virtuoso se consideriamo che il PET può essere riciclato e reimpiegato più volte, perché non perde le sue proprietà durante il processo di trasformazione.
I vantaggi elencati quindi si ripetono e si sommano, crescendo proporzionalmente a ogni riciclo, e il PET si trasforma da rifiuto a risorsa.
È evidente quanto la produzione e l’uso r-PET siano un passo avanti nel percorso verso la realizzazione di un’economia circolare per l’ambiente.
È interessante sottolineare, che, anche da un punto di vista di costi di produzione, l’r-PET è più economica rispetto al PET di nuova produzione, che è legato ai prezzi del petrolio al barile, soprattutto se la convenienza economica è calcolata nel lungo termine.
Appurati i vantaggi ambientali, una domanda che nasce spontanea è se questo nuovo materiale riciclato, sia sicuro per finire a contatto con le bevande e gli alimenti che consumiamo.
Le bottiglie in 100% r-PET sono sicure?
Il PET è il materiale preferito per gli imballaggi alimentari, proprio per le sue caratteristiche di sicurezza e non contaminazione con le sostanze contenute al suo interno, ma la questione se mantiene queste caratteristiche anche durante e dopo il processo di riciclo è stata al centro di importanti e nuove valutazioni da parte dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e della Comunità Europea.
Proprio per garantire questi alti standard di sicurezza, la normativa europea sull’impiego di plastica riciclata in confezioni a contatto con alimenti (Regolamento CE 282/2008) prevede che possa provenire solo da processi di riciclo certificati.
Le condizioni per l’approvazione di un processo di riciclaggio certificato sono molto severe, per tutelare la salute del consumatore, al primo posto. (https://ec.europa.eu/food/safety/chemical-safety/food-contact-materials/legislation_en#recycled_plastic_material)
La plastica è cambiata, e con una corretta gestione e differenziazione dei rifiuti, è una risorsa per il pianeta.
La storia della plastica: Gli anni '20, '30 e '40
Durante gli anni ’20 la plastica è un mondo ancora poco conosciuto, per questo scienziati e inventori continuano a esplorarlo con molto interesse.
1920 – Iniziano gli studi del chimico tedesco Hermann Staudinger, che fu il primo a riconoscere e studiare i polimeri, ossia le macromolecole che sono composte da micromolecole semplici, a comprendere le strutture dei polimeri e a indagare le loro possibilità di sintesi.
I suoi studi sono oggi le basi dell’industria plastica e di quella della gomma, e per questo nel 1953 gli fu assegnato il Premio Nobel per la chimica.
Negli anni ’30, anche grazie a Staudinger, la produzione della plastica si sviluppa in una vera e propria industria moderna.
Le nuove basi teoriche permettono il fiorire di scoperte in tutte le parti del mondo, e le nuove macchine a servizio dell’industria plastica, consentono la produzione in serie degli oggetti.
Nascono industrie chimiche dedicate alla ricerca e alla commercializzazione di materiali plastici.
1927 – L’azienda statunitense Union Carbide produce i primi co-polimeri a base di cloruro di polivinile e acetato di polivinile, il PVC.
L’azienda chimica americana DuPont investe molte energie nel settore delle materie plastiche, molte delle scoperte di quegli anni sono riconducibili a scienziati che lavorano per la DuPont, ed è ancora oggi titolare di numerosissimi marchi e brevetti di processi chimici e di materiali.
Commercializza l’acetato di cellulosa, un prodotto semisintetico simile alla celluloide ma senza essere infiammabile, che verrà usato per le pellicole cinematografiche.
Commercializza il polistirene, una plastica che poteva gonfiarsi con l’aria per diventare un polimero schiumoso, più noto a noi come polistirolo.
1935 – Commercializza il Nylon, sintetizzato nei laboratori DuPont da Wallace Carothers, un materiale che finalmente riusciva a riprodurre in maniera sintetica la seta, e che trova larghissimo impiego nella produzione di calze da donna. Si dice che la campagna pubblicitaria lo descrivesse come “lucente come la seta” e “forte come l’acciaio”, e che le donne comprarono tutte le scorte appena messe sul mercato.
1938 – Roy Plunkett scopre il Teflon, un materiale antiaderente, che tutti noi oggi conosciamo come rivestimento di pentole e padelle. DuPont fu la prima azienda a produrlo, per l’esercito americano, che lo testò come rivestimento per contenitori per il trasporto di materiale radioattivo.
Gli anni ’30 vedono anche lo sviluppo della produzione italiana, grazie alla storica azienda Montecatini di Firenze, che produce PVC, Nylon e altre materie plastiche.
1941 – In Inghilterra Rex Whinfield e James Tennant Dickson brevettano il polietilene tereftalato (PET), usato come fibra tessile sintetica, e poi dal 1973, come materiale per gli imballaggi alimentari.
Possiamo dire che queste 3 decadi hanno visto la scoperta delle principali materie plastiche ancora oggi utilizzate, anche se la Seconda Guerra Mondiale ha, in un certo qual modo, monopolizzato il loro utilizzo.
Se durante la guerra i metalli erano precettati per la realizzazione di armi e munizioni, ed era molto difficile reperire i prodotti naturali, come la gomma, sono state le materie plastiche a essere usate come loro validi sostituti.
Troviamo l’utilizzo delle fibre sintetiche nelle divise, nei paracadute, nelle fodere degli elmetti, e delle plastiche per componenti di aerei, alloggiamenti per antenne, canne di armi, custodie e tantissimo altro.
Durante la Seconda Guerra Mondiale la produzione di plastica aumenta considerevolmente, passando da da 213 milioni di sterline nel 1939 a 818 milioni di sterline nel 1945.
L’industria plastica ha superato il banco di prova della capacità di produzione in serie.
Ma i suoi utilizzi sono stati quasi del tutto confinati alle necessità dell’esercito. Non abbiamo ancora visto l’applicazione della plastica per la realizzazione dei prodotti destinati al consumo di massa, che avverrà nel secondo dopoguerra.
Per questo vi salutiamo e vi invitiamo ad aspettare la prossima puntata.